Lo sviluppo tecnologico è inarrestabile, con le macchine che aumentano la capacità computazionale (memorizzazione di informazioni, elaborazione e trasmissione) ad una velocità non comparabile con l’evoluzione del cervello umano. In pratica abbiamo per la prima volta due elaboratori che viaggiano a velocità diverse, con quello “artificiale” che conosce sempre meglio quello reale.
Secondo Roger McNamee (Facebook Early Investor Venture Capital): “Durante i primi 50 anni della Silicon Valley l’industria creava e vendeva prodotti: hardware e software. Negli ultimi 10 anni le grandi aziende vendono utenti”. Ora, se iniziamo a pensare alle persone come prodotti, dobbiamo entrare nell’ottica che per venderli bisogna conoscerli. E per conoscerli bene ci vuole tempo. Quale strumento migliore di uno smartphone? Sempre connesso, sempre con noi, con installate delle belle APP “gratuite” che ci aiutano a ritrovare amici o conoscerne di nuovi, a trovare amori, App che ci assistono nel traffico, che ci danno accesso a tutta la musica del pianeta o ad una infinità di film o video. Da piccolo ti davano il ciuccio per stare buono? Gli smartphone sono ciucci digitali. Anzi sono meglio, perchè funzionano anche con i grandi.
Il tempo, appunto.
Il nostro tempo è la materia prima che muove questa nuova industria. E come per ogni industria che si rispetti: più materia prima, più produzione, più vendite, più guadagno. Ottenere il nostro tempo, catturare l’attenzione e mantenerla più a lungo possibile, per estrarre dati, è il fine per cui sono pensati gli algoritmi delle APP che utilizziamo quotidianamente.
Mai come oggi l’affermazione “il tempo è denaro” è diventata realtà.
Su questo argomento ha scritto riflessioni molto interessanti Sergio Bellucci (L’industria dei sensi – Harpo): “vendiamo il nostro tempo, solo che nessuno ce lo paga”. Anche perché in pochi ne sono consapevoli, aggiungo io.
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In cambio gli diciamo chi siamo, cosa facciamo, cosa vogliamo, persino cosa sogniamo di fare o di essere. Non è mai esistita la possibilità per un’azienda di conoscere perfettamente ogni cliente. Poi è arrivata la Rete, il paese di Bengodi, il paradiso sognato dalle grandi aziende. Investire sulla Rete significa aumentare la conoscenza del prodotto più venduto del secolo.
In un contesto del genere le domande da porsi per regolamentare un settore, o meglio un intero mondo, (quello digitale che sta nascendo), sono tante e tutte di difficile soluzione. Ma è necessario affrontare questi argomenti perchè chi controlla la Rete controlla l’economia e chi controlla l’economia controlla il mondo (stavolta quello reale). Il problema del controllo è dunque il vero dilemma.
Chi esercita la sovranità digitale? Chi controlla i dati ed il loro utilizzo? Il software? La robotica? Gli standard ed i protocolli (5G), l’hardware (ad es. gli smartphone)? E le infrastrutture su cui i dati viaggiano?
Domande cui nei prossimi anni occorrerà dare una risposta.
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