Anni fa, per l’esattezza era agosto del 2014 (ecco la prima abitudine: siglo i libri con la data in cui li leggo) ho letto “La dittatura delle abitudini” di Charles Duhigg. Un libro davvero interessante, che consiglio vivamente di leggere, per capire meglio come la maggior parte delle scelte che compiamo ogni giorno non sono frutto di riflessioni consapevoli, bensì di abitudini.
Per chi si occupa di marketing (soprattutto per chi concorda con la mia definizione: “marketing è qualunque cosa fai per vendere“), un libro che apre la mente.
Ma torniamo a noi, e alle nostre abitudini. Di alcune siamo consapevoli (come il mio siglare i libri con la data), di altre no. Queste ultime sono gesti inconsapevoli che facciamo senza nemmeno rendercene più conto. Può essere l’accendere una sigaretta per un fumatore incallito, alzarsi a metà mattinata per il caffè con il collega. Tutte le abitudini hanno la stessa ciclicità, che si può descrivere in tre fasi:
Il segnale è l’interruttore che dice al nostro cervello di entrare in modalità “automatica” e quale abitudine usare. Hai presente il concetto di “trigger” nel marketing (una condizione che fa scaturire un certo evento, dall’inglese “innescare”), ecco quella roba lì.
Al segnale segue la routine, che può essere fisica (un’azione, un gesto), emotiva o mentale.
Infine c’è la gratificazione, in base alla quale il nostro cervello attribuisce un “punteggio” che rafforza o meno l’abitudine.
Se vogliamo continuare con l’esempio della dipendenza da tabacco possiamo dire che quando un fumatore vede il “suo” segnale (può essere il pacchetto di sigarette sul comodino la mattina, ma anche la tazzina di caffè) il suo cervello anticipa la gratificazione della nicotina, attivando la routine. Il fumatore prende la sigaretta e la accende senza nemmeno rendersene conto.
Ed arriviamo quindi alle nostre care notifiche. Quando il pc ci avverte dell’arrivo di una mail, o peggio lo smartphone suona per avvisarci dell’arrivo di una notifica da un social network, il cervello anticipa la gratificazione del like sul nostro post ed attiva immediatamente la routine. Risultato: afferriamo immediatamente lo smartphone!
Ma siamo sicuri che in quel preciso momento abbiamo bisogno di quell’informazione? E’ davvero così importante da interrompere quello che stavamo facendo? E’ corretto dare a qualcun altro la possibilità di “decidere” quando io debba fare qualcosa?
E se la notifica non arriva? Peggio mi sento!
Pensa agli innamorati. “Gli ho mandato un messaggio WhatsApp un minuto fa e ancora non mi ha risposto…”. “Ho pubblicato una nostra foto e l’ho taggato ieri sera, ancora non ha messo Like, non mi venisse a dire che non l’ha vista?!”. Quante volte li vedete armeggiare con il cellulare, controllando un qualcosa che non c’è ancora, aspettando spasmodicamente una notifica (segnale), per aprire finalmente il social (routine) e godersi la crescita dei Like (gratificazione).
Ora di la verità, tanto siamo tra noi, non capita mica solo agli innamorati…
Il bel libro di Duhigg aiuta a riconoscere come si formano le abitudini, quanto ci condizionano, ma soprattutto come cambiarle. Ecco se non hai tempo o voglia di leggere il libro, ti do io una soluzione terra terra, come spesso mi capita, ma molto pratica: disattiva le notifiche del cellulare! 😅
Fallo almeno quando sei al lavoro. Al limite solo quando sei impegnato su qualcosa di complesso.
Dammi retta, il tuo cervello te ne sarà grato. Guadagnerai in produttività, qualità del lavoro e tempo impiegato per svolgerlo.
Fallo, nulla è impossibile se acquisisci l’abitudine corretta.
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