Avete mai sentito parlare di “Gig Economy”? Sapete di cosa si tratta? Beh probabilmente dovreste, dato che gli esperti ritengono che entro il 2020 riguarderà il 40% dei lavoratori di un sistema economico consolidato come quello Americano.
“Gig economy”: la sua traduzione più comune è economia dei lavoretti o un mercato libero. Dove gli impieghi temporanei sono comuni e le aziende impiegano lavoratori indipendenti per occupazioni a breve termine.
Niente di troppo nuovo tutto sommato, in Italia già esistono esempi di questo nuovo mercato del lavoro.
Basti pensare a Uber, ai fattorini del cibo di Glovo, Foodora (etc.), che già da un po’ di anni sono presenti sul territorio. Utilizzati dai cittadini quotidianamente.
Le caratteristiche comuni a tutte le aziende della gig economy è l’essere online. E svolgere il ruolo di intermediario tra il cliente ed il lavoratore indipendente. Da una parte garantendo qualità e sicurezza al cliente, dall’altra permettendo al lavoratore indipendente di raggiungere più clienti grazie al servizio fornito.
Proprio questo servizio è la chiave di volta del mercato dei lavoretti. Pensato per tutti è erogato unicamente attraverso l’App dell’azienda che diventa la sede fisica dell’impresa, o meglio il contatto con il mondo fisico.
L’app rimane ancora il campo in cui si gioca la partita dell’innovazione. Un lavoratore, o una qualsiasi persona con del tempo libero, può in qualsiasi momento prendersi carico di un compito, svolgerlo ed esser pagato per averlo fatto. Unico requisito la registrazione all’app.
Lo smartphone, stavolta come una bussola puntata sul prossimo lavoro disponibile, si insinua tra le relazioni della nostra società. A volte “ottimizzandole” altre volte sostituendosi completamente a queste.
Non più il semplice passaparola e una raccomandazione per svolgere un lavoretto come un trasloco, appendere un quadro o fare la spesa. Adesso basta scorrere la lista delle persone disponibili su un’app. Questo allarga sicuramente il bacino di utenza e permette a più persone possibili di mettersi in contatto. Ma elimina una dinamica della nostra società e riduce il contatto umano, anche se dove è stato provato ha dimostrato il contrario.
In sostanza l’universo digitale si sta dimostrando benefico anche per quelle attività che di tecnologico sembrerebbero non avere nulla, come appunto quella di “tuttofare”.
Il caso di TaskRabbit, un app made in Usa, ha sbaragliato la concorrenza. Abbandonando il mercato specifico come le consegne a domicilio di cibo o noleggio con conducente, per affrontare un mercato più vasto di lavoretti in generale.
Se c’è bisogno di una mansione da svolgere c’è un runner (letteralmente “corridore”) disposto a svolgerla. Basta scegliere dalla lista e dopo aver letto recensioni e “stelline” ricevute dall’operatore si può iniziare la mansione.
Una volta svolto il lavoro sarà il cliente a dare un voto alla prestazione e scrivere una recensione sul runner, che poi riceverà il pagamento sempre attraverso l’app.
TaskRabbit è online dal 2008 e dieci anni dopo può vantare già servizi esclusivi per i suoi “impiegati”, in grado di aiutare a svolgere meglio il proprio lavoro come tenere la contabilità e pagare le tasse, accedere ad assicurazioni sanitarie, noleggiare una macchina ed usufruire di tariffe telefoniche agevolate.
Quest’impresa ormai diffusa in 47 città americane, 4 città nel Regno Unito e una in Canada è diventata a tutti gli effetti un “super” datore di lavoro. Che garantisce se non i diritti dei lavoratori, quantomeno un accesso semplificato a questi.
Pratiche come quella di TaskRabbit potrebbero essere una cura al sistema del lavoro nostrano, sicuramente affetto da immobilismo, incapace di adattarsi ai nuovi tempi, alle nuove figure professionali e alle nuove mansioni.
Oggi un’app può diventare un centro per l’impiego. E funzionare meglio di qualsiasi legge, può essere un datore di lavoro e uno strumento per quantificare in denaro un lavoro, un lavoretto, una mansione o una prestazione.
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