Gli utenti guardano quasi esclusivamente i contenuti all’interno della loro area di messa a fuoco. Tutto il resto diventa una forma indistinta di colori e forme. Un atteggiamento sempre più accentuato in millennials e nativi digitali (generazione Z). Si tratta, per intenderci, di quella generazione cui abbiamo dato, al posto del ciuccio, lo smartphone.
Il nativo digitale è geneticamente diverso da chi è nato prima, che, per quanto si adatti, sarà sempre un immigrato digitale. “E’ la stessa differenza che esiste tra chi parla una lingua che ha imparato da adulto e chi è madre lingua” (Bertoldi e Rossotto).
Questi nuovi utenti della Rete hanno maturato l’abitudine a scansionare rapidamente una pagina per blocchi, alla ricerca di contenuti rilevanti. Se li trovano bene, altrimenti passano oltre. Pochi secondi e via.
Figuriamoci quanta attenzione possono dedicare al vostro banner pubblicitario fuori messa a fuoco. Per quanto animato e graficamente accattivante possiate averlo realizzato, l’attenzione sarà pari a zero.
La domanda allora è come coinvolgerli, come raggiungerli, come catturare in una frazione di secondo la loro attenzione? L’unica risposta è, banalmente, offrendogli ciò che cercano: contenuti personalizzati, esperienze: expertelling (al posto dello storytelling)!
Siamo d’accordo sull’inutilità di pubblicizzare con un banner un viaggio alle Maldive in un resort superlusso su un sito che tratta di come gestire debiti con il fisco? Ecco vale anche per i contenuti.
Se il contenuto è utile e coinvolgente colpirà l’attenzione. Poco importa se si tratta di un contenuto a pagamento (che può o meno contenere un link), a patto che sia ben evidenziato. Ne va della serietà, autorevolezza e correttezza del sito che ospita quel contenuto e del brand che paga per vederlo pubblicato.
Parliamo di contenuti nativi quando un contenuto “assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitato. L’obiettivo è riprodurre l’esperienza-utente del contesto in cui è posizionata sia nell’aspetto che nel contenuto […]; ibrida contenuti e annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale dove essi vengono posizionati (sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista della linea editoriale)” da Wikipedia – Native Advertising. L’advertising che ne deriva è in definitiva una forma di pubblicità meno invasiva e più coinvolgente, perché inserita in un argomento che l’utente ha scelto di leggere o di guardare. Una pubblicità contestualizzata, che non disturba il lettore, anzi gli fornisce informazioni aggiuntive in linea con il contenuto che ha deciso di approfondire. Una pubblicità (un contenuto) che definiamo appunto “nativa” e tale da risultare gradita e richiesta, e suscitare interazioni e lead spontanei.
Un esempio per chiarire definitivamente l’argomento. Su un sito in cui si danno consigli per finanza ed investimenti scrivo un articolo dal titolo: “I migliori mutui a tasso fisso per le giovani coppie che comprano casa”.
Dopo aver esplicitato l’argomento mutui, con particolare riferimento alle giovani coppie che cercano casa, dando suggerimenti e consigli, si riportano una serie di soluzioni possibili di mutuo offerti dalle banche. Una di queste soluzioni porta al sito della banca X tramite un “ad link” (un link sponsorizzato), ben indicato nel testo.
Pensi che il lettore sia infastidito dalla cosa? Ti assicuro di no, è lui che ha cercato in Rete informazioni, ha trovato l’articolo, ha scelto di leggerlo, ora vede il link sponsorizzato e se decide di cliccare riceverà ulteriori informazioni su quel prodotto.
Perché dovrebbe essere infastidito?
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