Sono tornato da Bologna, dopo 4 giorni full immersion, due dedicati alla Social Media Strategies e due alla Search Tech, con il rafforzamento di una certezza: il futuro non è una linea retta, ma un pendolo che oscilla tra iper-tecnologia e ritorno all’essenza.
Se c’è un filo rosso che ha legato gli interventi di quest’anno, è la conferma che siamo passati da un marketing “delle istruzioni” ad un marketing “delle intenzioni”.
Non siamo più noi a dover spiegare alle macchine cosa fare passo dopo passo; sono gli algoritmi ad interpretare i bisogni, spesso anticipandoli. È quello che vado dicendo da tempo quando parlo del “commesso digitale”: l’algoritmo ti conosce meglio di te stesso, sa cosa vuoi prima ancora che tu lo sappia. Ma attenzione: la tecnologia senza una visione umana, senza quella curiosità che ci distingue dalle macchine, resta una scatola vuota, un “agere sine intelligere”.
Ecco la mia lettura delle tendenze emerse, senza filtri e, come sempre, con qualche provocazione necessaria a stimolare il dibattito.
L’evoluzione tracciata da Michael Vittori sugli algoritmi di Meta è la prova provata di quanto sostengo nel mio ultimo libro (Marketing 0.0): il marketing sta tornando alle origini, ma con strumenti potentissimi. Nell’impostare le campagne di Meta siamo passati da algoritmi basati sul targeting manuale a quello assistito (Advantage+, Lattice e ora GEN), che non si limitano a reagire ma interpretano i bisogni latenti.
Se cerchi contenuti su una vacanza in montagna e ti propongo un piumino, non è magia, è predizione. È l’evoluzione del “retargeting” che diventa “precognizione”.
Ma qui scatta il mio “Ma…”. L’AI gestisce l’impostazione meglio di noi? Sì.
Dobbiamo lasciar fare tutto alla macchina? No.
La regola del “delegare e controllare” è sacrosanta, ma io aggiungerei: guidare, guidare e controllare. L’algoritmo premia la qualità semantica e la stabilità, vero, ma siamo noi a dover fornire l’input creativo. Non possiamo abdicare al ruolo di strateghi. Lasciamo che l’algoritmo trovi il cliente (basta micro-targeting ossessivo, lasciatelo lavorare!), ma il cosa dire a quel cliente resta una nostra responsabilità.
Mentre l’AI scala i processi, l’essere umano deve scalare la fiducia. A Bologna si è parlato di “narrazione autentica” e “nostalgia marketing”. E su questo punto devo dire che ero preparato ;-). Era il 2017 quando, preso da molti come un pazzoide, ho iniziato a parlare di “Expertelling”, da sostituire ad uno storytelling che affabula e costruisce mondi finti.
È tempo di rivincita per l’Expertelling. In un mondo saturo di contenuti sintetici generati dall’AI, la differenza la fa l’esperienza vissuta, la competenza reale, la faccia che ci metti.
E se la faccia è quella del tuo “gemello digitale”? Funziona? Noi in CuDriEc lo stiamo sperimentando, alcune volte si, funziona, ma l’imprenditore in carne ed ossa che si espone, che racconta la sua verità, vincerà sempre sull’avatar perfetto.
Il cliente è stanco di un brand che si loda (autoreferenzialità addio!), cerca conferme e validazione sociale. Ed in questo spazio si inserisce il Content Curator. Prenderà il posto del Content Creator? Forse. In un’epoca in cui la generazione e la “paternità” di un contenuto (testo, audio, video) diventa sempre meno importante rispetto al contenuto stesso, colui che usa la curiosità per selezionare (curare) i contenuti e dare senso al caos, rompe le bolle in cui gli algoritmi tendono a rinchiuderci e si guadagna la fiducia del pubblico.
La SEO sta vivendo quello scossone che era nell’aria. Google non è più il “vigile urbano che smista traffico, è diventato un motore di risposta”. Se l’utente cerca, Google risponde direttamente (spesso senza clic).
La distinzione tra Bot e Agenti AI è cruciale: il Bot agisce per se stesso (meglio, per chi l’ha creato) l’Agente agisce per noi. Ma attenzione: se la ricerca diventa semantica e basata sull’intento, la nostra ossessione non deve essere “fregare l’algoritmo”, ma rispondere davvero alla domanda dell’utente.
Qui torna il concetto sul quale abbiamo fondato CuDriEc, la Customer Driven Economy: i contenuti generati dagli utenti (UGC), le recensioni, le esperienze reali diventano il vero motore della SEO. L’autorità non te la dai da solo, te la riconosce la rete.
L’analisi sui Micro-Moments presentata da Fiorelli è musica per le mie orecchie perché smonta la linearità teorica che spesso si insegna ma non esiste nella realtà. Il modello “I want to know/do/go/buy” è la traduzione pratica di quel “marketing de strada” di cui parlo spesso. Non serve a nulla essere ovunque se non ci sei nel momento esatto in cui il cliente ha un dubbio o un bisogno.
Dagli eventi di Bologna porto a casa una conferma: l’AI ci dà la sensazione di onnipotenza, ma in realtà è solo un amplificatore. Ci permette di fare meglio e più velocemente ciò che già sappiamo fare. Ma se non sappiamo cosa fare, l’AI amplificherà solo il nostro caos.
La sfida per il 2026 non è tecnologica. È di visione.
Saper orchestrare algoritmi predittivi (Meta), agenti intelligenti (Search) e narrazioni umane (Expertelling) in un unico piano d’azione coerente.
La curiosità ci salverà dall’algoritmo, ma solo se avremo il coraggio di restare profondamente umani, imparando ad utilizzare bene le macchine, all’inizio ed alla fine del processo di generazione di valore.
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