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La crisi come transizione

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Io penso che noi stiamo realmente entrando in una fase di “transizione”. Per spiegarlo proverò ad esporre la differenza tra alcune fasi della storia che si sono succedute e sono diverse. E come si possono approcciare le soluzioni alle problematiche che emergono in queste fasi. Probabilmente nel corso di questo secolo vivremo una fase mai vissuta prima. Quella che viene indicata come “singolarità”. Un momento in cui l’intelligenza non biologica (artificiale) potrebbe contendere la direzione dei processi all’intelligenza biologica. L’emersione di una nuova formazione economico sociale e nuovi rapporti di produzione.

Al Digital Day del 6 dicembre 2018, invitato da Moondo, Sergio Bellucci ha affrontato i temi della crisi e cercato di tratteggiare i contorni di una nuova formazione economico sociale. Questo il suo intervento.

Mondo digitale

La crisi del 2008 fino ad oggi, è una crisi congiunturale o sistemica?

Partiamo da una considerazione, il giudizio sulla crisi che stiamo vivendo dal 2008 in poi. Quasi tutti i politici, gli economisti, i dirigenti di impresa, gli studiosi, stanno vivendo la crisi che si è aperta dal 2008 come una qualunque altra crisi vissuta negli ultimi 100-150 anni. Cioè come un momento in cui il sistema si impalla. Deve trovare nuovi equilibri, ma troverà un equilibrio all’interno dello schema che è stato in piedi fino ad oggi.

L’unica cosa che possiamo fare è trovare il modo per sistemare al meglio le cose che abbiamo di fronte. Ecco io credo che noi siamo di fronte ad un’altra situazione. Totalmente diversa dalle precedenti e  che pertanto presuppone uno schema nuovo per trovarne la soluzione.

I cicli storici

I cicli storici li possiamo definire con delle curve di Gauss (schematizzate in figura). La prima curva ABC è sostanzialmente una rappresentazione di come un sistema complesso, come l’attività umana, in qualche modo evolve.

C’è una fase in cui una formazione economico sociale (cioè una forma con la quale si estrae il valore dalle attività umane) diventa centrale, più importante e preponderante della precedente. E quindi produce l’egemonia sulla forma della società, tanto a livello istituzionale che a livello culturale. E necessariamente nel fare questo produce a un certo punto le dinamiche che portano al suo superamento.

Curva di Gauss e cicli storici
Curva di Gauss e cicli storici
Il ciclo classico

Questo è il ciclo “classico” in cui vi è un primo ciclo che sviluppa A, B e C e mentre B è ancora in piedi, dinamico, forte e potente c’è un ciclo A nuovo, che sta emergendo, che è molto più potente della fase precedente anche se ancora sotto B, che opera ancora dentro le leggi, dentro gli schemi della società B, fino a che questa fase si rompe.

La storia è dunque fatta di due fasi. La fase in cui c’è il periodo B, e cioè il periodo nel quale una formazione economica e sociale è diventata egemone ed in qualche modo ha definito i rapporti di produzione. Costruisce i suoi schemi sociali ed anche culturali, ed il momento in cui vi è un A che si avvicina come forza. Fino a quando supera B e si produce una fase di transizione che porta ad una rottura.

Questa fase l’ultima volta che l’abbiamo vissuta è avvenuta tra tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 in Europa. Se prendiamo lo schema precedente, avevamo una fase B,  che era la società aristocratica fondata sui latifondi e sui regimi totalitari. Insidiata dal proprio interno dalla forza della produzione industriale e della borghesia che avanza dentro questo schema. Fintanto che la potenza e la voglia di libertà, di imporre i propri schemi della borghesia industriale, entra in conflitto con gli assetti dei poteri esistenti.

E che cosa succede? La rivoluzione del 1789: emerge un ordine politico, economico e sociale nuovo.

Tutto ciò produce nel giro di 40-50 anni delle rotture gigantesche: c’è una prima grande risposta a quella rottura. Per esempio il Congresso di Vienna, ovvero il tentativo delle società precedenti di rimettere sotto controllo quella dinamica che è sfuggita alle regole della storia precedente. Si fa un bel patto, si ricostruiscono gli equilibri, ma vent’anni dopo scoppiano le rivoluzioni in tutta Europa! Da quel momento in poi saltano tutti i regimi, si impone la società parlamentare democratica, le istituzioni democratiche. Si impone l’egemonia della produzione capitalistica, si impongono le regole del mercato come regole della convivenza civile, cioè si impone la costruzione della società nella quale viviamo noi oggi.

Cosa succede quando emerge una nuova fase A?

Il ciclo A B e C può essere sintetizzato in questo modo. Cosa accade quando emerge una A? C’è un accumulo di conoscenze e tecnologie nuove (nel caso d’esame era il vapore e la possibilità di utilizzare il vapore per costruire fabbriche che automatizzavano pezzi del ciclo produttivo artigianale).

Ci sono sviluppi di capacità di entrare in contatto con le esperienze. Cioè è più facile entrare in contatto con le cose che stanno accadendo da altre parti, aumenta la capacità produttiva sia in termini di merci che di valore. Aumenta la possibilità dello scambio sia di merci che di valore. Nuovi soggetti sociali sono impegnati in produzione di valore nuovo (a quel tempo fabbriche e quindi capitalisti ed operai).

Ci sono battaglie per nuovi diritti che si rendono necessari in questi nuovi ambienti che prima non esistevano. È chiaro che il conflitto dentro la fabbrica prima della fabbrica non esisteva. Nasce la fabbrica, nascono i conflitti all’interno della fabbrica perché i rapporti di produzione che si stanno producendo impongono delle nuove forme di conflitto. Ad un certo punto si arriva all’incompatibilità con le vecchie strutture di potere e si arriva alla rottura rivoluzionaria.

La forma di estrazione del valore

Durante la fase B le cose sono molto più semplici, perché la fase A ha prodotto la propria egemonia, si consolidano le forme di produzione e di scambio che quella fase ha prodotto. Iniziano le fasi di assestamento del ciclo, anche attraverso crisi drammatiche (basta pensare alla crisi del ’29, che porterà addirittura ad una nuova guerra mondiale). Ma si tratta di crisi diverse dalle cicli sistemiche, perché durante una crisi congiunturale i rapporti tra le classi non cambiano: la forma di estrazione del valore che è in atto rimane immutata.

La fabbrica rimane fabbrica, il padrone della fabbrica rimane padrone della fabbrica, l’operaio rimane operaio. La crisi può essere devastante può distruggere quasi tutto, apparentemente, ma l’assetto classista rimane immutato.

Il senso della vita

Ovviamente durante la gestione di un ciclo si produce la capacità egemonica, culturale, si produce il “senso della vita” di quel ciclo che gli umani che vivono percepiscono come “naturale”. Ma che naturale non è, come nessuna percezione della vita, è quella legata a quel ciclo produttivo. Durante quella fase specifica, che viene vissuta dalle persone come la naturalità delle relazioni umane e dei rapporti tra le classi.

All’interno di questa cosa però cominciano ad emergere le nuove forme di estrazione del valore, e di queste forme dobbiamo parlare oggi.

E’ chiaro che quando iniziano le nuove forme di estrazione del valore comincia la fase discendente dell’egemonia della vecchia formazione economico sociale.

Perché non solo quella formazione ha estratto il massimo di quello che poteva estrarre dalla sua forma, dalla sua applicabilità sul terreno, ma anche perché in quel modo è il sistema stesso che tende a collassare, al proprio interno cominciano ad emergere delle strutture di produzione del valore di nuova generazione.

L’avvento della società digitale

Vi faccio una sintesi brevissima di quello che potrebbe essere un’analisi della crisi sistemica che stiamo vivendo. La curva 1 è la curva della società agricola-aristocratica. La curva 2 è la società industriale-borghese. L, la curva 3 è l’inizio della società digitale.

le crisi sistemiche e l'avvento della società digitale
Le crisi sistemiche e l’avvento della società digitale

C’è una data, il 2006, che segna uno spartiacque. La data in cui viene raggiunto il “passaggio di non comprensione”, si passa cioè dai trilioni di dati ai quintilioni. E l’uomo non riesce più  a comprendere la “grandezza” con cui si trova ad operare. Si tratta di una rottura storica che si produce nella storia dell’umanità.

Per capirci, Eric Schmidt (ex- CEO Google) scrive nel suo ultimo saggio che dall’inizio della storia dell’uomo (circa 10.000 a.c) al 2003 l’uomo ha prodotto 5 exabyte di dati… cioè 5×1018 (l’equivalente di 5 milioni di terabyte di informazioni). Oggi produciamo 5 exabyte di dati in… 2 giorni!

Ogni due giorni produciamo tanta informazione quanta quella prodotta dal 10.000 a.c. ad oggi. Ci sono tante fotografie di gattini dentro questi exabyte, non è tutta conoscenza. Ma ci sono anche una quantità di informazioni potentissime e di conoscenza che viene accumulata con una velocità gigantesca. Al punto che alcune grandi aziende del mondo stanno sostituendo i loro centri di Ricerca e Sviluppo con analisti del Web, che devono andare a ricercare le notizie dove stanno. Perché tanto quello che loro vorrebbero ricercare qualcuno, da qualche parte, l’ha già fatto, lo sta facendo o vorrebbe iniziare a farlo, ed allora basta comprarlo, ad una cifra molto più bassa. Siamo di fronte ad una crisi sistemica.

Quali sono le transizioni che si stanno determinando dalla crisi sistemica causata dall‘economia digitale? Vediamo in rapida rassegna tutti i principali tipi di transizione.

TRANSIZIONE ECONOMICA

  1. A livello economico ovviamente l’autonomia della moneta della moneta. La generazione e regolazione della circolazione delle monete è una cosa che è uscita fuori dagli schemi che erano previsti all’interno della democrazia liberale. Perché in realtà la democrazia liberale si basava sulla divisione di tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Mentre ad un certo punto si è autorizzata la produzione di moneta e si è esternalizzata dalle funzioni della democrazia. Ma il regolamento ed il funzionamento della moneta è il fulcro  dell‘economia capitalistica. Se togliamo alla democrazia liberale la possibilità di legiferare e di regolamentare la moneta. Praticamente eliminiamo la potenza dei tre poteri che formalmente sono stati codificati dentro le costituzioni democratiche e, quindi, di fatto facciamo implodere l’intero sistema.
  2. A ciò aggiungiamo che siamo passati da un sistema di produzione capitalistico D-M-D (denaro-merce-denaro), ad uno D-D-D (denaro che produce denaro per mezzo di denaro), che connota un’economia tipicamente finanziaria. Cioè abbiamo preso un pezzo delle attività umane e le abbiamo tolte da tutti i processi decisionali collettivi, con un’autonomizzazione totale delle regole.
  3. La nascita del ciclo immateriale che il digitale ha prodotto: alla fine del ciclo (della transizione produttiva: dalla materia prima al consumo) il pezzo finale è maggiore della materia prima, quindi non c’è distruzione e c’è un‘antagonismo addirittura sul tema della proprietà, perché se io metto un vincolo su questo ciclo impedisco al ciclo immateriale di produrre tutto quello che potrebbe produrre.
  4. Il superamento della centralità del lavoro: passando dal taylorismo fordista al taylorismo digitale, al lavoro implicito (lavoro che ognuno di noi fa in maniera inconsapevole per le piattaforme digitali globali e produce valore attraverso un tempo di vita completamente diverso e sussunto dal capitale digitale) ed al lavoro operoso.

TRANSIZIONE TECNOLOGICA

  1. Non stiamo calcolando l’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sulla dimensione delle professione e sulla quantità di lavoro umano necessario per produrre le merci da qui a poco.
  2. Il fatto che stiamo andando verso l’estrazione di valore dalle forme relazionali che ha portato ad essere oggi le prime 10 aziende capitalizzate nel mondo aziende che estraggono valore dal lavoro implicito. Se vuoi prendete le aziende più capitalizzate del mondo nel 2005 e prendete quelle di oggi quelle di oggi basano la loro estrazione di valore sul lavoro implicito. Cioè sul lavoro che è distribuito nei 3,5 miliardi e mezzo di individui che sono connessi alla Rete.

TRANSIZIONE SOCIALE

Altra transizione è quella che io individuo con la nascita dell’ “industria di senso” come settore economico centrale. Che cos’è l’industria di senso?  Per la prima volta nella storia umana il senso della vita, che era affidato alle relazioni interpersonali che si producevano all’interno di un singolo territorio attraverso la vita delle persone, si è messo sotto produzione industriale.

Praticamente l’industria di senso lavora e fa profitti nella costruzione del senso e quel senso necessità di un consenso politico che è il substrato nel quale costruisce la propria struttura. Questa cosa è importantissima nella storia umana, perché noi siamo stati immersi in strutture religiose e poi strutture ideologiche che costruivano il senso della vita.

Mentre oggi ci troviamo improvvisamente con un’industria che compete con le religioni e con le ideologie e fa di questo l’ideologia di fondo sul quale vive il nostro sistema. Capite come ciò rappresenti una novità assoluta.

TRANSIZIONE POLITICA

Assistiamo certamente ad una transizione sul piano politico, con il mancato riconoscimento del superamento della democrazia liberale. La crisi dei modelli democratici istituzionali è figlia di questo elemento. Il digitale produce forme di partecipazione completamente diverse e nuovi modelli di organizzazione. Pensiamo ai gilet gialli adesso, ma anche alle primavere arabe qualche tempo fa. Stiamo sperimentando il fatto che gli eventi vanno alla stessa velocità del flusso comunicativo.

Quando gli eventi vanno alla stessa velocità del flusso comunicativo non si può produrre una struttura organizzativa pensata e ragionata, come era nell’era precedente. Perché va tutto fuori controllo: pensate che i bot (software automatici) che nei social come Twitter o Facebook rilanciano le informazioni, impiegano 6 secondi a inondare la rete attraverso il meccanismo delle “bolle informative”, a riempire cioè quelle bolle che sono culturalmente orientate verso quel contenuto informativo, annullando di fatto quello che prima era demandato a capacità relazionale. Una potenza di fuoco assolutamente unica.

TRANSIZIONE EPISTEMOLOGICA

Stiamo passando dalla scienza galileiana, che abbiamo conosciuto per qualche secolo, da qualche decennio alla tecnoscienza basata sulla simulazione. Ed oggi a nuovi paradigmi conoscitivi basati sui big data.

TRANSIZIONE ANTROPOLOGICA

Ne ha parlato approfonditamente il Prof. Gino Roncaglia nella sua relazione al Digital Day dal titolo “Il digitale tra frammentazione e complessità”. In questa mia analisi mi soffermo solo a sottolineare come il passaggio dal testo all’ipertesto produce una rottura delle strutture cognitive.

Se l’uomo basa il proprio sistema di conoscenza sulla modalità con cui scambia informazioni il passaggio dal testo all’ipertesto costruisce un’altra struttura cognitiva.

TRANSIZIONE SISTEMICA

Viviamo costantemente con l’incubo della crescita del PIL, ma perché noi pensiamo che il PIL debba aumentare ogni anno? Da dove nasce quest’idea? Considerato che l’uomo è vissuto per millenni delle cose che produceva, nella stessa quantità e con la stessa forma.

C’è un momento preciso dal quale la crescita del PIL diviene “necessaria”, l’obbligo della crescita nasce dalla struttura finanziaria che si è imposta sulla nostra società contemporanea e sul fatto che a fine anno c’è una capitalizzazione degli interessi dovuti, per cui c’è bisogno di un aumento della produzione per coprire quel fabbisogno.

Le società antiche conoscevano perfettamente questo meccanismo. Ed infatti avevano messo delle regole (basta leggere la Bibbia, in cui si scrive che ogni tot anni quei debiti andavano cancellati, o il Padre Nostro, ugualmente fondato su questo elemento, noi lo recitiamo ma non sappiamo più applicarlo, perché perché la finanza ha imposto altre regole).

Ma questo nuovo modus operandi non è sostenibile matematicamente, non è possibile pensare uno sviluppo che insegue il processo di capitalizzazione degli interessi. C’è una curva esponenziale che non è colmabile. Semplicemente perché il mondo è uno: le risorse a disposizione sono finite e quel processo non può essere portato all’infinito.

Stiamo vivendo esattamente questa crisi, non siamo in grado di inseguire questo modello all’infinito, perchè siamo già arrivati al punto di rottura. E siamo arrivati al punto di rottura anche perché l’alterazione degli equilibri sistemici di vita (clima, temperatura, innalzamento dei mari, acqua, rottura della biodiversità, riduzione delle specie viventi) ci ha portato ad un punto di non ritorno. Il punto di stabilità non c’è.

Il digitale rappresenta un bivio:

  • se non cambiamo registro questa società è destinata necessariamente alla implosione, con danni e guerre sociali (forse anche fisiche e purtroppo anche guerre globali) che sono scontate;
  • in alternativa possiamo utilizzare questo livello di conoscenze enorme, che l’umanità non aveva mai conosciuto prima, per imboccare una strada nuova, che noi individuiamo come:
    • produzione diretta di valore d’uso: la rottura con lo schema della produzione capitalistica così come è stata pensata in questi due secoli;
    • la costruzione di un modello di welfare completamente diversa, che noi chiamiamo “welfare delle relazioni”.


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