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SEO: perchè è così importante la semantica e l’intento di ricerca?

La ricerca semantica è un processo di recupero informazioni utilizzato dai motori di ricerca moderni per fornire risultati di ricerca più rilevanti. Tale processo si focalizza nel significato delle query (interrogazioni) di ricerca, in alternativa al tradizionale confronto di parole chiave.

“La semantica, dal greco σημαντικός (comprensione) è un ramo della linguistica che si occupa dei fenomeni del linguaggio dal punto di vista del significato. Applicata alla ricerca si riferisce essenzialmente allo studio delle parole e alla loro logica. In sostanza Google utilizza un algoritmo capace di comprendere l’intento di ricerca del singolo utente, restituendo informazioni basate non solo sull’analisi delle parole chiave come significato esatto, ma sulla comprensione degli elementi di contesto che appaiono nell’ambito della ricerca” (dal Blog di Semrush).

I motori di ricerca viaggiano velocemente verso un linguaggio naturale. Pensaci un attimo, fino a qualche anno fa se cercavi qualcosa su Google scrivevi come un robot, senza articoli, senza punteggiatura, frasi che avevano poco senso: “Hotel Venezia Canal Grande”. Con i nuovi algoritmi di AI il motore di ricerca potenzia la sua capacità di analisi e l’utente cambia il modo di scrivere e ricercare: “Qual è il miglior hotel a Venezia sul Canal Grande?” Si tratta di frasi semanticamente corrette e più lunghe (a “coda lunga”), per cui le possibili azioni SEO si ampliano notevolmente. Nell’esempio riportato potrei cercare di posizionare il mio contenuto per “Hotel Venezia”, “Miglior Hotel Venezia”, “Hotel Venezia sul Canal Grande”, “Migliore Hotel sul Canal Grande”, “Hotel sul Canal Grande” ecc.

Il search intent

Oggi i motori di ricerca riescono sempre più ad interpretare il bisogno dell’utente, tanto da introdurre il concetto di “search intent”. Ciò che maggiormente affascina è l’abilità di Google di modificare temporaneamente i risultati in base ai cambiamenti dinamici dell’intento di ricerca. Per esempio, coronavirus non è un termine nuovo. E’ sempre stato il nome di un gruppo di virus. Ma come tutti sappiamo, l’intento di ricerca cambia rapidamente all’inizio del 2020. Le persone hanno iniziato a cercare informazioni su una specie di coronavirus (SARS-CoV‑2), e la SERP si modifica di conseguenza, mostrando per primo quel tipo di coronavirus.

Altro esempio, io sono tifoso della Lazio ma sono anche residente nella Regione Lazio. Ebbene siccome cerco e leggo quotidianamente notizie sulla mia squadra del cuore se io digito “Lazio” il motore di ricerca mi restituisce automaticamente tutti i siti che parlano di questo argomento e solo marginalmente notizie sulla “Regione Lazio”. Google ormai mi conosce, sa che se digito “Lazio” sto cercando informazioni su una squadra di calcio.

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La capacità dei motori di ricerca di capire cosa stai cercando diventa sempre più affinata e si basa su concetti che distinguono gerarchie lessicali e relazioni tra entità, riuscendo così anche a sciogliere i nodi per parole ambigue o dal doppio significato.

Strumenti SEO

Esistono molti strumenti che permettono di svolgere operazioni di SEO (SEO audit), alcuni gratuiti, altri parzialmente, altri ancora solo a pagamento. Google ad esempio mette a disposizione uno strumento gratuito che si chiama “Search Console”, che permette a chi si occupa di SEO di acquisire tutta una serie di informazioni sul sito internet (parole più cercate, quanto traffico sta portando, errori da correggere, ecc.). Altri strumenti molto utilizzati sono SeoZoom, SemRush, Kleecks, Screaming Frog, Seo Spider, ecc.

Ovviamente sempre di Google insostituibile è “Analytics” che permette di analizzare il traffico dalla rete: chi sta visitando il sito internet, i dati demografici, geografici, il tempo di permanenza sulle pagine, le azioni all’interno del sito ecc.

Altri due software che consentono una veloce azione di SEO audit sono Page Speed di Google e Gtmetrix, entrambe gratuiti, utili per capire se il tuo sito è effettivamente veloce, dove sono i problemi di velocità ed eventualmente come risolverli.

Link building

Un’azione che aiuta molto il buon posizionamento di un sito è l’attività di link building. Con essa si intende “la tecnica SEO volta ad incrementare il numero e la qualità dei link in ingresso verso un sito web”. Link building contribuisce, con modalità che ad oggi non sono perfettamente chiare, sia ad aumentare il valore (ranking) di un dominio che, eventualmente, il posizionamento su Google di alcune pagine di quel dominio.

In genere la tecnica consiste nel “tessere rapporti con altri siti web e far conoscere il nostro (mediante richiesta via email, forum di discussione, acquisto diretto di link e commenti sui blog), per poi suscitare interesse nei confronti di un argomento che trattiamo e magari ottenere un link ad una pagina che ci interessa promuovere, facendo in modo che Google interpreti questo come un segnale di autorevolezza” (Fonte Wikipedia).

Questa attività va gestita con molta attenzione ed in maniera professionale, per evitare che si riveli addirittura dannosa per il posizionamento del sito. Ad esempio è sconsigliabile cercare di acquisire link in entrata in modo massivo. La crescita dei link in ingresso dovrebbe avvenire in maniera quanto più possibile naturale, ovvero al crescere del traffico del sito web presumibilmente aumentano i link in ingresso al sito.

La qualità dei link e l’autorevolezza dei siti che linkano al tuo è un parametro fondamentale. Più il sito che linka un tuo contenuto è autorevole (naturalmente nello stesso settore in cui operi, questo determina anche la sua qualità), maggiore sarà l’effetto benefico in ottica SEO.

Le linee guida per la valutazione della qualità della ricerca di Google attribuiscono grande importanza al concetto di EAT (acronimo di Esperto, Autorevole e Affidabile). I siti che non presentano queste caratteristiche tendono ad essere visti come di qualità inferiore agli occhi dei motori di ricerca, mentre quelli che le possono vantare vengono successivamente premiati. Più un sito è popolare e importante, maggiore è il peso dei link di quel sito.

Per fare questa attività ci vuole tempo, bisogna tessere rapporti, insomma non è sicuramente un’azione di breve periodo, rientrando a tutti gli effetti negli obiettivi strategici del digital marketing. Potresti pensare che ricorrendo all’acquisto di link riusciresti ad accelerare i tempi. Ripeto non è così, poiché una crescita improvvisa di link in ingresso potrebbe far insospettire il motore di ricerca e dunque portare ad una penalizzazione del sito. Pertanto, se acquistare link non è vietato o scorretto, questa azione va gestita da professionisti competenti.

Se pensi all’acquisizione di link in modo naturale allora capisci bene che un sito non può avere solo link da siti autorevoli e di settore, ma avrà anche qualche link in ingresso da siti che non sono esattamente nel tuo stesso settore, da siti meno autorevoli ecc. Motivo per cui in una strategia di link building (quindi un qualcosa di organizzato e non naturale) dovrai tenere in giusta considerazione anche queste valutazioni.

Se fino a qualche anno fa le azioni SEO venivano fatte solo e soltanto sui contenuti testuali, da un po’ di tempo a questa parte, e sempre più nel futuro, i contenuti multimediali (video ed audio) la faranno da padrone e con esse la SEO dedicata. Un esempio aiuta a capire. Hai presente Echo di Google o Alexa di Amazon? Li interroghi e loro ti rispondono tramite un contenuto audio. Ebbene quei contenuti sono stati scritti e catalogati in ottica SEO. Il futuro della SEO sarà assolutamente multimediale.

Ultimo aspetto della SEO è la crossmedialità, ovvero l’utilizzo di contenuti che passano da un media ad un altro, senza che neanche ce ne accorgiamo. Altro esempio. Fai una ricerca con lo smartphone e ritrovi i risultati all’interno della TV, piuttosto che nel PC o magari nel tuo social preferito. Questo è possibile perché c’è chi sta studiando ed applicando la SEO anche per i contenuti cross mediali.

L’impatto dell’AI sulle banche: dalla digital transformation alla digital coopetition

Le banche italiane stanno transitando dalla digital transformation alla digital coopetition, un processo che, come volano primario, ha l’intelligenza artificiale (AI). La meta è la speedboat bank. Secondo un panel di 700 clienti bancarizzati di diversa età intervistati da Excellence Consulting, solo il 20% degli over 30 e nessuno degli under 30 si ritiene soddisfatto dei servizi digitali della propria banca digitale. 

Per l’implementazione di servizi finanziari innovativi, il 92% crede che l’AI potrebbe essere determinante, il 51% considera importante la costruzione di ecosistemi di servizi in partnership con altre fintech, mentre per il 25% sarà decisiva la tokenizzazione (trasformazione in blockchain, ndr) degli asset finanziari. Tale tendenza asseconda quanto viene dagli Usa ed è alla base delle scelte delle due principali banche italiane: Intesa San Paolo e UniCredit.

Le banche tradizionali (cosiddette incumbent), a valle di un decennio di investimenti in digital transformation, si dichiarano spesso deluse dei risultati ottenuti, sovente tramite applicazioni digitali che simulano vecchi processi analogici. In Italia pesa anche che numerose banche condividono i loro sistemi di core banking gestiti da aziende consortili.

La tendenza del top management, più che costruire la strategia digitale in partnership con i loro fornitori dei sistemi centrali, è lanciare nuove banche digitali appoggiandosi su piattaforme di mercato innovative e su di esse costruire il futuro – come indicato nei recenti piani industriali di Intesa San Paolo e UniCredit – puntando su applicazioni di core banking di nuova generazione, con l’obiettivo di convertire successivamente gli attuali sistemi legacy.

Livello digitalizzazione banche italia

Negli Usa siffatte banche sono chiamate speedboat (letteralmente motoscafo) bank. L’ offerta di queste, sviluppata inizialmente per servire una nicchia di clientela, successivamente potrà essere estesa a fette sempre più larghe di clientela, finché la nuova banca digitale diventerà l’organizzazione prevalente all’interno dell’organizzazione della banca tradizionale.

Nel dettaglio della ricerca di Excellence Consulting, “Dalla digital transformation alla digital coopetition”, sebbene il 56,6% degli intervistati afferma che le banche digitali, ad oggi, abbiano raggiunto un buon livello di digitalizzazione, solamente il 20% degli over 30 e nessuno degli under 30 si ritiene pienamente soddisfatto dai servizi digitali ricevuti. C’è quindi un margine di crescita e di intervento, in particolare circa la fascia di popolazione più giovane. Da numerose analisi internazionali emerge l’importanza dell’intelligenza artificiale per tratteggiare le caratteristiche della banca digitale del terzo millennio. La ricerca di Excellence conferma tale tendenza: il 92% degli intervistati reputa l’AI determinante per l’implementazione di servizi finanziari innovativi.

Livello soddisfazione servizi finanziari digitali Italia

Non solo, per il 51% degli intervistati sarà molto importante anche che tali banche sappiano costruire modelli di offerta basati su ecosistemi di servizi che prevedano anche la partnership con altre fintech, mentre per il 25% sarà la tokenizzazione degli asset finanziari un ulteriore elemento chiave di innovazione su cui le banche digitali dovranno investire.

“La nostra ricerca – dichiara Maurizio Primanni, CEO Excellence Consulting – evidenzia come possiamo considerarci all’alba di una nuova fase di digitalizzazione dell’industria bancaria. Dobbiamo renderci conto che abbiamo oramai superato la fase della digital transformation e stiamo entrando a pieno titolo in una nuova fase di mercato che possiamo definire di digital coopetition, in cui operatori tradizionali e innovativi si confronteranno, ma spesso anche collaboreranno, per lo sviluppo di nuovi servizi finanziari digitali. L’utilizzazione sistematica delle tecniche di data science & analytics e dell’intelligenza artificiale permetterà alle banche digitali di nuova generazione di superare il limite di un approccio commerciale troppo passivo, per potere proporsi alla loro clientela target in modo sempre più proattivo, con chatbot ed avatar che proporranno ai clienti soluzioni personalizzate sui loro bisogni. In tale contesto sarà molto importante raggiungere in tempi veloci condizioni di profittabilità ed autosufficienza economica, scegliendo le linee di offerta a più elevato potenziale di business, tra esse, le esperienze internazionali in corso, suggeriscono di porre particolarmente attenzione ad alcuni temi: il modello buy now pay later, integrato in offerte di embedded finance; i modelli ibridi di digital investing; il digital mortgage; l’offerta di servizi di deposito e consulenza per investimenti in cripto-assets.”

Impatto AI Banca del futuro

Che significa “Digitale”?

Che significa digitale? Ha a che fare con le dita? O con un determinato tipo di erbacea? Qualcosa che riguarda l’informazione?
Anche le fonti più attendibili come la Treccani faticano a trovare una descrizione esaustiva a questo termine, che è entrato con una forza mai vista all’interno del nostro quotidiano.

Cosa intendiamo oggi per Digitale?

L’informatica, per delle ragioni che vedremo fra poco, riesce meglio delle altre discipline a descrivere cosa significa digitale. “Si definisce digitale quel sistema che tratta le grandezze sotto forma di numeri discreti”. Numeri cioè che non hanno intervalli fra loro e la cui serie forma un sistema continuo, logico. Ad esempio 1, 2, 3,…e così via.

“Digit”, infatti, significa cifra, anche nell’inglese attuale. Non c’è quindi collegamento effettivo, nè con le dita, nè con le graminacee, anche se a volte queste connessioni sembrerebbero aver senso.
Ora che si è chiarita l’origine del termine, si può scendere leggermente più nel dettaglio. Analizzando come funziona un artefatto digitale, con sorpresa di molti, ci si accorge come questo non debba per forza essere qualcosa di astratto (come un videogame, un’applicazione per cellulare o un cartone animato). Rientrano infatti nel mondo digitale anche tutti quegli artefatti fisici (come un drone o una videocamera), che hanno una natura fisica, avendo infatti anch’essi a che fare coi numeri, nello specifico con lo 0 e con l’1.

Il digitale è tra noi

Vi siete mai chiesti come abbia fatto il vostro cellulare a scattare quella foto che vi piace tanto? Oppure come faccia un Dvd o un hard disk a memorizzare musica, film e immagini? Proprio con lo zero e con l’uno. Grazie ad un processo di digitalizzazione che sta praticamente coinvolgendo ogni device con cui ci rapportiamo.

Le informazioni infatti vengono scomposte in parti sempre più semplici, così come la materia è composta di molecole, poi atomi, poi particelle sempre più piccole… Beh nel mondo digitale alla fine, come “quanti” di informazione, troviamo lo zero e l’uno.

Questi due numeri servono a descrivere, punto per punto, ogni singolo fotogramma di un film, ogni microsecondo di musica, ogni pelo che si muove nel vostro film di animazione preferito.

Il lavoro che devono fare questi due numerini è inimmaginabile. Vi basti pensare che ogni secondo di un film è composto da un numero compreso fra 24 e 60 fotogrammi (ogni fotogramma è come una fotografia, messi in ordine e “riprodotti” si genera l’illusione del movimento).

Ogni fotogramma, a sua volta, è composto da moltissimi pixel (puntini colorati, come la vecchia pellicola a nitrati d’argento). Questi pixel messi insieme definiscono la dimensione (ad esempio 1920 x 1080, che poi sarebbe l’ormai noto Full HD) e la risoluzione di un’immagine (ad esempio 200 pixel per centimetro quadrato). Quindi quanto è effettivamente grande quell’immagine e quanto sarà definita la sua visione.

Insomma, per farla breve, un secondo di film è composto da circa 37 miliardi di puntini colorati. 37 miliardi di informazioni al secondo che il vostro televisore (o il vostro pc) elaborano continuamente, a partire da una stringa lunghissima di zero ed uno, che messi insieme con la giusta logica formano il “Codice binario”. Ovvero l’unico modo che abbiamo per entrare effettivamente in contatto con una macchina e “Parlarci”. Si, il codice binario è la lingua delle macchine.

Che significa digitale
Che significa digitale? Il codice binario fa ormai parte della nostra vita. Photo credit: Geralt by pixabay

Avrete tutti presente il modo in cui veniva costruito il mondo a partire da stringhe di codice verde nel film “Matrix”. Ecco, diciamo che nella realtà probabilmente quella quantità di codice sarebbe stato sufficiente a malapena a disegnare la pagina Facebook di Neo.

E questo codice non viene usato solamente per descrivere immagini o musica, bensì qualsiasi tipo di informazione che viene letta ed interpretata da dispositivi elettronici. Quindi anche un orologio (digitale appunto), un drone, un braccio industriale, una lavastoviglie,… tutti questi apparecchi, nel medesimo modo, svolgono migliaia di volte ogni secondo, lo stesso tipo di calcoli accennati sopra.

“Leggendo” pacchetti di codice costruiti a partire dal lavoro di ricerche precedenti, che poi arrivano agli utenti sotto forma appunto di film, di applicazione, di videogioco, ma anche di articolo di giornale o di messaggio privato.

Tutto ciò che è definito digitale ha a che fare con questo codice binario. Sia che si tratti di pacchetti di codice stesso, sia che si tratti di un apparecchio che riceve informazioni tramite questo.

drone e digitale
Anche un drone funziona grazie a codice binario, è dunque “digitale”. Photo credit: Free Photos by pixabay

Quindi la prossima volta che il vostro modem non va, o che il semaforo ci mette troppo tempo prima di far scattare il verde, o che banalmente il vostro video non carica, portate pazienza! Sta facendo dei calcoli che noi non saremmo neanche in grado di immaginare.

Perché un giornale per la diffusione di cultura digitale?

Da una settimana abbiamo deciso di rinnovare Moondo, dandogli un focus specifico e trasformandolo in un laboratorio di idee sul digitale. Le prime risposte? Eccezionali! Scelta la strada, bisogna cominciare a batterla… con un’unica certezza, quella di metterci tutto l’impegno possibile. Così ho deciso di partire per primo, come i gregari del ciclismo, che pedalano in testa fino a pochi metri dal traguardo. Non importa chi lo taglierà per primo quel traguardo, vincerà sicuramente la squadra. E la squadra che si va formando è composta da campioni. Ci sarà da divertirsi!

Risposte al di là di ogni aspettativa: E N T U S I A S M A N T I !

Questi i “pensatori digitali” che hanno già aderito all’appello ed iniziato a collaborare e firmare articoli su Moondo:

Persone eccezionali, che non hanno esitato un istante a rispondere positivamente a questo appello. Ho parlato con ognuno di loro ed ho trovato disponibilità, cortesia, voglia di dare una mano, ma soprattutto umanità Li ho ringraziati in privato, ma voglio farlo pubblicamente. Grazie, grazie ed ancora grazie!

A questa squadra di campioni se ne aggiungono ogni giorno, i colloqui proseguono e siamo in attesa di ricevere una mail. Se vuoi farne parte anche tu scrivi a: info@moondo.info. Ti ricontatterò io stesso.

Questo è un campionato strano, possiamo giocare e vincere tutti, basta raggiungere l’obiettivo: diffondere cultura digitale. Tanti, troppi e di tutte le età, sono ancora “fuori” da questo processo di trasformazione che sta cambiando il nostro modo di essere, vivere, lavorare, rapportarci e socializzare.

Non ce lo possiamo permettere, non se lo può permettere il nostro Paese. 

Aiutaci a diffondere cultura digitale, unisciti a noi e condividi questo appello!

Grazie.

Moondo Laboratorio cultura digitale

Cosa sono i contenuti nativi ed il native advertising?

Gli utenti guardano quasi esclusivamente i contenuti all’interno della loro area di messa a fuoco. Tutto il resto diventa una forma indistinta di colori e forme. Un atteggiamento sempre più accentuato in millennials e nativi digitali (generazione Z). Si tratta, per intenderci, di quella generazione cui abbiamo dato, al posto del ciuccio, lo smartphone.

Il nativo digitale è geneticamente diverso da chi è nato prima, che, per quanto si adatti, sarà sempre un immigrato digitale“E’ la stessa differenza che esiste tra chi parla una lingua che ha imparato da adulto e chi è madre lingua” (Bertoldi e Rossotto).

Questi nuovi utenti della Rete hanno maturato l’abitudine a scansionare rapidamente una pagina per blocchi, alla ricerca di contenuti rilevanti. Se li trovano bene, altrimenti passano oltre. Pochi secondi e via.

Figuriamoci quanta attenzione possono dedicare al vostro banner pubblicitario fuori messa a fuoco. Per quanto animato e graficamente accattivante possiate averlo realizzato, l’attenzione sarà pari a zero.

Generation_timeline

Come raggiungere millennial e generazione Z?

La domanda allora è come coinvolgerli, come raggiungerli, come catturare in una frazione di secondo la loro attenzione? L’unica risposta è, banalmente, offrendogli ciò che cercano: contenuti personalizzati, esperienze: expertelling (al posto dello storytelling)!

Siamo d’accordo sull’inutilità di pubblicizzare con un banner un viaggio alle Maldive in un resort superlusso su un sito che tratta di come gestire debiti con il fisco? Ecco vale anche per i contenuti.

Se il contenuto è utile e coinvolgente colpirà l’attenzione. Poco importa se si tratta di un contenuto a pagamento (che può o meno contenere un link), a patto che sia ben evidenziato. Ne va della serietà, autorevolezza e correttezza del sito che ospita quel contenuto e del brand che paga per vederlo pubblicato.

Perchè e quando parliamo di contenuti nativi?

Parliamo di contenuti nativi quando un contenuto “assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitato. L’obiettivo è riprodurre l’esperienza-utente del contesto in cui è posizionata sia nell’aspetto che nel contenuto […]; ibrida contenuti e annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale dove essi vengono posizionati (sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista della linea editoriale)” da Wikipedia – Native Advertising. L’advertising che ne deriva è in definitiva una forma di pubblicità meno invasiva e più coinvolgente, perché inserita in un argomento che l’utente ha scelto di leggere o di guardare. Una pubblicità contestualizzata, che non disturba il lettore, anzi gli fornisce informazioni aggiuntive in linea con il contenuto che ha deciso di approfondire. Una pubblicità (un contenuto) che definiamo appunto “nativa” e tale da risultare gradita e richiesta, e suscitare interazioni e lead spontanei.

IAB- contenuti nativi

Un esempio per chiarire definitivamente l’argomento. Su un sito in cui si danno consigli per finanza ed investimenti scrivo un articolo dal titolo: “I migliori mutui a tasso fisso per le giovani coppie che comprano casa”.

Dopo aver esplicitato l’argomento mutui, con particolare riferimento alle giovani coppie che cercano casa, dando suggerimenti e consigli, si riportano una serie di soluzioni possibili di mutuo offerti dalle banche. Una di queste soluzioni porta al sito della banca X tramite un “ad link” (un link sponsorizzato), ben indicato nel testo.

Pensi che il lettore sia infastidito dalla cosa? Ti assicuro di no, è lui che ha cercato in Rete informazioni, ha trovato l’articolo, ha scelto di leggerlo, ora vede il link sponsorizzato e se decide di cliccare riceverà ulteriori informazioni su quel prodotto.

Perché dovrebbe essere infastidito?

Cosa sono e come scrivere contenuti sponsorizzati?

Spesso navigando in rete ci si imbatte (quado l’editore è serio) in articoli che recano la scritta “Articolo sponsorizzato”, “Articolo redatto in collaborazione con…” o più semplicemente articoli in cui dopo un link compare la scritta “(ad link)”. Cosa significa tutto ciò? In questo articolo scopriremo cosa sono e come si scrivono contenuti sponsorizzati.

Abbiamo visto nell’articolo precedente come scrivere contenuti online, tenendo conto del tipo di contenuto (strategico o tattico), dei sensi, dei bisogni, della tipologia di cliente, di una regola base (4C). In questo articolo faremo luce su quei contenuti che sono pubblicati dietro un compenso da parte di un committente (un’azienda, o un’agenzia che lavora per un’azienda).

Chiariamo subito due concetti:

  1. Scrivere post ed articoli sponsorizzati è lecito. Anzi è un mestiere, che bisogna saper fare e non può essere improvvisato (dice niente il brand journalism?).
  2. Pubblicare articoli sponsorizzati è lecito. Ha un costo per lo sponsor e genera un ricavo per il publisher (editore). Pertanto questa relazione va esplicitata. Il lettore deve sapere che c’è un rapporto commerciale (genericamente un contratto) tra il publisher ed il brand.

Tipologie di contenuti sponsorizzati

Esistono varie tipologie di contenuti sponsorizzati, per brevità riporto i più noti:

  • Articoli sponsorizzati “puri” (o guest post): il brand realizza un articolo (in proprio o se lo fa scrivere da un brand journalist) e ne richiede la pubblicazione integrale su un sito (testata giornalistica o blog);
  • Articoli redatti “in collaborazione con…”: il brand invia un brief alla redazione del giornale (o all’agenzia intermediaria) con cui esplicita i contenuti da trattare, gli obiettivi, le parole chiave, gli anchor text, ecc. lasciando libera la redazione di scrivere l’articolo. Una volta redatto l’articolo, inviato al cliente, ed accettato, si procede alla pubblicazione. Non è insolito che un brand invece di inviare un brief invii al giornalista il prodotto, invitandolo a testarlo e scriverne una recensione. Se il prodotto resta poi al giornalista/blogger, sostituendo il corrispettivo, l’articolo secondo me è comunque da considerarsi “sponsorizzato”.
  • Contenuti audio/video/fotografici: il brand contatta un influencer invitandolo a citare/mostrare il prodotto in un suo podcast/video/foto. Vale quanto detto al punto precedente.

Nei primi due casi gli articoli possono contenere un link al sito dell’azienda sponsor, attività riconducibile ad una tecnica SEO (link building, ovvero la tecnica di linkare per una determinata parola chiave – anchor text – il sito del cliente), cui dedicherò un articolo ad hoc.

Individuare il target dell’articolo sponsorizzato

Ebbene si! La scoperta dell’acqua calda… scrivere articoli per un pubblico maschile o femminile cambia le carte in tavola. Attenzione, potrei anche scrivere di un prodotto per uomini, ma rivolgermi ad un target femminile (fidanzata, moglie, figlia) o viceversa.

Scrivere articoli sponsorizzati per un target maschile

  • Un uomo acquista generalmente d’impulso, cerca una soddisfazione al proprio bisogno immediato, la sua decisione d’acquisto è spesso poco razionale. Anche se la moglie dirà che è una bugia immane, l’uomo… LAVORA! Quindi non ha tempo, va di fretta, ergo il prodotto/servizio che sta cercando deve essere acquistato e consegnato in tempi rapidi!
  • Ovviamente le istruzioni sono un optional, lui sa già come utilizzare il prodotto… Per quanto concerne fidelizzazione e fiducia siamo ai minimi sindacali: si affida poco a opinioni altrui, non approfondisce molto eventuali feedback negativi. Insomma se si fida subito ok, altrimenti difficilmente lo farà.
  • Un uomo generalmente analizza rapidamente e con la prima impressione decide. Necessario avere un rimando al sito sempre aggiornato, graficamente accattivante, ben curato. Acquista d’impulso ma tradisce velocemente, basta lo stesso prodotto su un altro sito ad 1 € in meno e arrivederci…

Scrivere articoli sponsorizzati per un target femminile

La donna, dati alla mano, influenza o controlla circa l’85% delle decisioni d’acquisto. Quindi, dimentica tutto quanto detto sopra e concentrati su di lei. E’ lei che sceglie, è lei che decide.

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  • A differenza dell’uomo la donna difficilmente acquista d’impulso, preferendo una metodologia più razionale e valutando l’utilità del prodotto/servizio nel medio lungo periodo.
  • Per una donna non è importante la velocità del consumo, gli basta l’idea di aver acquistato (o il sogno di acquistare) il prodotto, l’attesa è essa stessa godimento. Hai mai provato a guardare quello che c’è nel carrello del sito ecommerce preferito della tua ragazza o di tua moglie? Ebbene, se non sai cosa regalarle per il compleanno guarda là, c’è già tutto. Farai un figurone.
  • Fondamentali sono tutti i servizi di pre e post vendita: assistenza, garanzia, sostituzione, recesso, ecc. La donna non solo legge e valuta le recensioni altrui (costruendosi una propria opinione, raramente modificabile) ma spesso è molto propensa a recensire e tende a fidelizzare un brand.

Ovviamente sono consigli dati dall’esperienza e non devono, ne vogliono, diventare dei mantra da seguire pedissequamente. La curiosità e la voglia di sperimentare nel nostro mestiere è spesso la chiave del successo, quindi sii sempre pronto a mettere tutto in discussione!

 Tipologie di contenuti e funnel

Ora che sai a chi ti rivolgi, prima di iniziare a scrivere un contenuto sponsorizzato, devi definire il tipo di keyword per cui speri che il contenuto si indicizzi sui motori di ricerca. A seconda del tipo di keyword dovrai scrivere contenuti coerenti ed attinenti ai bisogni esplicitati dal potenziale cliente nel momento che effettua la ricerca.

Possiamo classificare le keyword in 5 tipologie:

  1. Informazionali: cerchi informazioni. Es. come scaricare video da YouTube, come realizzare video 360°.
  2. Navigazionali: cerchi link a siti. Es. Regione Lazio, La Repubblica, Ferrari.
  3. Locali: cerchi info su prodotti servizi in zona. Es. Agenzia pubblicità Roma, Ristorante pesce Rimini.
  4. Commerciali: cerchi info su un prodotto, ma non hai ancora deciso quale acquisterai Es. piastra per capelli in acciaio o ceramica?
  5. Transazionali: cerchi link a prodotti da acquistare, es. IPhone 13 prezzo, scarpe running Mizuno offerta, ecc.
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Individuata la tipologia di keyword dobbiamo aver chiara la posizione del nostro lettore nel funnel del marketing. Ogni contenuto dovrà essere specifico per un cliente che si trova in un dato stadio del funnel di vendita, quindi dovremmo pensare alle informazioni che si aspetta di trovare.

Come scrivere contenuti online?

Produrre contenuti digitali non è la stessa cosa che scrivere contenuti per il mondo reale. Grazie, la scoperta dell’acqua calda, direte voi… eppure non è così scontato. Forse lo è per chi legge questo articolo su LinkedIn, per gli “addetti ai lavori”, ma sicuramente non per l’imprenditore concentrato sulla sua azienda. Ed allora? Torniamo sempre al motivo per cui scrivo, cercare di diffondere “cultura digitale”, per quello che posso e che conosco. In modo che quando mi siedo davanti ad un imprenditore per una consulenza alcuni concetti possano essere già acquisiti, quanto meno noti.

Lavorare con i contenuti

Chi lavora con i contenuti digitali viene definito in molti modi (blogger, storyteller, web writer, web content editor, content creator, content curator, copywriter… insomma, potremmo proseguire con almeno altri 10 termini, più o meno di moda). Al di là delle definizioni (che lasciano il tempo che trovano), l’obiettivo è focalizzare l’attenzione sul cosa e come comunicare con i clienti online.

Contenuti strategici o tattici?

Bene, siamo pronti per scrivere. La prima domanda cui dobbiamo rispondere è: “che tipo di contenuto sto scrivendo”? E’ un contenuto strategico o tattico? Nella fase strategica (medio-lungo periodo), che tratterò in questo articolo, non devi tentare di vendere, ma fornire contenuti ad alto valore aggiunto, utili al lettore. Scrivere per vendere sarà invece l’obiettivo dei contenuti tattici (breve periodo): un testo per una DEM o per una landing page, ad esempio, è un contenuto che deve “chiamare un’azione” (call to action).

Mettiti nella testa del tuo lettore. Sarà contento di leggere l’articolo che stai scrivendo? Gli piacerà? Lo condividerà? Perché lo farà? Tu lo faresti?

Scrivi pensando ai sensi

Mentre scrivi prova comunque ad utilizzare i sensi:

  • Vista: aggiungi sempre foto/video e tutto quanto possa stimolare la vista del lettore.
  • Tatto: rendi il più possibile il post interattivo e coinvolgente, l’obiettivo è cercare di far toccare con mano il prodotto/servizio che stai promuovendo (pensa alla possibilità di visualizzare un prodotto a 360°, ruotarlo, ecc.).
  • Ascolto: segui sempre ed anima la discussione. Registra le indicazioni che provengono dai lettori (social listening) e fanne la base per post futuri. Scusati sempre se hai sbagliato in qualcosa e ricorda: lamentarsi sui social è molto più facile che complimentarsi (l’hastag #fail compare il 68% delle volte contro il 38% del #thankyou. Chiedi sempre se puoi essere d’aiuto, a prescindere dal vendere un prodotto/servizio. Can I help you? If you sell something, you make a customer today, but if you help someone, you create a customer for life! Tell me, don’t sell me!

Scrivi in base ai bisogni

Dalla piramide di Maslow in poi, molte sono le teorie comportamentali basate sui bisogni. Quando scrivi ricorda che ogni lettore cerca di soddisfarne uno:

  1. Bisogno di essere sociale e connesso: con parenti/colleghi/amici o anche con il brand preferito (condivideranno il post?).
  2. Bisogno di essere apprezzati: essere al centro dell’attenzione. E’ un post rilevante (ad esempio utile per i colleghi di lavoro)? E’ divertente? Crea buzz?
  3. Bisogno di sognare: evadere dalla routine quotidiana, di variare, di rischiare. Il post provoca queste sensazioni? O è uguale ai precedenti ed annoia chi lo legge? Sollecita l’attenzione in modo piacevole (ad es. post che richiama emozioni vissute o che si vorrebbero vivere).
  4. Bisogno di certezza e protezione: il post mi tranquillizza, o mi crea ansia?
  5. Bisogno di crescere, di migliorare: l’articolo potrebbe rappresentare un’opportunità in campo lavorativo, sportivo, mi permette di migliorare nel lavoro, nel mio hobby preferito? I famosi articoli che iniziano con “Come…” (Aranzulla docet).
  6. Bisogno di contribuire/partecipare a qualcosa, di sentirsi utili: con il mio like, con la mia condivisione, contribuisco a qualcosa di importante? Qualcuno ne trarrà giovamento? Quando una persona combatte per una giusta causa la sua motivazione cresce esponenzialmente e l’engagement si moltiplica.
Piramide dei bisogni

Scrivi per tipologia di cliente

Nello scrivere post o articoli utili puoi cercare di rispondere a domande che i potenziali clienti ti potrebbero fare. Per farlo nel migliore dei modi devi saper riconoscere 4 tipologie di cliente:

  • Cliente “istantaneo”: vuole vivere un’esperienza, cerca un’offerta che dia emozioni, acquista d’impulso. Anche se siamo nella fase strategica non puoi farti sfuggire questo cliente, quindi nello scrivere post/articoli utili per questo target è fondamentale fornire una “call to action” nel post o nella risposta. Es. “Acquista ora”, “Compralo Subito”, “Prenota online”. E’ vero che ti ho detto che in questa fase non è necessario vendere, ma se uno vuole comprare…
  • Cliente “spontaneo”: vuole subito tutte le informazioni, i dati, predilige la sintesi. Vantaggi, tempi di consegna, come utilizzare il prodotto sono informazioni imprescindibili. Tempo di acquisto/conversione: medio.
  • Cliente “umanista”: ama aiutare gli altri, rendersi utile. E’ fondamentale mostrare i vantaggi del prodotto per lui ma soprattutto per la sua cerchia (famiglia, amici, comunità). E’ un cliente che legge le recensioni ed i feedback di altri clienti, crea ed anima la discussione. Tempo di acquisto/conversione: medio-lungo.
  • Cliente “metodico”: massima razionalità, richiede schemi, schede tecniche del prodotto, è spesso un “professionista” del settore o un attento conoscitore dell’argomento trattato, pianifica tutto. Devi assolutamente evitare di fornire informazioni superficiali o non verificate/verificabili! Tempo di acquisto/conversione: lungo.

4C: contenuto, contesto, connettività, community

Quando scrivi per il web può essere utile rispettare la regola delle 4C:

1.     Contenuto: cerca di produrre contenuti utili a chi li legge, non pensare a vendere, al limite proponi soluzioni, un approfondimento ad un tema che lo stesso lettore ha scelto di leggere. Non essere mai autoreferenziale! Lega contenuto e contesto. Per comprendere il contenuto correttamente è necessario definire bene il contesto. Il contenuto porta il messaggio, ma è il contesto a creare la customer experience!

2.     Contesto: costruisci una storia che aggiunge colore, personalità e rilevanza a ciò che vogliamo fare/comunicare. Fai un piano editoriale e portalo avanti con gli articoli/post che pubblichi.

3.     Connettività: siamo tutti connessi h24, le persone che interagiscono online si aspettano risposte in tempi rapidi. Se ad un articolo/post segue un commento con una richiesta devi rispondere o predisporre chi possa rispondere ed in che modo.

4.     Community: ricorda che sei il referente di una community di persone, ognuna diversa dall’altra, pertanto devi garantire a tutti la possibilità di esprimere opinioni, anche diverse dalle tue, dissentire, criticare. In questo caso lo stile di comunicazione ed il tono di voce sono fondamentali nella gestione della community.

Ultimo consiglio, scrivi! Non pensarci troppo, inizia a scrivere, testa, prova, sperimenta, monitora ed analizza i dati, valuta e scegli quali tecniche/tematiche portano ai migliori risultati per il tuo brand/prodotto.

Cosa significa fare SEO e come lavora un motore di ricerca?

L’obiettivo di questo articolo è come sempre incuriosire, fornire conoscenza e spunti di riflessione per chi vorrà approfondire l’argomento SEO. Molti definiscono la SEO come una “scienza”, che racchiude in sé arte e filosofia, ma cosa significa in pratica e come opera un motore di ricerca? SEO è l’acronimo di Search Engine Optimization: ottimizzazione per i motori di ricerca.

Obiettivo delle azioni SEO è puntare al miglioramento del posizionamento di un sito internet (o di un contenuto specifico) all’interno dei risultati di ricerca di un motore (Google, Bing, Baidu, Yahoo, Yandex, ecc.). I risultati di ricerca di un motore vengono presentati all’utente in una pagina detta SERP (Search Engine Results Page –  tranquillo è la pagina di Google!).

SEO

Quando digiti qualcosa di tuo interesse sul motore di ricerca ottieni una serie di risultati, che possiamo dividere in due categorie:

  1. risultati a pagamento: selezionati tramite campagne pubblicitarie (gli “Annunci Sponsorizzati”).
  2. risultati organici: mostrati sotto a quelli a pagamento (o per primi, in assenza di annunci sponsorizzati per l’argomento cercato). Questi sono i risultati che si ottengono proprio grazie al lavoro di ottimizzazione del sito internet tramite azioni SEO.

Come funzionano i motori di ricerca?

L’unica certezza che abbiamo sui motori di ricerca è che nessuno conosce come funzionano. Non esiste un algoritmo, ne esistono migliaia, ergo, nessuno può garantire nulla sul posizionamento. Perché questa certezza?

Perché se ci fosse una sola persona che conoscesse il funzionamento dei motori diventerebbe in breve tempo ricchissima, riuscendo a posizionare ogni contenuto/sito al primo posto nella SERP. Quindi, se qualcuno ti contatta per offrirti un servizio di posizionamento con la certezza di essere “Primi su Google” ti sta prendendo in giro. Regolati di conseguenza.

Ma cosa fa un motore di ricerca?

Tramite azioni continuative di esplorazione, il motore di ricerca analizza il web, ovvero miliardi di pagine web tutti i giorni e le acquisisce, confrontandole con pagine web che trattano gli stessi argomenti. Le cataloga per argomento e le indicizza (gli dà un’importanza, un ranking), per restituire all’utilizzatore della rete il miglior risultato possibile rispetto alla ricerca che ha effettuato per quel determinato argomento.

Nel fare questo lavoro, continuo, entrano in gioco un numero incredibile di variabili che influenzano sostanzialmente i risultati delle esplorazioni e di conseguenza la catalogazione (indicizzazione) ed il posizionamento dei contenuti/siti all’interno delle SERP.

Serch

Dietro l’attività di SEO ci sono ore ed ore di lavoro, anche in ambiti disciplinari molto diversi tra loro, con un solo obiettivo comune: migliorare il posizionamento organico in SERP. Questo perché più ci si trova in alto nella lista dei risultati, maggiori saranno le possibilità che un utente clicchi e venga a visitare il tuo sito.

In questo contesto vale un po’ quanto detto sul posizionamento di prodotto (infatti si usa la stessa terminologia): o sei primo o sei secondo, il terzo già conta poco? Ebbene qui le cose vanno più o meno allo stesso modo. Considera che la possibilità di ottenere un click per una data ricerca per i primi tre risultati organici è dell’80%. Dal quarto in poi restano le briciole.

Cosa significa fare SEO? Le regole base

La prima cosa da fare è analizzare il sito (o progettarne la sua costruzione, se lo si deve creare da zero). Si tratta di una parte fondamentale dell’intero lavoro di SEO. Un sito ottimizzato è la base di partenza di tutte le altre attività. Siti con pagine interne “nomesito.it/123” o similari non danno alcun valore al sito, né sono utili all’indicizzazione da parte dei motori di ricerca. Viceversa pagine interne nominate in relazione all’argomento che contengono aiutano i motori di ricerca a catalogare e posizionare correttamente quel contenuto.

La scelta di contenuti e keywords

Realizzato il sito (la struttura) occorre scegliere i contenuti e le relative keywords per cui vorremmo fosse posizionato. Il consiglio è iniziare nel modo più tradizionale possibile: brainstorming. Da questa riunione deve scaturire:

  • una lista di contenuti e keywords;
  • che porterà a sinonimi delle parole chiave dell’argomento;
  • per poi inserire nelle nostre keywords le categorie a cui appartiene il prodotto;
  • le sottocategorie, studiando magari anche come si posiziona la concorrenza.

Alla fine otterremo una nuvola di parole chiave. Questa sarà la nostra “nuvola armonizzata” che utilizzeremo ogni volta che dovremo posizionare un prodotto, utile anche per impostare le campagne di advertising sui motori di ricerca.

All’interno delle pagine vanno posizionate le keyword individuate per quello specifico argomento, meglio ancora se alcune di queste fanno da “anchor text”, ovvero contengono al loro interno un link che riporta ad un approfondimento ancora più verticale dell’argomento.

Questi link possono essere interni al sito stesso (altre pagine in cui magari quell’argomento è stato approfondito), oppure esterni, portare cioè su un altro sito (in questo caso meglio se si tratta di un sito molto autorevole che tratta quello specifico argomento).

Fondamentale, per poter catturare l’attenzione degli utenti, inserire all’interno del nostro sito dei contenuti multimediali (audio, video, foto). Nell’inserire questo tipo di contenuti occorre “taggarli” con il maggior numero di informazioni possibili, in modo da poter essere riconosciuti dai motori di ricerca. Un conto è l’utente che fruisce di quel contenuto (e lo capisce) per come lo ascolta, lo vede.

Altro è l’analisi del motore di ricerca fatta da un software, che di un’immagine non capisce nulla, se non che si tratta di un file .jpg! Occorre quindi riempire tutti quei campi che sono a disposizione nel momento in cui inseriamo il contenuto, ad esempio il “titolo” della foto (una cosa è “DCM180.jpg” altra “bambino che mangia il gelato”), il campo “descrizione”, il campo “didascalia” e quello “testo alternativo”.

Contenuti foto e video

Google ha una sezione di ricerca dedicata ad “immagini” ed una “video”, molto più utilizzate di quanto si crede. Come pensi che vengano indicizzate le foto se non attraverso il testo che le accompagna? Un’immagine od un video indicizzato contribuisce al traffico del sito, esattamente come un contenuto testuale.

Curare ed ottimizzare la qualità dei contenuti e la loro unicità sono forse i due fattori più importanti di un’azione SEO. Quando parliamo di qualità, intendiamo sia nei confronti dell’utente finale che del motore di ricerca (ricorda sempre che sono due concetti diversi!).

Il più grosso errore che si possa fare in ottica SEO nella fase di inserimento di nuovi contenuti è duplicarli, ovvero copiarli da altri siti o anche duplicarli all’interno dello stesso sito (in questo caso si parla di cannibalizzazione di contenuti). Un contenuto copiato viene immediatamente riconosciuto dal motore di ricerca che non catalogherà più il tuo sito come interessante per quell’argomento, bensì tenderà ad escluderlo dalla possibilità di essere indicizzato. Perché sostanzialmente stai presentando contenuti già trattati identicamente da un altro sito (quindi già indicizzati e posizionati).

Questo problema viene spesso sottovalutato perché si tende a pensare che nel vastissimo mare di internet è impossibile trovare due contenuti copiati, invece è molto più semplice di quanto immagini. Per evitare di duplicare contenuti esistono programmini (molti gratuiti) che possono fare questo tipo di ricerca anche per te in pochissimi secondi. Se pensi invece che “tanto Google non se ne accorge” hai un altro problema… ma è solo tuo ?

Social Media Influencing: punti ad essere migliore o diverso?

Abbiamo visto come la Social Media Strategy si articola in 4 fasi ed esaminato la prima (il social listening). In questo articolo ci concentreremo sul secondo step: il Social Influencing. Per social Media Influencing si intende l’utilizzo dei social media finalizzato ad incrementare l’influenza dell’azienda sul mercato. Attenzione, questa fase non va confusa con l’attività svolta tramite eventuali influencer, che è azione diversa ed analizzata al punto successivo (social networking).

Tra gli obiettivi principali da raggiungere attraverso l’utilizzo dei social abbiamo:

  • Aumento della brand awareness.
  • Aumento del traffico su sito, landing page, social, ecc.
  • Aumento della notorietà dei prodotti/servizi offerti.
  • Aumento dell’engagement.
  • Incremento dei lead e del pubblico per attività di retargeting.

Per capire più a fondo questa fase della strategia social può essere utile rappresentare il funnel del marketing con il classico “imbuto” che si compone di 5 fasi (5A). Spesso definito anche customer journey, il funnel descrive il percorso che trasforma un utente generico in potenziale cliente (lead), poi in cliente ed infine in un cliente fidelizzato e promoter del brand.

IL FUNNEL DEL MARKETING

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Vediamo nel dettaglio le singole fasi:

1.     AWARE: avviene la scoperta del prodotto, lo conosco ed acquisisco consapevolezza.

2.     APPEAL: mi piace e ne apprezzo le sue caratteristiche.

3.     ASK: mi informo, chiedo, acquisisco informazioni, confronto, ricerco, mi convince.

4.     ACT: decido, lo compro.

5.     ADVOCATE: sono soddisfatto dell’acquisto, lo consiglio ad altri (passaparola).

Per ogni fase vanno previste delle azioni da inserire nella social media strategy, come quelle che riporto nella tabella che segue (riadattamento da “Fondamenti di Digital Marketing” – Ninja Academy).

ESEMPIO FUNNEL NIKE

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Ricordi la regola più importante del posizionamento?

Primo o secondo, tertium non datur! L’errore più grande che un’azienda può commettere è affermare (sia nel significato di “dire/comunicare” che di “tentare di acquisire credito”) di essere leader del settore, di avere il migliore prodotto, con le migliori caratteristiche e garanzie, il miglior servizio clienti, ecc.

Eppure è l’errore più comune, che quasi tutte le aziende inconsciamente commettono. E’ un errore che non permette alla comunicazione aziendale di entrare nella testa del consumatore, proprio perché lo fanno tutti. Se diciamo tutti le stesse cose, nessuno dice nulla di nuovo.

Se la tua comunicazione è volta ad enfatizzare le qualità del prodotto, la sua ergonomia, gli infiniti accessori con cui lo puoi personalizzare, lo sconto esclusivo che mi riserverai, che si tratta di un prodotto artigianale, che rispetta l’ambiente… non mi stai dicendo altro che sei il migliore. Il che può anche essere vero. D’altronde chiunque produce qualcosa con amore e passione cerca di farlo al meglio. Ma a dire che sei il migliore dovrebbero essere i clienti.

Migliore vs Diverso

Come venirne fuori? Semplice, uscendo dal loop del confronto su chi sia il migliore, dimostrando di essere diverso, ovvero creando la tua nicchia e posizionandoti lì. Riccardo Scandellari sembra pensarla allo stesso modo, tanto da scrivere nella sua newsletter (Skande Newsletter): “Se ci hai fatto caso, quando consigli un prodotto ad un amico, a meno che non siate entrambi tecnici del settore, non esponi una lista di caratteristiche tecniche, ma racconti come ti abbia permesso di risolvere un problema, come ti ha fatto sentire e quanto è stato semplice farlo. Alcuni di noi acquistano una moto Yamaha e altri una Harley Davidson. Hanno caratteristiche tecniche più o meno apprezzabili, ma entrambe comunicano al mercato valori ed emozioni esclusive. L’emozione viene prima, la fredda lista delle caratteristiche tecniche dopo, perché è importante, ma non quanto gli stimoli emozionali. Acquistiamo beni che infondono un senso di appartenenza e una visione del mondo. I grandi Brand non partono dai prodotti ma dal significato che avranno nelle vite degli acquirenti. Puoi farlo anche tu” (Riccardo Scandellari – Skande Newsletter).

Nell’impostare una corretta social media strategy è dunque fondamentale chiarire il tipo di messaggio che vogliamo veicolare: la mission e vision che vogliamo trasmettere, il percorso per aprire la famosa porta nella testa del consumatore deve essere chiaro e definito!

Alcuni esempi di mission di brand

  • Apple: “Apple si dedica alla crescita dell’uomo, rendendo la tecnologia informatica accessibile a tutti per cambiare il modo in cui pensiamo, lavoriamo, impariamo e comunichiamo”. Apple vuole cambiare il mondo con la sua tecnologia, questo è il motivo per cui un cliente sceglie Apple, per contribuire a cambiare il mondo.
  • Amazon: “Diventare l’impresa mondiale centrata sul consumatore, in cui il cliente possa trovare qualsiasi bene online adatto alle sue esigenze e al miglior prezzo possibile”. Tutti i prodotti del mondo al miglior prezzo, con il miglior servizio. Chiaro perché acquisti su Amazon?
  • Facebook: “Creare comunità e unire il mondo, aiutando le persone a rimanere in contatto con famigliari e amici”. Rimanere in contatto, non ci vuole altro per spiegare perché lo usi.

Esempi perfetti di definizione precisa e puntuale di valori da trasmettere attraverso la strategia di comunicazione. E tu, cosa vuoi trasmettere con la tua strategia di comunicazione?

Quanto tempo dedichi all’ascolto social?

La Social Media Strategy è lo strumento alla base della gestione delle attività sui social media. È una sorta di bussola che guida l’azienda (o il consulente Social Media) nel percorso verso una coerente e produttiva presenza social. Normalmente si articola in 4 fasi, in questo articolo ci concentreremo sulla prima: il Social Listening.

social media strategy

1. Social Media Listening

Il Social Media Listening è l’insieme delle attività finalizzate all’ascolto delle conversazioni online attorno a specifiche keyword, al tuo brand, al settore di riferimento e/o ai competitor. La parola magica è appunto ascolto, attività spesso dimenticata dagli utilizzatori della rete, sempre pronti a dire la loro, quando invece sarebbe fondamentale prima capire che “aria tira”. Tra gli obiettivi principali dell’attività di social listening possiamo includere:

  • Identificare il sentiment del mercato.
  • Identificare il linguaggio del consumatore (ci aiuterà a definire stile della comunicazione e tono di voce).
  • Identificare il gap di prodotto (ci aiuterà ad apportare modifiche di prodotto/servizio così come da richieste dei clienti).
  • Identificare gap di contenuto (ci aiuterà ad integrare i contenuti informativi secondo i bisogni mostrati dai clienti).
  • Identificare influencer e potenziali partner.
  • Reputation.
  • Crisis Management (ci aiuterà a trarre utili informazioni per poter gestire al meglio momenti di crisi).

Il social listening è riconosciuto come elemento fondamentale nei processi di customer service, in quanto i consumatori utilizzano spesso i social media per richiedere assistenza. E’ sempre più frequente ricevere domande, opinioni, suggerimenti e reclami su Facebook o su Twitter, piuttosto che al telefono. Un esercizio utile per iniziare l’attività di social listening potrebbe essere quello di provare a riempire una tabella come quella che propone Ninja Academy (in “Fondamenti di Digital Marketing”), seguendo l’esempio della prima riga:

Social Listening Tabella

I principali strumenti di social listening

Esistono molti software sul mercato che consentono di svolgere al meglio questa attività, di seguito alcuni dei più utilizzati, in ordine alfabetico:

  • Agorapulse
  • Brand24
  • Brandwatch
  • BuzzSumo
  • Digimind Social
  • Falcon.io
  • Hootsuite
  • HubSpot
  • Mention
  • Reputation
  • Sendible
  • Tailwind
  • Talkwalker

A conclusione di questa fase sarai in grado di impostare lo stile di comunicazione ed il tono di voce da adottare per la tua azienda. Si addice meglio uno stile comunicativo passivo, aggressivo o assertivo? Ed il tono di voce? Freddo (burocratico/istituzionale), Neutro (professionale/onirico), oppure caldo (amichevole/colloquiale) o colorato (ironico/aggressivo)? A tal proposito può essere molto utile ricorrere al “termometro” creato da Valentina Falcinelli:

Termometro comunicazione

Definito anche stile e tono della comunicazione sei pronto a… comunicare!
Nel prossimo articolo approfondiremo il secondo punto della Social Media Strategy: il Social Influencing.