3 giorni intensi, pieni di incontri con vecchi e nuovi amici, di chiacchierate, molte risate, ma anche tanto lavoro e, soprattutto, quell’ascolto “attivo” di cui parlavo proprio nell’ultima newsletter. Questo è stato per me il We Make Future 2024.
Riassumere 3 giorni in un articolo… manco David Copperfield. Quindi mettiti l’anima in pace, c’è tanto da leggere, ma ti prometto che che se arrivi alla fine, qualcosa ti porti a casa!
Ho seguito vari stage, ma in modo particolare quelli dedicati al Brand ed all’AI. Questi gli interventi che mi hanno colpito maggiormente.
Parlando di brand (tema che mi sta molto a cuore in questo periodo) Daniele Chieffi, Mirko Bruni e Nicolò Cappelletti, hanno provato a delineare i macro trend che definiranno i brand del futuro: 1) inclusività 2) sostenibilità e responsabilità sociale 3) comunicazione trasparente 4) no mega iniziative sociali che durano il tempo di una campagna social, meglio piccole azioni (anche local) ma seguite e consolidate nel tempo!
A monte di tutto ciò però ci sta sempre il prodotto. E meno male! Ma sentirlo ripetere mi ha fatto bene, con buona pace dei fuffaguru del marketing, che pensano si possa trascendere da un prodotto top per avere successo solo con la comunicazione ed il marketing. Bene così!
Valentina Falcinelli mi ha davvero sorpreso, per la capacità di semplificare in alcune slide la definizione dei codici di marca (visivi, sonori, olfattivi e verbali). Se t’interessa approfondire i concetti di “marketing sensoriale” vale la pena seguirla, anche perché usa una dialettica divertente e spiritosa. Brava!
Mariano Diotto ha approfondito alcuni concetti di neuromarketing, per aiutare i brand a comprendere meglio i processi decisionali dei consumatori ed adattare le loro strategie di marketing in modo più preciso ed efficace. Ti devi posizionare in un segmento di mercato già abbondantemente presidiato? Prova ad abbinare categorie semantiche distanti! ES. Pandora: settore gioielleria – categoria semantica gioielli + categoria semantica personalizzazione = Pandora il gioiello fai da te (personalizzato).
Alberto Collet ha raccontato come progettare un brand, partendo dall’analisi ed unendo le esigenze di clienti e collaboratori. Fondamentale la “coerenza”: 1) valoriale (tra clienti e comunicazione interna) 2) di posizionamento (tra clienti e collaboratori) 3) coerenza interna (tra collaboratori e comunicazione interna).
Sergio Spaccavento ha dato una dimostrazione pratica di come le macchine oggi superino ampiamente il test di Turing. 2 poesie a confronto, qual è quella scritta dall’AI? E la maggior parte dei presenti (me compreso) ha indicato come “umana” quella scritta dall’AI. Istruttivo e divertente. Test che sicuramente utilizzerò per qualche mio speech.
Alessandro Mininno mi ha fatto riflettere sul concetto di lavoro. I robot hanno sostituito l’uomo nelle catene di montaggio, prima nei lavori ripetitivi e pesanti (muscolari), poi anche in quelli di precisione. Oggi possiamo immaginare l’AI come sostituto di tutti quei lavori “cerebrali muscolari”. Il punto vero, in questo caso, sarà riconoscere per tempo i lavori cerebrali di tipo muscolare. Quei lavori ripetitivi, standardizzati ed analitici, che delegheremo senza problemi all’AI.
Jacopo Perfetti si spinge oltre, affermando che, come professionisti, non saremo più chiamati per “cosa” siamo (avvocati, commercialisti, marketing manager, giornalisti), quanto per “come” lo siamo. Ed allora il personalbranding di ognuno di noi diventerà sempre più determinante nella scelta del cliente.
Andrea Cecchetti, proprio nel contesto di un personal branding sempre più indispensabile in futuro, ha illustrato alcune funzionalità di LinkedIn potenziate con l’intelligenza artificiale. E’ già possibile creare in modo automatico dei messaggi che vengono personalizzati sulla base delle tue competenze, in virtù delle competenze e delle possibili necessità del collegamento che stai contattando. E si può personalizzare anche il messaggio di follow up.
Marco Quadrella perfeziona questo ragionamento sostenendo come nel giro di qualche anno avremo gemelli digitali (digital twin) che svolgeranno per noi alcuni compiti di base, liberando tempo al professionista, che si potrà dedicare ad attività a più alto valore aggiunto per il cliente. L’AI in questo contesto non è un tuo “concorrente”, quanto lo sono invece i tuoi competitor che hanno già iniziato ad utilizzare questi strumenti.
Massimo Chiriatti è stato, come sempre, illuminante. Per me inizia ad essere un vero mito. Non tanto per quello che dice sull’AI (sempre ad un livello molto elevato), quanto per la capacità di accendere in me delle lampadine (pensiero laterale lo chiamerebbero quelli bravi). Massimo sostiene che una stessa parola può assumere diversi significati, a secondo del contesto e di chi la pronuncia. E fa alcuni esempi. Quando possiamo definire una macchina “autonoma”? Per un ingegnere una macchina è autonoma quando svolge da sola un compito (es. un robot in una catena di montaggio). Per un economista quando sostituisce lavoro umano, facendo risparmiare quel costo (es. un robot tagliaerba che sostituisce un giardiniere). Per un filosofo una macchina sarà autonoma solo quando sarà libera di scegliere (ed in questa accezione nessuna intelligenza artificiale, programmata su algoritmi, potrà forse mai esserlo veramente).
Ed eccola allora la lampadina che ha acceso.
Mi sono domandato perché dobbiamo arrovellarci nel cercare di definire cosa è l’intelligenza artificiale? Quando ancora non siamo riusciti definire univocamente cosa è l’intelligenza! Stando al Dizionario Treccani: “capacità di adattarsi a situazioni nuove o anche di modificare una situazione quando presenta degli ostacoli”.
Se l’uomo scatenasse una guerra nucleare (oltre a decretare il suo scarso livello di intelligenza) e scomparisse dalla faccia della terra, probabilmente qualche batterio si adatterebbe all’ambiente e resterebbe in vita.
Un batterio è intelligente? Più intelligente di un essere umano?
Io sono per lasciare da parte le definizioni e concentrarsi su quanto di buono possiamo fare con questi nuovi strumenti.
Allargando il ragionamento all’intelligenza artificiale io credo che piuttosto che interrogarci sul cos’è, quanti e quali lavori sono a rischio, in quanto tempo, come regolamentarla (tutto corretto, sacrosanto e necessario), sarebbe meglio iniziare ad utilizzarla tutti, e subito. Non farlo significa competere con molto meno del 50% di potenza cerebrale. Semplicemente, non ce lo possiamo permettere.
A quel punto inizierei a rivalutare il batterio.
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