Cosa è la geoarchitettura, quali sono i suoi principi fondanti? Ce lo spiega l’Arch. Paolo Portoghesi in questo articolo preparato per il suo intervento al Digital Day 2018.
Premetto che io sono ottimista, apprezzo molto le conquiste della tecnologia per quegli aspetti che hanno un cambiato la nostra vita e promettono di cambiarla ancora in meglio. Ma sono anche altrettanto interessato agli aspetti negativi. Cioè ai rischi che questa trasformazione del mondo che sta venendo sotto i nostri occhi possa portare conseguenze negative.
Quindi sono convinto che sarebbe assurdo chiudere gli occhi e rifugiarsi nel passato. Pensando che tutto ciò che c’era è meglio di ciò che c’è e ci sarà. Dobbiamo sperare invece che si possa sempre migliorare. Ma essere consapevoli che negli ultimi tempi insieme ad alcune grandi conquiste ci sono state delle terribili perdite.
Meno Archistar e più attenzione all’ambiente
Io credo che l’architettura negli ultimi decenni sia stata un po’ espressione dell’individualismo violento, caratteristico di questa società del consumismo.
E’ diventata oggetto di consumo, oggetto di propaganda per multinazionali, per i grandi poteri, ma anche per gli stessi architetti. Tanto che sono nate le famose “Archistar”. Una ventina di persone che nei propri studi riescono ad accumulare il 60% del lavoro importante che si realizza sulla terra.
Questo è un aspetto sicuramente negativo, sarebbe meglio se ci fosse una maggiore distribuzione e probabilmente potremmo fare a meno di questi divi dell’architettura. Se avessimo molti tecnici che riescono a costruire un’architettura che non danneggi l’equilibrio dell’atmosfera.
La geoarchitettura
E’ un obiettivo che ormai da una ventina d’anni ci si pone, e che io ho chiamato geoarchitettura. Partendo dal principio che oggi attraverso la globalizzazione abbiamo una responsabilità che non riguarda soltanto quel pezzo di terra a cui lavoriamo ma il mondo intero.
Ma se non si interviene a livello globale non si possono combattere i pericoli dello sviluppo tecnologico che si presentano per il futuro.
Io continuo ad insegnare perché penso che non tutti i giovani sono consapevoli di questa responsabilità dell’architettura. Quindi cerco di far capire loro che da una parte bisogna utilizzare tutti gli strumenti nuovi che sono a nostra disposizione. Dall’altra dobbiamo renderci conto dei rischi che corriamo.
Lavoro e identità
Qualcuno pensa che nella società futura verrà abolito il lavoro. Probabilmente questo avverrà tra 2 o 300 anni, ma in questo periodo intermedio questa sostituzione della macchina all’uomo ha un costo spaventoso: la disoccupazione.
E’ terribile ma è una realtà, per ogni automa che si costruisce un centinaio di lavoratori restano a casa, senza lavoro. Si, certo il reddito di cittadinanza potrebbe risolvere questo problema, ma la perdita di lavoro non è soltanto un problema economico.
Risolverebbe forse il problema economico ma creerebbe questo terribile problema della perdita di identità. Perché senza il lavoro non si acquista la propria identità.
E’ il lavoro, la scelta di quello che si vuole fare che determina la crescita, determina la maturazione dell’individuo allarga in un certo senso il cervello.
Se tutti quanti si accontentassero dei videogiochi o di fare delle passeggiate in campagna nella migliore delle ipotesi avremmo certamente delle persone meno problematiche. Ma secondo me avremmo persone ancora più infelici.
Perché le grandi soddisfazioni della vita sono legate proprio al lavoro, sono legate a quello che uno fa, che costruisce con le proprie mani.
Abitare poeticamente
In questo il lavoro dell’architetto e l’architettura è di fondamentale importanza. Perché è lo strumento che consente all’uomo di abitare, nel senso più completo della parola. Perché un uomo che sta solo sulla terra, alla mercè delle insidie dell’atmosfera, non è ancora se stesso. Diventa se stesso quando si costruisce una casa.
Gli architetti dunque, piuttosto che pensare di diventare delle archistar, dovrebbero pensare di diventare delle persone che aiutano gli altri ad abitare, ad abitare poeticamente direi.
Ecco forse l’obiettivo che si possono dare gli architetti è consentire all’uomo moderno di abitare poeticamente. Che cosa significa abitare poeticamente lo lascio al lettore, poichè è una cosa molto difficile da definire.
Ciascuno di noi sa cosa vuol dire leggere una poesia, sa che vuol dire ritrovare la poesia negli avvenimenti quotidiani. Alcuni aspetti fondamentali della cultura sono proprio il risultato della poesia.
In questo ritroviamo le ragioni della georchitettura: cercare di combattere i rischi di ciò che sta avvenendo in tutto il mondo.
Una architettura della responsabilità
Naturalmente gli architetti, responsabili di molti aspetti negativi della situazione attuale, dovrebbero mobilitarsi.
Oggi siamo in un mondo in cui la politica ha perso molto del suo fascino. Quando io ero giovane impegnarsi politicamente era sentito come un dovere e naturalmente c’era un lavoro politico si lavorava nelle sezioni dei partiti. Si discuteva fino a notte inoltrata certe volte, su questioni che riguardano la vita sociale.
Oggi la gente si interessa di politica solo quando deve votare. Il rilancio di una architettura della responsabilità è legato anche alla presenza politica degli architetti nella società. Cioè al fatto di contribuire a creare una condizione culturale nuova che è indispensabile.
Non si tratta soltanto di una visione idealistica, di una visione utopica, si tratta di una visione concreta. Se noi non interveniamo in qualche modo la terra diventerà inabitabile.
Se uno ha la pazienza di guardare sul web la prospezione tra 50 anni di come potrebbe essere il nostro stivale si accorge ad esempio che Venezia sarà sott’acqua.
E tutto questo è la conseguenza dell’aumento della temperatura, dello sciogliersi dei ghiacciai, ecc.. Questa non è una favola, sta avvenendo. E’ ormai di fronte ai nostri occhi, qualcosa che possiamo e dobbiamo combattere. Se non per noi per i nostri figli.
Uno dei fondatori dell’architettura moderna, William Morris diceva: “Stiamo attenti perché noi rischiamo di lasciare ai nostri figli una terra impoverita rispetto a quello che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri”.
Questa constatazione che era drammatica già alla fine dell’800 oggi è molto molto più drammatica! Certo noi consegniamo una terra in cui è più facile vivere, in cui c’è maggior efficienza, in cui ci si muove meravigliosamente e velocemente. Ma una terra che si lamenta, una terra che sta emettendo un grido di dolore.
Geoarchitettura: requisiti fondamentali
Parlando di geoarchitettura non ho indicato quelli che sono i requisiti fondamentali:
- imparare dalla natura, perché la natura ci insegna ad esempio ad economizzare, ad utilizzare ciò che è indispensabile, praticamente ci insegna la coerenza e nello stesso tempo ci insegna la bellezza, che è un mistero che però l’uomo molto spesso riesce a raggiungere;
- imparare dalla storia, non dimenticare il passato, cercare di evitare soprattutto gli errori che sono stati fatti nel nostro passato;
- attuare l’innovazione, quando questa risolve un problema. Non bisogna accontentarsi di ciò che abbiamo, meno che mai guardare al passato con nostalgia come se si potesse tornare indietro, indietro non si va, si può andare sotto avanti.
L’innovazione è un’esigenza fondamentale dello spirito. Oggi l’innovazione ci consente di progettare in tre dimensioni, cioè se noi facciamo un modello tridimensionale delle cose che stiamo progettando possiamo entrarci dentro vederlo da lontano da vicino. Oggi si fa un unico modello e lo si guarda dentro e fuori da qualunque distanza.
Una conquista di importanza determinante, perché oggi un architetto non ha nessuna scusa se fa un edificio che non ha una sua profonda unità!
Responsabilità comune
A che serve l’innovazione? Serve ad essere più efficiente nello sconfiggere lo squilibrio che l’uomo ha creato proprio attraverso l’innovazione! Bisogna a questo punto capire che l’innovazione è necessaria ma non deve essere fine a se stessa. Se è fine a se stessa e non risolve uno dei grandi problemi dell’uomo vuol dire che non è vera innovazione.
Io credo che ci sono due modi di sfuggire alla grande responsabilità che abbiamo:
- una è quella di lodare gli sviluppi tecnologici e la società del futuro senza alcuna capacità critica;
- l’altra è rifugiarsi nel passato, pensando che si possa tornare indietro.
Non sfuggire a questa responsabilità è compito di tutti noi.