Qual è il rapporto tra formazione e cittadinanza digitale, quanto è importante formare giovani e meno giovani all’uso delle nuove tecnologie? E cosa comporta tutto questo?
Nel 2010 un’insegnante americana chiese ad un suo studente se sapesse cosa fosse un’enciclopedia, lo studente rispose: “Qualcosa di simile a Wikipedia?”.
Ecco questo succedeva nel 2010, 8 anni fa, Wikipedia aveva più o meno 9 anni. Per chi oggi ha 10 anni (la cosiddetta generazione Z, i nati dopo il 2000) il mondo dei media analogici, a parte qualche libro di carta e poco altro, è qualcosa che si può vedere solo nei film.
Tutto quello che fino a 15 anni fa stava sulla scrivania trova oggi posto in un pc (molto spesso anche solo un tablet o uno smartphone). Questo significa che il vero valore di tutti gli oggetti di un tempo non era altro che il “dato”. Che una volta digitalizzato trova posto in un unico device.
Del digitale si è detto e scritto tutto ed il contrario di tutto, pensiamo alla musica. Il digitale ad un certo punto avrebbe dovuto distruggere un mercato (quello discografico) che invece dal 2012 ha fatto segnare importanti segnali di ripresa e che oggi sembra aver trovato, nel digitale, forme e prodotti nuovi di fruizione e svago. In molti settori si è assistito ad una ibridazione tra strumenti “tradizionali” e digitali. Se pensiamo che in Italia su 60 milioni di abitanti 43 milioni sono connessi ad internet e 34 milioni accedono regolarmente ai social network, capiamo come la portata del fenomeno sia immensa.
In questo contesto del tutto nuovo chi si occupa di formazione deve essere consapevole dei cambiamenti in atto o già avvenuti. Anche chi pensa di essere “al passo coi tempi” potrebbe non esserlo, data la velocità con cui si evolve la tecnologia. Ad esempio si potrebbe pensare che il principale social network giovanile sia Facebook, non è così. Da anni i più giovani fuggono dal social di Zuckerberg, perché lo abbiamo colonizzato noi! La fascia d’eta maggiormente rappresentata su Facebook è 34/45 anni! Nuovi social si affacciano prepotentemente all’orizzonte: Snapchat, Musical.ly (oggi TikTok),Twich. Le giovani generazioni ci passano ore, non a rimbambirsi (come spesso sentiamo dire) ma a tessere relazioni.
In Italia qualche anno fa è stato lanciato il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD). Un documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale.
Il digitale per la prima volta non viene visto in modo meramente strumentale ma come possibilità di svolta culturale. L’Italia è al 25° posto in Europa per numero di utenti connessi alla rete. E al 23° per competenze digitali di base, ultima per tutta una serie di parametri connessi al digitale. Si impone dunque una formazione prima di tutto ai docenti!
Operazione più che mai complicata, in considerazione del fatto che l’età media dei docenti italiani è la più alta d’Europa. In questo il Piano invitava i docenti ad inserire nel set degli strumenti tecnici con cui insegnare anche le tecnologie digitali e gli ambienti digitali
Il cittadino digitale ha tutti i servizi, i diritti ed i doveri del cittadino del XX secolo. Ma in un contesto che è fortemente mutato ed in cui è necessario avere nuove conoscenze/competenze. Vogliamo parlare del cyberbullismo? Insegnare a verificare l’attendibilità delle fonti e scoprire le fake news? Ragionare sulle autorizzazioni all’utilizzo di immagini, video, testi? Protezione dei dati e privacy sono sempre più argomenti all’ordine del giorno, dal momento che tutti i nostri dati (o quasi) sono online. E’ un dovere per la scuola lavorare per la formazione di un cittadino digitale consapevole. Educare alla partecipazione responsabile (cosa stai condividendo, perché lo fai, dove hai preso quella informazione?) i futuri cittadini della società della conoscenza.
E’ stato pubblicato dalla Commissione Europea un framework con il quadro delle competenze europee di base del cittadino. E successivamente un “quadro europeo per la competenza digitale degli educatori: DigCompEdu”, i documenti sono linkati e molto interessanti da leggere.
Una considerazione finale che parte dalla constatazione delle nuove competenze (che poi sono le vecchie “rivisitate” in ottica digitale). Se tutto diventa software (softwarizzazione) la realizzazione di questi algoritmi non può essere argomento solo per “tecnici” ma deve interessare tutti.
Un algoritmo non è più una questione matematica e basta, ma diventa la modalità con cui andiamo a regolare anche questioni socio-culturali.
Per questo nella “costruzione” dei nuovi software (algoritmi) devono essere compresi anche umanisti, filosofi, sociologi, ecc. Il fulcro deve sempre essere l’uomo. Ma un essere umano che sta vivendo in un mondo che ha prodotto e che oggi è fatto di agenti digitali: sensori, software, robot, che lavorano insieme a noi. La formazione si deve occupare di questi temi?
Si, la formazione deve affrontare questi cambiamenti in modo laico poiché il “futuro algoritmico” non è il futuro, ma è già il nostro presente.
In questo articolo riproponiamo la relazione del Prof. Mario Pireddu, che ha affrontato il tema del ruolo della formazione per la cittadinanza digitale, nel corso del Digital Day 2018 organizzato da Moondo.
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