Il tema del rapporto fra frammentazione e complessità nel mondo digitale è il tema su cui sto lavorando in questo periodo e da cui vorrei partire.
Si dice spesso che la rete è frammentata. Ma da che punto di vista questo è vero, perché per altri versi noi potremmo dire altrettanto legittimamente che la rete è qualcosa di estremamente complesso e sofisticato. Un insieme complesso di tecnologie che sono collegate fra loro in tanti modi diversi.
Però se noi andiamo a guardare i contenuti che circolano in rete, ci accorgiamo che effettivamente i contenuti che circolano in rete sono prevalentemente frammentati, brevi, granulari.
Pensate solo alle forme di testualità digitali. Dall’email agli sms, dai messaggini di WhatsApp ai posto di un blog. Dai messaggi di stato di un social network ai Tweet. I contenuti che circolano in rete sono prevalentemente brevi e granulari.
E questo vale non soltanto nel campo del testo scritto ma vale anche per esempio nel campo dei video. La durata media dei video di YouTube è tra i due minuti e mezzo e i 3 minuti e mezzo (così come l’audio).
E’ una caratteristica in qualche modo naturale, essenziale, dell’informazione in formato digitale? Questa tesi è stata sostenuta per esempio da Morozov, secondo me male, perché la sua idea è “il digitale è naturalmente granulare perché si basa su una codifica che parte da due entità discrete lo zero e l’uno. E questa specie di granularità di base si riverbera progressivamente su tutti i contenuti che vengono creati”.
Sembra una tesi abbastanza debole perché tutta la nostra produzione, anche la testualità tradizionale si basa su unità discrete (fonemi, grafemi) che noi ricombiniamo. Ma non è affatto detto che il risultato di queste ricombinazione debba essere necessariamente breve e frammentato.
Se noi riflettiamo di per sè il digitale è solo una forma di codifica delle informazioni, la base del digitale è il fatto di codificare testi, suono, immagini, video usando solo zero ed uno. Ma noi possiamo codificare un’informazione breve come un Tweet ho l’intera “Guerra e pace”, dal punto di vista della codifica digitale non cambia assolutamente niente. Possiamo codificare un film di 5 ore o un video di un minuto e mezzo, perché allora prevalgono i contenuti brevi?
Io credo che possa aiutare un’analogia tra lo sviluppo della rete e lo sviluppo delle società umane. Internet, come sapete, esisteva come “Arpanet” dall’inizio degli anni Settanta. Ma ha cominciato un po’ a diffondersi sostanzialmente nella seconda metà degli anni 80, a superare il muro degli enti strettamente di ricerca o militari.
E quella prima epoca, la seconda metà degli anni 80 (prima del web, ma con i primi rudimentali strumenti di internet) possiamo considerarla un po’ come un’epoca di cacciatori-raccoglitori. C’erano tribù relativamente piccole di entusiasti che frequentavano questi territori. Andavano a cercare le informazioni che si trovavano, si cacciava e si raccoglieva quello che si trovava (relativamente poco e prodotto da pochi soggetti).
Ci si collegava per poco tempo. Si afferravano le prede informativa che si trovavano, dopo di che si tornava nella “grotta” del proprio pc offline, a consumare questo “pasto informativo” (di cui spesso si ignorava anche cosa fosse veramente). Cacciatori-raccoglitori insomma, con prede informative abbastanza casuali.
Con il web, quello che viene spesso chiamato web 1.0, quello che succede sostanzialmente è che si avvia una sorta di “urbanizzazione di questi territori virtuali”.
Non è un caso che molte delle metafore legate all’esplorazione dei territori, allo spostamento, nascano con il primo web. Non è un caso che per esempio è uno dei primi strumenti che potevano essere usati per creare pagine in rete si chiamava “geocities”. Ed era tutto basato sulla metafora degli insediamenti urbani.
“Atene” erano le pagine che riguardavano l’educazione, la letteratura, la poesia, la filosofia. “Parigi” erano le pagine che riguardavano l’arte, la musica, e così via.
In un certo senso è l’età della prima urbanizzazione e dell’inizio di una agricoltura informativo-organizzata. In questa fase i siti web sono delle entità stabili. L’informazione si identifica con il sito che la ospita e gli utenti si muovono verso questi primi centri informativi.
Intorno al 2000/2001 qualcosa cambia. Si avvia quello che speso viene chiamato web 2.0 e che può essere considerato come lo sviluppo di un web che funziona in maniera un po’ diversa. Intorno a quello che può essere considerato l’artigianato ed il commercio.
Si parte con la cosiddetta autoproduzione di contenuti, lo user generated content. Il contenuto generato dagli utenti è considerata come una caratteristica fondamentale del web 2.0, e il contenuto generato dagli utenti è in genere un contenuto “artigianalmente creato”.
I contenuti autogenerati (artigianali diremmo), seppur prodotti attraverso strumenti molto complessi ma di facile utilizzo da parte degli utenti della rete, diventano per questa caratteristica estremamente “granulari” e circolano. Non c’è più l’idea che l’informazione sia concentrata e fissata nel sito web.
L’informazione viene condivisa, mossa, fatta circolare. Se dovessimo scegliere uno strumento che in qualche modo simboleggia questo periodo dell’artigianato e del commercio, potrebbe essere il simbolo dei “Feed RSS”.
Convogli granulari di informazione che sono dietro social network come Facebook come Twitter come Instagram. In ciascuno di questi strumenti quello che succede è che gli utenti producono un flusso granulare di informazione autoprodotte. Poi questi flussi vengono variamente ricombinati.
Facebook ad esempio ci fa vedere l’aggregazione in base a regole dei flussi dei nostri contatti. Ma alla base ci sono flussi di informazioni granulare autoprodotta.
Ci avviciniamo a grandi passi all’epoca delle cattedrali: costruzioni informative più articolate, più complesse (che possono essere legate a progetti come il web semantico, o il link date). Un’epoca che può essere considerata in qualche modo già abbastanza prefigurata da alcuni progetti fortemente collaborativi come Wikipedia.
Si inizia ad intravedere il fatto che la produzione individuale di informazione verrà progressivamente sostituita da una produzione più organizzata, più “industriale”, di informazioni complesse. In questo contesto i meccanismi di circolazione dalla pura granularità devono assumere delle caratteristiche sicuramente più sviluppate.
Se questa analogia corrisponde più o meno a quello che sta succedendo in rete, allora noi ci troviamo in una situazione in cui c’è un bisogno particolare che è un bisogno formativo (per il mondo della scuola). E un bisogno informativo che si manifesta in campi diversi come la politica, le competenze di cittadinanza, pensiamo al tema delle fake news. Con un problema di fondo che sta nel recuperare, anche in digitale, la capacità di lavorare non solo orizzontalmente, con un’informazione plurale ma frammentata, ma anche verticalmente con una informazione complessa e strutturata.
Oggi i ragazzi hanno fortissime competenze di movimento orizzontale sull’informazione, molto maggiore di quello che aveva la mia generazione, sono molto bravi a saltare al volo da un’informazione all’altra, ma hanno minori capacità di costruzione, comprensione e produzione di informazione complesse e strutturate.
Io uso spesso la metafora di Xanadu, la città favolosa. Un luogo dell’immaginario anche per la rete che torna in tante situazioni diverse e che era la capitale estiva del regno mongolo caratterizzata da una enorme complessità architettonica. Anche se ricostruita di estate in estate, che usava tecniche di costruzione relativamente semplici ma molto modulari.
Questa è un po’ la metafora del passaggio della rete alla complessità delle informazioni prodotte in digitale. E qui si aprono interrogativi interessanti. Ad esempio come lavorare per favorire l’acquisizione di competenze legate alla complessità. Considerando che le nuove generazioni ne hanno di meno ma ne avranno enorme bisogno in futuro, perché la rete va in quella direzione.
Come riconquistarle in politica, dove lo scardinamento di alcuni meccanismi tradizionali di rappresentanza non è accompagnato da strumenti efficaci di negoziazione redazionale (ad es. il drafting normativo). Campi in cui la capacità di saltare le mediazioni è oggi molto forte ma la capacità di saltare le mediazioni negoziando. Cioè costruendo anche negoziazione razionale è invece relativamente debole. Stesso discorso per quello che riguarda il mondo dei prodotti e dei contenuti multimediali.
Ci si può chiedere come mai mercati come quelli del libro elettronico, per esempio, abbiano sostanzialmente prodotto pochi prodotti di grande qualità e fatichino ad imporsi e a risultare economicamente sostenibili. Mentre continuano a diffondersi e a prevalere altri tipi di meccanismi, contenuti in app, micro contenuti granulari e frammentati piuttosto che contenuti organizzati, complessi, strutturati e articolati.
Io ho l’impressione che questo sia veramente uno dei grossi temi della rete oggi: come recuperare la capacità di lavorare su contenuti complessi. Ci sono alcuni settori in cui questo viene fatto, ad esempio il settore dei videogiochi.
Alcuni videogiochi sono straordinariamente stupidi e riflettono la frammentazione, Ma altri hanno un’estrema complessità costruttiva, in cui effettivamente ci si è posto il problema di costruire nuovi mondi. Con delle proprie regole, con dei loro meccanismi di funzionamento. Tanto che alcuni di questi videogiochi possono rappresentare dei modelli di linee di tendenza verso cui ci si sposta.
Il campo accademico e della ricerca è invece ancora indietro. Possiede enormi quantità di dati e strumenti assai sofisticati. Ma l’elaborazione dei contenuti e la presentazione delle informazioni avviene in modo estremamente tradizionale.
Ci sono stati degli esempi molto interessanti, ma sono rimasti estremamente occasionali ed episodici. Tanto che oggi continuiamo a parlarne anche se sono stati pensati 20 o 30 anni fa. Insomma nel nostro settore c’è molto da fare.
Articolo a cura di Gino Roncaglia: filosofo, saggista, professore associato e direttore del Master universitario in e-learning Unitus Viterbo.
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