C’eravamo lasciati con alcune idee e suggerimenti per iniziare a vendere online. Bene, finalmente ci siamo, arriva il nostro tanto desiderato cliente! Cosa dovrebbe fare una volta atterrato all’interno dell’ecommerce. Quale dovrebbe essere il percorso d’acquisto?
Caratteristiche e funzionalità base di un e-commerce
- Un motore di ricerca interno, un menu con categorie e sottocategorie, prodotti divisi per brand, filtri per visualizzazione dei prodotti per prezzo, colore, taglia, ecc. sono tutti plus utili a facilitare la scelta del cliente che, individuato il prodotto, accede alla “scheda prodotto” e dunque a tutte le informazioni che lo riguardano.
- L’offerta di eventuali prodotti migliori di quello selezionato (up selling) o correlati (cross selling), recensioni di altri clienti, ecc. consentono di migliorare la user experience dell’utente. In ogni pagina di prodotto deve essere ben visibile e chiara la possibilità di “aggiungere al carrello” il prodotto desiderato.
- Siamo nella fase di finalizzazione dell’acquisto, l’utente deve poter scegliere se registrarsi al sito (con e-mail o con login di accesso di un social, es. Facebook) oppure acquistare come guest (ospite). In entrambi i casi dovrà rilasciare i dati per la spedizione (ed eventuale fatturazione) e scegliere la modalità di pagamento (bonifico, paypal, carta di credito, contrassegno) e consegna (corriere espresso, spedizione ordinaria, ritiro in negozio, ecc.). L’errore più comune è considerare conclusa in questo modo la fase di vendita.
- Devi invece pensare che questo è solo il primo passo, ora spetta all’azienda prendere in mano la gestione dell’ordine. Ricevuta la notifica di acquisto, devi iniziare l’iter per l’evasione dell’ordine: prelevo del prodotto dal magazzino e preparazione del pacco per la spedizione, fatturazione, affidamento al corriere.
Tutte queste fasi devono essere comunicate (o rese accessibili per una consultazione) al cliente. Buona norma è chiedere al cliente un feedback, un commento, un voto, cosa che permetterà ad altri potenziali acquirenti di farsi un’idea sul negozio e sul tuo modo di lavorare.
Marketing automation
Nella stragrande maggioranza dei casi i siti di e-commerce hanno carrelli pieni di prodotti che però non si tramutano in acquisto, almeno nell’immediato.
Questo avviene perché gli utenti utilizzano il carrello come deposito. “Tanto metto il prodotto nel carrello, poi magari domani lo acquisto”. Questo avviene anche se avete previsto la possibilità di creare una “Lista dei desideri”.
Niente da fare, l’utente medio preferisce riempire comunque il carrello… sarà un retaggio del nostro modo di acquistare nel mondo reale. Chi lo sa!
A proposito, se dovete fare un regalo alla vostra ragazza, a vostra moglie, e non sapete cosa acquistare per lei, date uno sguardo al carrello del suo sito preferitom, sarà come leggerle nel pensiero, non si può sbagliare. Benedetta tecnologia! 😅
E’ facile intuire come avere un e-commerce con un carrello che abbia memoria dei prodotti inseriti sia molto importante. In modo da riproporli all’utente nel momento in cui entrerà nuovamente nel nostro sito o navigherà su altri siti (retargeting se è un cliente guest, remarketing nel caso sia un cliente loggato).
Per cercare di trarre vantaggio da questo modo di fare, sempre più spesso i siti di e-commerce integrano software di marketing automation. Cosa sono?
In parole povere il software di marketing automation altro non è che l’equivalente del commesso nel negozio tradizionale. Una voce di costo differente nella “forma”, ma non nella sostanza.
Ricordi cosa succedeva con l’alimentari sotto casa? Entravi ed il titolare dietro il bancone ti diceva: “Pane ben cotto e salato, giusto?”, oppure: “Oggi ho questo prosciutto buonissimo, ne faccio un etto?”, o ancora: “Giovedì era stato tentato dalla mozzarella di bufala, oggi ce l’ho in offerta, la vuole?”.
Ecco i software di marketing automation non fanno che automatizzare queste funzioni. E’ il commesso, solo che è digitale.
Per cui se hai messo un prodotto nel carrello, ma non hai concluso l’acquisto, potresti ricevere una mail con un codice sconto. Oppure se acquisti con frequenza un prodotto potresti vedertelo offrire con azioni di retargeting o remarketing.
Se hai acquistato un prodotto che prevede l’acquisto di accessori di consumo, ad es. una stampante, dopo un po’ di tempo potresti essere oggetto di azioni di marketing che ti offrono di acquistare carta, cartucce o toner (cross selling).
Il commesso digitale ti conosce bene, meglio di quello reale (perché sa quello che fai anche in altri negozi e nella tua vita social) e si ricorda di te!
Ultima frontiera: dynamic pricing
Ultima cosa da sapere. I prezzi all’interno di un e-commerce possono essere dinamici. Cosa significa? Posso mostrare prezzi diversi a clienti diversi? Si. Dai, non dirmi che non te ne eri accorto!!!
L’ho provato io stesso prenotando un biglietto: da loggato al sito (quindi da cliente conosciuto) e da ospite (guest), stesso biglietto, stesse identiche condizioni, due prezzi diversi e non di poco.
E’ lecito? Boh…
Sappi però che la pratica è più diffusa di quello che pensi e consiste proprio nel variare i prezzi in base alle caratteristiche (su tutte la capacità di spesa) del consumatore.
Sei collegato con iphone ultimo modello? Viaggi in prima classe ed alloggi in hotel di lusso… allora vedi (e paghi) prezzi più alti (il che in linea di principio nemmeno mi dispiacerebbe come idea di giustizia sociale e redistribuzione del reddito digitale).
Il problema è che non sempre quello che faccio in rete equivale a quello che posso fare nella realtà. Ad esempio potrei essere un visitatore di siti di auto od orologi di lusso, ma non potermene mai permetterne uno… e ritrovarmi a pagare i biglietti come chi gira in Bugatti. Che beffa!
Per spiegarti meglio di cosa sto parlando riporto un estratto del documento redatto dal dott. Marco Massimini (il contenuto integrale lo trovi qui: https://bit.ly/tobedigital-dynamicpricing).
“I continui sviluppi dell’information technology e la logica del profitto suggeriscono ai venditori del mercato digitale che oggi è possibile ottenere nuove e consistenti marginalità adottando decisioni automatizzate basate sulla profilazione degli utenti web.
Per far questo, si dovrebbe chiedere alla privacy di scansarsi per far spazio ad un’ampia attività di monitoraggio che consenta di discriminare i prezzi in base alle caratteristiche dell’individuo. Affidando a raffinati algoritmi machine learning l’analisi delle diverse tracce elettroniche disseminate nel cyberspazio, si possono ottenere preziosi indicatori sul benessere economico di una persona, la sua propensione all’acquisto ed altre informazioni in grado di svelare connotazioni e attitudini private utili a formulare offerte sempre più customizzate.
Il retailer può così offrire la cosa giusta, al momento più opportuno, al costo che stima maggiormente sostenibile (o comunque invitante) per lo specifico consumer; grazie a tale strategia, il primo ha maggiori chance di convincere il secondo ad acquistare, e il secondo può spuntare un prezzo migliore rispetto al solito.
Potendo apportare, almeno in via di principio, vantaggi a tutte le parti negoziali, se un simile business model dovesse dispiegarsi su larga scala dovremmo teoricamente assistere ad una complessiva ottimizzazione del rapporto tra domanda e offerta: un fenomeno cui, pertanto, dovrebbe riconoscersi una congrua utilità socioeconomica.
Tuttavia non può sfuggire che vi siano questioni da vagliare sul piano sia etico che giuridico e, ad avviso di chi scrive, converrebbe che i regulators le affrontassero prima che la pratica si diffonda in ogni dove.
A prescindere da come è costruito, è pacificamente accettabile che ad ognuno di noi sia mostrato un prezzo diverso per il medesimo bene? Ed è giusto che la differenziazione sia basata sul monitoraggio di quello che facciamo online?
Per quei giant tech d’oltreoceano che hanno come asset fondamentale la monetizzazione dei dati personali (Google, Facebook, Amazon, etc.), probabilmente non ci sarebbe nulla di sbagliato in tutto questo perché si tratterebbe di un’evoluzione naturale del loro modo di fare business. E comunque, giusto o sbagliato che sia, occorre prendere atto di una cruda verità: storicamente il rapporto venditore-acquirente non è una democrazia, e tanto meno lo è da quando il rapporto si è trasferito in un digital marketplace globale ed oligoplistico, egemonizzato da pochi in grado di imporre le proprie logiche commerciali a miliardi di persone. Ciononostante, non è detto che lo sviluppo di queste pratiche commerciali abbia vita facile. Specie dopo il caso Facebook/Cambridge Analytica, il pubblico potrebbe mostrare scetticismo riguardo le tecniche di microtargeting volte a influenzare le scelte degli utenti. E, in riferimento ai cittadini UE, questi sistemi dovrebbero fare i conti con le norme a difesa dei consumatori e con le nuove disposizioni in materia di protezione dei dati personali (GDPR e Regolamento ePrivacy)”.
Insomma, come dico sempre, la tecnologia aiuta a vivere meglio, il digitale apre mondi e possibilità infinite, ma bisogna conoscere le cose per saperle gestire e regolarle. In questo contesto, diffondere cultura digitale, continua ad essere un mio obiettivo prioritario.
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