ComunicazioneGiovani e digitale: come combattere l'analfabetismo sociale?

Giovani e digitale: come combattere l’analfabetismo sociale?

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Negli ultimi anni l’avvento dei social media ha rivoluzionato il modo in cui i giovani comunicano e si connettono con il mondo. Tuttavia, questa rivoluzione digitale ha portato con sé anche una serie di sfide, in particolare per quanto riguarda le interazioni personali. Le nuove generazioni sembrano avere difficoltà ad interagire efficacemente in contesti di persona, una tendenza che preoccupa molti esperti.

Di questo tema ho riflettuto insieme a Claudia Gatti, E-Commerce Specialist HP (ma, soprattutto, professionista molto più giovane di me 😉). Quelle che seguono sono le risposte ad alcune domande sull’argomento. Buona lettura!

Quali problematiche comporta l’analfabetismo sociale nel mondo del lavoro?

Claudia: L’introduzione dello smart working ha accentuato la difficoltà dei giovani nelle interazione face to face. Lavorando da remoto, infatti, i giovani dipendono maggiormente da strumenti digitali come e-mail, chat e videoconferenze per comunicare e ciò può limitare l’esperienza e la confidenza nelle interazioni dirette. Lavorare a distanza, inoltre, può ridurre l’accesso ad opportunità di mentorship e apprendimento informale, che spesso avvengono attraverso conversazioni casuali in ufficio. In ultimo, ma non per importanza, la poca interazione porta all’aumento di problemi mentali come depressione e ansia, problematica in forte crescita tra le nuove generazioni.

Alessandro: Sulla base della mia esperienza nel settore del marketing digitale, noto che, seppure le interazioni digitali sono essenziali per conoscere meglio un potenziale cliente, non possono tuttavia sostituire completamente il valore delle interazioni umane dirette. Un esempio su tutti, solo il rapporto umano “de visu” affina la nostra empatia. In un mondo sempre più digitale come si può compensare questa mancanza? Ad esempio investendo in tecnologie che simulano meglio la presenza fisica, come la realtà aumentata e virtuale. Oppure promuovendo un uso equilibrato tra lavoro remoto e quello in ufficio.

La soluzione è ritornare a lavorare totalmente in presenza?

Claudia: No, la soluzione è trovare un equilibrio tra casa e ufficio. Come sappiamo, lo smart working offre flessibilità e vantaggi in termini di equilibrio tra lavoro e vita privata. Ci consente di organizzare meglio il tempo e dedicarci ai nostri affetti. Questo però non avviene per le giovani generazioni che, terminato l’orario di lavoro, continuano ad utilizzare smartphone e tablet anche in presenza di famigliari ed amici. La generazione Z e la generazione Alpha, in modo particolare, usano lo smartphone anche per gestire i loro rapporti sociali, spesso anche per intrattenere rapporti con amici che spesso rimangono solo virtuali. In questo contesto è necessario aiutare i giovani a ritrovare le abilità sociali perdute.

Alessandro: In oltre due decenni di carriera, ho osservato che il benessere dei dipendenti migliora significativamente quando c’è una chiara separazione tra vita lavorativa e personale. Ma un aspetto sottovalutato dello smart working è la sua capacità di “invadere” la nostra vita privata. Sei a casa, squilla la chiamata in chat, arriva la mail, suona la notifica… richieste continue. Le aziende più lungimiranti dovrebbero implementare politiche chiare che, limitando l’orario di lavoro, incoraggino attività tese a rafforzare le relazioni interpersonali, soprattutto al di fuori degli ambienti digitali. Mi vengono in mente luoghi aziendali dove fare sport, eventi e feste aziendali o attività di team building.

Come contribuire ad una maggiore socializzazione?

Claudia: Nelle scuole, per esempio, programmi come l’Erasmus promuovono la comunicazione e l’interazione tra culture diverse. Nel mondo lavorativo invece si potrebbero organizzare dibattiti, riunioni di team in presenza ed organizzare eventi di networking per favorire la comunicazione e la collaborazione ed incoraggiare la creatività e l’innovazione. Non dobbiamo avere paura di uscire dalla zona di comfort perché è lì che avviene la vera crescita.

Alessandro: Credo sia di fondamentale importanza integrare le abilità sociali nel curriculum dei giovani già dall’educazione scolastica. Potenziando le abilità comunicative e tutte quelle soft skills che sono sempre più ricercate dagli HR delle aziende (empatia, negoziazione, collaborazione, leadership). Paradossalmente, in un mondo sempre più digitale ed interconnesso, vedo le abilità sociali come “rarità”. Chi le saprà ricercare, curare ed implementare ne trarrà un enorme vantaggio, sia dal punto di vista personale che professionale. Come fare? Favorendo programmi di approfondimento e scambio culturale, insegnando le regole base di comunicazione e public speaking, promuovendo programmi che offrano supporto psicologico per gestire stress ed ansia, enfatizzando l’importanza delle relazioni sane ma, soprattutto, riscoprendo il nostro ruolo nella società.



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