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Cosa sono e come scrivere contenuti sponsorizzati?

Spesso navigando in rete ci si imbatte (quado l’editore è serio) in articoli che recano la scritta “Articolo sponsorizzato”, “Articolo redatto in collaborazione con…” o più semplicemente articoli in cui dopo un link compare la scritta “(ad link)”. Cosa significa tutto ciò? In questo articolo scopriremo cosa sono e come si scrivono contenuti sponsorizzati.

Abbiamo visto nell’articolo precedente come scrivere contenuti online, tenendo conto del tipo di contenuto (strategico o tattico), dei sensi, dei bisogni, della tipologia di cliente, di una regola base (4C). In questo articolo faremo luce su quei contenuti che sono pubblicati dietro un compenso da parte di un committente (un’azienda, o un’agenzia che lavora per un’azienda).

Chiariamo subito due concetti:

  1. Scrivere post ed articoli sponsorizzati è lecito. Anzi è un mestiere, che bisogna saper fare e non può essere improvvisato (dice niente il brand journalism?).
  2. Pubblicare articoli sponsorizzati è lecito. Ha un costo per lo sponsor e genera un ricavo per il publisher (editore). Pertanto questa relazione va esplicitata. Il lettore deve sapere che c’è un rapporto commerciale (genericamente un contratto) tra il publisher ed il brand.

Tipologie di contenuti sponsorizzati

Esistono varie tipologie di contenuti sponsorizzati, per brevità riporto i più noti:

  • Articoli sponsorizzati “puri” (o guest post): il brand realizza un articolo (in proprio o se lo fa scrivere da un brand journalist) e ne richiede la pubblicazione integrale su un sito (testata giornalistica o blog);
  • Articoli redatti “in collaborazione con…”: il brand invia un brief alla redazione del giornale (o all’agenzia intermediaria) con cui esplicita i contenuti da trattare, gli obiettivi, le parole chiave, gli anchor text, ecc. lasciando libera la redazione di scrivere l’articolo. Una volta redatto l’articolo, inviato al cliente, ed accettato, si procede alla pubblicazione. Non è insolito che un brand invece di inviare un brief invii al giornalista il prodotto, invitandolo a testarlo e scriverne una recensione. Se il prodotto resta poi al giornalista/blogger, sostituendo il corrispettivo, l’articolo secondo me è comunque da considerarsi “sponsorizzato”.
  • Contenuti audio/video/fotografici: il brand contatta un influencer invitandolo a citare/mostrare il prodotto in un suo podcast/video/foto. Vale quanto detto al punto precedente.

Nei primi due casi gli articoli possono contenere un link al sito dell’azienda sponsor, attività riconducibile ad una tecnica SEO (link building, ovvero la tecnica di linkare per una determinata parola chiave – anchor text – il sito del cliente), cui dedicherò un articolo ad hoc.

Individuare il target dell’articolo sponsorizzato

Ebbene si! La scoperta dell’acqua calda… scrivere articoli per un pubblico maschile o femminile cambia le carte in tavola. Attenzione, potrei anche scrivere di un prodotto per uomini, ma rivolgermi ad un target femminile (fidanzata, moglie, figlia) o viceversa.

Scrivere articoli sponsorizzati per un target maschile

  • Un uomo acquista generalmente d’impulso, cerca una soddisfazione al proprio bisogno immediato, la sua decisione d’acquisto è spesso poco razionale. Anche se la moglie dirà che è una bugia immane, l’uomo… LAVORA! Quindi non ha tempo, va di fretta, ergo il prodotto/servizio che sta cercando deve essere acquistato e consegnato in tempi rapidi!
  • Ovviamente le istruzioni sono un optional, lui sa già come utilizzare il prodotto… Per quanto concerne fidelizzazione e fiducia siamo ai minimi sindacali: si affida poco a opinioni altrui, non approfondisce molto eventuali feedback negativi. Insomma se si fida subito ok, altrimenti difficilmente lo farà.
  • Un uomo generalmente analizza rapidamente e con la prima impressione decide. Necessario avere un rimando al sito sempre aggiornato, graficamente accattivante, ben curato. Acquista d’impulso ma tradisce velocemente, basta lo stesso prodotto su un altro sito ad 1 € in meno e arrivederci…

Scrivere articoli sponsorizzati per un target femminile

La donna, dati alla mano, influenza o controlla circa l’85% delle decisioni d’acquisto. Quindi, dimentica tutto quanto detto sopra e concentrati su di lei. E’ lei che sceglie, è lei che decide.

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  • A differenza dell’uomo la donna difficilmente acquista d’impulso, preferendo una metodologia più razionale e valutando l’utilità del prodotto/servizio nel medio lungo periodo.
  • Per una donna non è importante la velocità del consumo, gli basta l’idea di aver acquistato (o il sogno di acquistare) il prodotto, l’attesa è essa stessa godimento. Hai mai provato a guardare quello che c’è nel carrello del sito ecommerce preferito della tua ragazza o di tua moglie? Ebbene, se non sai cosa regalarle per il compleanno guarda là, c’è già tutto. Farai un figurone.
  • Fondamentali sono tutti i servizi di pre e post vendita: assistenza, garanzia, sostituzione, recesso, ecc. La donna non solo legge e valuta le recensioni altrui (costruendosi una propria opinione, raramente modificabile) ma spesso è molto propensa a recensire e tende a fidelizzare un brand.

Ovviamente sono consigli dati dall’esperienza e non devono, ne vogliono, diventare dei mantra da seguire pedissequamente. La curiosità e la voglia di sperimentare nel nostro mestiere è spesso la chiave del successo, quindi sii sempre pronto a mettere tutto in discussione!

 Tipologie di contenuti e funnel

Ora che sai a chi ti rivolgi, prima di iniziare a scrivere un contenuto sponsorizzato, devi definire il tipo di keyword per cui speri che il contenuto si indicizzi sui motori di ricerca. A seconda del tipo di keyword dovrai scrivere contenuti coerenti ed attinenti ai bisogni esplicitati dal potenziale cliente nel momento che effettua la ricerca.

Possiamo classificare le keyword in 5 tipologie:

  1. Informazionali: cerchi informazioni. Es. come scaricare video da YouTube, come realizzare video 360°.
  2. Navigazionali: cerchi link a siti. Es. Regione Lazio, La Repubblica, Ferrari.
  3. Locali: cerchi info su prodotti servizi in zona. Es. Agenzia pubblicità Roma, Ristorante pesce Rimini.
  4. Commerciali: cerchi info su un prodotto, ma non hai ancora deciso quale acquisterai Es. piastra per capelli in acciaio o ceramica?
  5. Transazionali: cerchi link a prodotti da acquistare, es. IPhone 13 prezzo, scarpe running Mizuno offerta, ecc.
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Individuata la tipologia di keyword dobbiamo aver chiara la posizione del nostro lettore nel funnel del marketing. Ogni contenuto dovrà essere specifico per un cliente che si trova in un dato stadio del funnel di vendita, quindi dovremmo pensare alle informazioni che si aspetta di trovare.

Come scrivere contenuti online?

Produrre contenuti digitali non è la stessa cosa che scrivere contenuti per il mondo reale. Grazie, la scoperta dell’acqua calda, direte voi… eppure non è così scontato. Forse lo è per chi legge questo articolo su LinkedIn, per gli “addetti ai lavori”, ma sicuramente non per l’imprenditore concentrato sulla sua azienda. Ed allora? Torniamo sempre al motivo per cui scrivo, cercare di diffondere “cultura digitale”, per quello che posso e che conosco. In modo che quando mi siedo davanti ad un imprenditore per una consulenza alcuni concetti possano essere già acquisiti, quanto meno noti.

Lavorare con i contenuti

Chi lavora con i contenuti digitali viene definito in molti modi (blogger, storyteller, web writer, web content editor, content creator, content curator, copywriter… insomma, potremmo proseguire con almeno altri 10 termini, più o meno di moda). Al di là delle definizioni (che lasciano il tempo che trovano), l’obiettivo è focalizzare l’attenzione sul cosa e come comunicare con i clienti online.

Contenuti strategici o tattici?

Bene, siamo pronti per scrivere. La prima domanda cui dobbiamo rispondere è: “che tipo di contenuto sto scrivendo”? E’ un contenuto strategico o tattico? Nella fase strategica (medio-lungo periodo), che tratterò in questo articolo, non devi tentare di vendere, ma fornire contenuti ad alto valore aggiunto, utili al lettore. Scrivere per vendere sarà invece l’obiettivo dei contenuti tattici (breve periodo): un testo per una DEM o per una landing page, ad esempio, è un contenuto che deve “chiamare un’azione” (call to action).

Mettiti nella testa del tuo lettore. Sarà contento di leggere l’articolo che stai scrivendo? Gli piacerà? Lo condividerà? Perché lo farà? Tu lo faresti?

Scrivi pensando ai sensi

Mentre scrivi prova comunque ad utilizzare i sensi:

  • Vista: aggiungi sempre foto/video e tutto quanto possa stimolare la vista del lettore.
  • Tatto: rendi il più possibile il post interattivo e coinvolgente, l’obiettivo è cercare di far toccare con mano il prodotto/servizio che stai promuovendo (pensa alla possibilità di visualizzare un prodotto a 360°, ruotarlo, ecc.).
  • Ascolto: segui sempre ed anima la discussione. Registra le indicazioni che provengono dai lettori (social listening) e fanne la base per post futuri. Scusati sempre se hai sbagliato in qualcosa e ricorda: lamentarsi sui social è molto più facile che complimentarsi (l’hastag #fail compare il 68% delle volte contro il 38% del #thankyou. Chiedi sempre se puoi essere d’aiuto, a prescindere dal vendere un prodotto/servizio. Can I help you? If you sell something, you make a customer today, but if you help someone, you create a customer for life! Tell me, don’t sell me!

Scrivi in base ai bisogni

Dalla piramide di Maslow in poi, molte sono le teorie comportamentali basate sui bisogni. Quando scrivi ricorda che ogni lettore cerca di soddisfarne uno:

  1. Bisogno di essere sociale e connesso: con parenti/colleghi/amici o anche con il brand preferito (condivideranno il post?).
  2. Bisogno di essere apprezzati: essere al centro dell’attenzione. E’ un post rilevante (ad esempio utile per i colleghi di lavoro)? E’ divertente? Crea buzz?
  3. Bisogno di sognare: evadere dalla routine quotidiana, di variare, di rischiare. Il post provoca queste sensazioni? O è uguale ai precedenti ed annoia chi lo legge? Sollecita l’attenzione in modo piacevole (ad es. post che richiama emozioni vissute o che si vorrebbero vivere).
  4. Bisogno di certezza e protezione: il post mi tranquillizza, o mi crea ansia?
  5. Bisogno di crescere, di migliorare: l’articolo potrebbe rappresentare un’opportunità in campo lavorativo, sportivo, mi permette di migliorare nel lavoro, nel mio hobby preferito? I famosi articoli che iniziano con “Come…” (Aranzulla docet).
  6. Bisogno di contribuire/partecipare a qualcosa, di sentirsi utili: con il mio like, con la mia condivisione, contribuisco a qualcosa di importante? Qualcuno ne trarrà giovamento? Quando una persona combatte per una giusta causa la sua motivazione cresce esponenzialmente e l’engagement si moltiplica.
Piramide dei bisogni

Scrivi per tipologia di cliente

Nello scrivere post o articoli utili puoi cercare di rispondere a domande che i potenziali clienti ti potrebbero fare. Per farlo nel migliore dei modi devi saper riconoscere 4 tipologie di cliente:

  • Cliente “istantaneo”: vuole vivere un’esperienza, cerca un’offerta che dia emozioni, acquista d’impulso. Anche se siamo nella fase strategica non puoi farti sfuggire questo cliente, quindi nello scrivere post/articoli utili per questo target è fondamentale fornire una “call to action” nel post o nella risposta. Es. “Acquista ora”, “Compralo Subito”, “Prenota online”. E’ vero che ti ho detto che in questa fase non è necessario vendere, ma se uno vuole comprare…
  • Cliente “spontaneo”: vuole subito tutte le informazioni, i dati, predilige la sintesi. Vantaggi, tempi di consegna, come utilizzare il prodotto sono informazioni imprescindibili. Tempo di acquisto/conversione: medio.
  • Cliente “umanista”: ama aiutare gli altri, rendersi utile. E’ fondamentale mostrare i vantaggi del prodotto per lui ma soprattutto per la sua cerchia (famiglia, amici, comunità). E’ un cliente che legge le recensioni ed i feedback di altri clienti, crea ed anima la discussione. Tempo di acquisto/conversione: medio-lungo.
  • Cliente “metodico”: massima razionalità, richiede schemi, schede tecniche del prodotto, è spesso un “professionista” del settore o un attento conoscitore dell’argomento trattato, pianifica tutto. Devi assolutamente evitare di fornire informazioni superficiali o non verificate/verificabili! Tempo di acquisto/conversione: lungo.

4C: contenuto, contesto, connettività, community

Quando scrivi per il web può essere utile rispettare la regola delle 4C:

1.     Contenuto: cerca di produrre contenuti utili a chi li legge, non pensare a vendere, al limite proponi soluzioni, un approfondimento ad un tema che lo stesso lettore ha scelto di leggere. Non essere mai autoreferenziale! Lega contenuto e contesto. Per comprendere il contenuto correttamente è necessario definire bene il contesto. Il contenuto porta il messaggio, ma è il contesto a creare la customer experience!

2.     Contesto: costruisci una storia che aggiunge colore, personalità e rilevanza a ciò che vogliamo fare/comunicare. Fai un piano editoriale e portalo avanti con gli articoli/post che pubblichi.

3.     Connettività: siamo tutti connessi h24, le persone che interagiscono online si aspettano risposte in tempi rapidi. Se ad un articolo/post segue un commento con una richiesta devi rispondere o predisporre chi possa rispondere ed in che modo.

4.     Community: ricorda che sei il referente di una community di persone, ognuna diversa dall’altra, pertanto devi garantire a tutti la possibilità di esprimere opinioni, anche diverse dalle tue, dissentire, criticare. In questo caso lo stile di comunicazione ed il tono di voce sono fondamentali nella gestione della community.

Ultimo consiglio, scrivi! Non pensarci troppo, inizia a scrivere, testa, prova, sperimenta, monitora ed analizza i dati, valuta e scegli quali tecniche/tematiche portano ai migliori risultati per il tuo brand/prodotto.

Cosa significa fare SEO e come lavora un motore di ricerca?

L’obiettivo di questo articolo è come sempre incuriosire, fornire conoscenza e spunti di riflessione per chi vorrà approfondire l’argomento SEO. Molti definiscono la SEO come una “scienza”, che racchiude in sé arte e filosofia, ma cosa significa in pratica e come opera un motore di ricerca? SEO è l’acronimo di Search Engine Optimization: ottimizzazione per i motori di ricerca.

Obiettivo delle azioni SEO è puntare al miglioramento del posizionamento di un sito internet (o di un contenuto specifico) all’interno dei risultati di ricerca di un motore (Google, Bing, Baidu, Yahoo, Yandex, ecc.). I risultati di ricerca di un motore vengono presentati all’utente in una pagina detta SERP (Search Engine Results Page –  tranquillo è la pagina di Google!).

SEO

Quando digiti qualcosa di tuo interesse sul motore di ricerca ottieni una serie di risultati, che possiamo dividere in due categorie:

  1. risultati a pagamento: selezionati tramite campagne pubblicitarie (gli “Annunci Sponsorizzati”).
  2. risultati organici: mostrati sotto a quelli a pagamento (o per primi, in assenza di annunci sponsorizzati per l’argomento cercato). Questi sono i risultati che si ottengono proprio grazie al lavoro di ottimizzazione del sito internet tramite azioni SEO.

Come funzionano i motori di ricerca?

L’unica certezza che abbiamo sui motori di ricerca è che nessuno conosce come funzionano. Non esiste un algoritmo, ne esistono migliaia, ergo, nessuno può garantire nulla sul posizionamento. Perché questa certezza?

Perché se ci fosse una sola persona che conoscesse il funzionamento dei motori diventerebbe in breve tempo ricchissima, riuscendo a posizionare ogni contenuto/sito al primo posto nella SERP. Quindi, se qualcuno ti contatta per offrirti un servizio di posizionamento con la certezza di essere “Primi su Google” ti sta prendendo in giro. Regolati di conseguenza.

Ma cosa fa un motore di ricerca?

Tramite azioni continuative di esplorazione, il motore di ricerca analizza il web, ovvero miliardi di pagine web tutti i giorni e le acquisisce, confrontandole con pagine web che trattano gli stessi argomenti. Le cataloga per argomento e le indicizza (gli dà un’importanza, un ranking), per restituire all’utilizzatore della rete il miglior risultato possibile rispetto alla ricerca che ha effettuato per quel determinato argomento.

Nel fare questo lavoro, continuo, entrano in gioco un numero incredibile di variabili che influenzano sostanzialmente i risultati delle esplorazioni e di conseguenza la catalogazione (indicizzazione) ed il posizionamento dei contenuti/siti all’interno delle SERP.

Serch

Dietro l’attività di SEO ci sono ore ed ore di lavoro, anche in ambiti disciplinari molto diversi tra loro, con un solo obiettivo comune: migliorare il posizionamento organico in SERP. Questo perché più ci si trova in alto nella lista dei risultati, maggiori saranno le possibilità che un utente clicchi e venga a visitare il tuo sito.

In questo contesto vale un po’ quanto detto sul posizionamento di prodotto (infatti si usa la stessa terminologia): o sei primo o sei secondo, il terzo già conta poco? Ebbene qui le cose vanno più o meno allo stesso modo. Considera che la possibilità di ottenere un click per una data ricerca per i primi tre risultati organici è dell’80%. Dal quarto in poi restano le briciole.

Cosa significa fare SEO? Le regole base

La prima cosa da fare è analizzare il sito (o progettarne la sua costruzione, se lo si deve creare da zero). Si tratta di una parte fondamentale dell’intero lavoro di SEO. Un sito ottimizzato è la base di partenza di tutte le altre attività. Siti con pagine interne “nomesito.it/123” o similari non danno alcun valore al sito, né sono utili all’indicizzazione da parte dei motori di ricerca. Viceversa pagine interne nominate in relazione all’argomento che contengono aiutano i motori di ricerca a catalogare e posizionare correttamente quel contenuto.

La scelta di contenuti e keywords

Realizzato il sito (la struttura) occorre scegliere i contenuti e le relative keywords per cui vorremmo fosse posizionato. Il consiglio è iniziare nel modo più tradizionale possibile: brainstorming. Da questa riunione deve scaturire:

  • una lista di contenuti e keywords;
  • che porterà a sinonimi delle parole chiave dell’argomento;
  • per poi inserire nelle nostre keywords le categorie a cui appartiene il prodotto;
  • le sottocategorie, studiando magari anche come si posiziona la concorrenza.

Alla fine otterremo una nuvola di parole chiave. Questa sarà la nostra “nuvola armonizzata” che utilizzeremo ogni volta che dovremo posizionare un prodotto, utile anche per impostare le campagne di advertising sui motori di ricerca.

All’interno delle pagine vanno posizionate le keyword individuate per quello specifico argomento, meglio ancora se alcune di queste fanno da “anchor text”, ovvero contengono al loro interno un link che riporta ad un approfondimento ancora più verticale dell’argomento.

Questi link possono essere interni al sito stesso (altre pagine in cui magari quell’argomento è stato approfondito), oppure esterni, portare cioè su un altro sito (in questo caso meglio se si tratta di un sito molto autorevole che tratta quello specifico argomento).

Fondamentale, per poter catturare l’attenzione degli utenti, inserire all’interno del nostro sito dei contenuti multimediali (audio, video, foto). Nell’inserire questo tipo di contenuti occorre “taggarli” con il maggior numero di informazioni possibili, in modo da poter essere riconosciuti dai motori di ricerca. Un conto è l’utente che fruisce di quel contenuto (e lo capisce) per come lo ascolta, lo vede.

Altro è l’analisi del motore di ricerca fatta da un software, che di un’immagine non capisce nulla, se non che si tratta di un file .jpg! Occorre quindi riempire tutti quei campi che sono a disposizione nel momento in cui inseriamo il contenuto, ad esempio il “titolo” della foto (una cosa è “DCM180.jpg” altra “bambino che mangia il gelato”), il campo “descrizione”, il campo “didascalia” e quello “testo alternativo”.

Contenuti foto e video

Google ha una sezione di ricerca dedicata ad “immagini” ed una “video”, molto più utilizzate di quanto si crede. Come pensi che vengano indicizzate le foto se non attraverso il testo che le accompagna? Un’immagine od un video indicizzato contribuisce al traffico del sito, esattamente come un contenuto testuale.

Curare ed ottimizzare la qualità dei contenuti e la loro unicità sono forse i due fattori più importanti di un’azione SEO. Quando parliamo di qualità, intendiamo sia nei confronti dell’utente finale che del motore di ricerca (ricorda sempre che sono due concetti diversi!).

Il più grosso errore che si possa fare in ottica SEO nella fase di inserimento di nuovi contenuti è duplicarli, ovvero copiarli da altri siti o anche duplicarli all’interno dello stesso sito (in questo caso si parla di cannibalizzazione di contenuti). Un contenuto copiato viene immediatamente riconosciuto dal motore di ricerca che non catalogherà più il tuo sito come interessante per quell’argomento, bensì tenderà ad escluderlo dalla possibilità di essere indicizzato. Perché sostanzialmente stai presentando contenuti già trattati identicamente da un altro sito (quindi già indicizzati e posizionati).

Questo problema viene spesso sottovalutato perché si tende a pensare che nel vastissimo mare di internet è impossibile trovare due contenuti copiati, invece è molto più semplice di quanto immagini. Per evitare di duplicare contenuti esistono programmini (molti gratuiti) che possono fare questo tipo di ricerca anche per te in pochissimi secondi. Se pensi invece che “tanto Google non se ne accorge” hai un altro problema… ma è solo tuo ?

Social Media Influencing: punti ad essere migliore o diverso?

Abbiamo visto come la Social Media Strategy si articola in 4 fasi ed esaminato la prima (il social listening). In questo articolo ci concentreremo sul secondo step: il Social Influencing. Per social Media Influencing si intende l’utilizzo dei social media finalizzato ad incrementare l’influenza dell’azienda sul mercato. Attenzione, questa fase non va confusa con l’attività svolta tramite eventuali influencer, che è azione diversa ed analizzata al punto successivo (social networking).

Tra gli obiettivi principali da raggiungere attraverso l’utilizzo dei social abbiamo:

  • Aumento della brand awareness.
  • Aumento del traffico su sito, landing page, social, ecc.
  • Aumento della notorietà dei prodotti/servizi offerti.
  • Aumento dell’engagement.
  • Incremento dei lead e del pubblico per attività di retargeting.

Per capire più a fondo questa fase della strategia social può essere utile rappresentare il funnel del marketing con il classico “imbuto” che si compone di 5 fasi (5A). Spesso definito anche customer journey, il funnel descrive il percorso che trasforma un utente generico in potenziale cliente (lead), poi in cliente ed infine in un cliente fidelizzato e promoter del brand.

IL FUNNEL DEL MARKETING

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Vediamo nel dettaglio le singole fasi:

1.     AWARE: avviene la scoperta del prodotto, lo conosco ed acquisisco consapevolezza.

2.     APPEAL: mi piace e ne apprezzo le sue caratteristiche.

3.     ASK: mi informo, chiedo, acquisisco informazioni, confronto, ricerco, mi convince.

4.     ACT: decido, lo compro.

5.     ADVOCATE: sono soddisfatto dell’acquisto, lo consiglio ad altri (passaparola).

Per ogni fase vanno previste delle azioni da inserire nella social media strategy, come quelle che riporto nella tabella che segue (riadattamento da “Fondamenti di Digital Marketing” – Ninja Academy).

ESEMPIO FUNNEL NIKE

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Ricordi la regola più importante del posizionamento?

Primo o secondo, tertium non datur! L’errore più grande che un’azienda può commettere è affermare (sia nel significato di “dire/comunicare” che di “tentare di acquisire credito”) di essere leader del settore, di avere il migliore prodotto, con le migliori caratteristiche e garanzie, il miglior servizio clienti, ecc.

Eppure è l’errore più comune, che quasi tutte le aziende inconsciamente commettono. E’ un errore che non permette alla comunicazione aziendale di entrare nella testa del consumatore, proprio perché lo fanno tutti. Se diciamo tutti le stesse cose, nessuno dice nulla di nuovo.

Se la tua comunicazione è volta ad enfatizzare le qualità del prodotto, la sua ergonomia, gli infiniti accessori con cui lo puoi personalizzare, lo sconto esclusivo che mi riserverai, che si tratta di un prodotto artigianale, che rispetta l’ambiente… non mi stai dicendo altro che sei il migliore. Il che può anche essere vero. D’altronde chiunque produce qualcosa con amore e passione cerca di farlo al meglio. Ma a dire che sei il migliore dovrebbero essere i clienti.

Migliore vs Diverso

Come venirne fuori? Semplice, uscendo dal loop del confronto su chi sia il migliore, dimostrando di essere diverso, ovvero creando la tua nicchia e posizionandoti lì. Riccardo Scandellari sembra pensarla allo stesso modo, tanto da scrivere nella sua newsletter (Skande Newsletter): “Se ci hai fatto caso, quando consigli un prodotto ad un amico, a meno che non siate entrambi tecnici del settore, non esponi una lista di caratteristiche tecniche, ma racconti come ti abbia permesso di risolvere un problema, come ti ha fatto sentire e quanto è stato semplice farlo. Alcuni di noi acquistano una moto Yamaha e altri una Harley Davidson. Hanno caratteristiche tecniche più o meno apprezzabili, ma entrambe comunicano al mercato valori ed emozioni esclusive. L’emozione viene prima, la fredda lista delle caratteristiche tecniche dopo, perché è importante, ma non quanto gli stimoli emozionali. Acquistiamo beni che infondono un senso di appartenenza e una visione del mondo. I grandi Brand non partono dai prodotti ma dal significato che avranno nelle vite degli acquirenti. Puoi farlo anche tu” (Riccardo Scandellari – Skande Newsletter).

Nell’impostare una corretta social media strategy è dunque fondamentale chiarire il tipo di messaggio che vogliamo veicolare: la mission e vision che vogliamo trasmettere, il percorso per aprire la famosa porta nella testa del consumatore deve essere chiaro e definito!

Alcuni esempi di mission di brand

  • Apple: “Apple si dedica alla crescita dell’uomo, rendendo la tecnologia informatica accessibile a tutti per cambiare il modo in cui pensiamo, lavoriamo, impariamo e comunichiamo”. Apple vuole cambiare il mondo con la sua tecnologia, questo è il motivo per cui un cliente sceglie Apple, per contribuire a cambiare il mondo.
  • Amazon: “Diventare l’impresa mondiale centrata sul consumatore, in cui il cliente possa trovare qualsiasi bene online adatto alle sue esigenze e al miglior prezzo possibile”. Tutti i prodotti del mondo al miglior prezzo, con il miglior servizio. Chiaro perché acquisti su Amazon?
  • Facebook: “Creare comunità e unire il mondo, aiutando le persone a rimanere in contatto con famigliari e amici”. Rimanere in contatto, non ci vuole altro per spiegare perché lo usi.

Esempi perfetti di definizione precisa e puntuale di valori da trasmettere attraverso la strategia di comunicazione. E tu, cosa vuoi trasmettere con la tua strategia di comunicazione?

Quanto tempo dedichi all’ascolto social?

La Social Media Strategy è lo strumento alla base della gestione delle attività sui social media. È una sorta di bussola che guida l’azienda (o il consulente Social Media) nel percorso verso una coerente e produttiva presenza social. Normalmente si articola in 4 fasi, in questo articolo ci concentreremo sulla prima: il Social Listening.

social media strategy

1. Social Media Listening

Il Social Media Listening è l’insieme delle attività finalizzate all’ascolto delle conversazioni online attorno a specifiche keyword, al tuo brand, al settore di riferimento e/o ai competitor. La parola magica è appunto ascolto, attività spesso dimenticata dagli utilizzatori della rete, sempre pronti a dire la loro, quando invece sarebbe fondamentale prima capire che “aria tira”. Tra gli obiettivi principali dell’attività di social listening possiamo includere:

  • Identificare il sentiment del mercato.
  • Identificare il linguaggio del consumatore (ci aiuterà a definire stile della comunicazione e tono di voce).
  • Identificare il gap di prodotto (ci aiuterà ad apportare modifiche di prodotto/servizio così come da richieste dei clienti).
  • Identificare gap di contenuto (ci aiuterà ad integrare i contenuti informativi secondo i bisogni mostrati dai clienti).
  • Identificare influencer e potenziali partner.
  • Reputation.
  • Crisis Management (ci aiuterà a trarre utili informazioni per poter gestire al meglio momenti di crisi).

Il social listening è riconosciuto come elemento fondamentale nei processi di customer service, in quanto i consumatori utilizzano spesso i social media per richiedere assistenza. E’ sempre più frequente ricevere domande, opinioni, suggerimenti e reclami su Facebook o su Twitter, piuttosto che al telefono. Un esercizio utile per iniziare l’attività di social listening potrebbe essere quello di provare a riempire una tabella come quella che propone Ninja Academy (in “Fondamenti di Digital Marketing”), seguendo l’esempio della prima riga:

Social Listening Tabella

I principali strumenti di social listening

Esistono molti software sul mercato che consentono di svolgere al meglio questa attività, di seguito alcuni dei più utilizzati, in ordine alfabetico:

  • Agorapulse
  • Brand24
  • Brandwatch
  • BuzzSumo
  • Digimind Social
  • Falcon.io
  • Hootsuite
  • HubSpot
  • Mention
  • Reputation
  • Sendible
  • Tailwind
  • Talkwalker

A conclusione di questa fase sarai in grado di impostare lo stile di comunicazione ed il tono di voce da adottare per la tua azienda. Si addice meglio uno stile comunicativo passivo, aggressivo o assertivo? Ed il tono di voce? Freddo (burocratico/istituzionale), Neutro (professionale/onirico), oppure caldo (amichevole/colloquiale) o colorato (ironico/aggressivo)? A tal proposito può essere molto utile ricorrere al “termometro” creato da Valentina Falcinelli:

Termometro comunicazione

Definito anche stile e tono della comunicazione sei pronto a… comunicare!
Nel prossimo articolo approfondiremo il secondo punto della Social Media Strategy: il Social Influencing.

In collaborazione con Stroncature la presentazione del libro “To be digital”

Il 6 maggio alle ore 16:00, Stroncature ha ospitato la presentazione di “To be digital” di Alessandro Angelelli (Moondo, 2022). Con l’autore Sergio Bellucci (giornalista, saggista, scrittore, esperto nei processi di trasformazione digitale) e Massimo Giordani (Innovation & Marketing Strategist, Presidente Associazione Italiana Sviluppo Marketing).

E’ stata l’occasione per approfondire le tematiche del digitale: il valore dei dati, il ruolo dei social ed il lavoro implicito. Scoprire le 5 caratteristiche dell’essere digitale. Infine si è guardato avanti, cercando di vedere cosa si prospetta all’orizzonte (VR, AR, MR, Metaverso, Blockchain ed NFT) un mondo fatto di novità ed opportunità, che vale la pena iniziare a conoscere e che non è nemmeno così lontano.

To be digital
To be digital – Libro disponibile su Amazon.

La presentazione del libro avviene in collaborazione con Stroncature, un progetto editoriale libero ed indipendente che persegue un triplice obiettivo:

  1. Proporre agli abbonati strumenti di approfondimento di quanto accade nel mondo a livello sociale, politico, economico e tecnologico e che consentano loro di intuire quello che accadrà.
  2. Produrre analisi non mainstream, ma riflessioni sul futuro della società digitale con particolare attenzione ai temi della libertà e pluralismo, solidarietà e welfare, ricerca scientifica ed innovazione tecnologica. 
  3. Fornire tutto quanto sopra nel rispetto delle libertà altrui con il fine di aumentare le conoscenze collettive.

Non poteva che essere il nostro partner ideale, con il quale nei prossimi mesi proporremo la presentazione di altri libri che approfondiscono le tematiche del digitale, della comunicazione e del marketing 😉

L’ambiente influenza una corretta comunicazione? Tra cellule e nuove generazioni

Bruna Corradetti è una giovane scienziata italiana, un’eccellenza mondiale nel suo settore. La sua storia è il risultato di esperienze acquisite in giro per il mondo, studiando tra i centri di ricerca scientifica internazionali più prestigiosi del pianeta. Nel 2016 ha ottenuto il “Premio Italia Giovane” per l’impatto positivo che il suo esempio ha sulle nuove generazioni, nel 2017 è stata nominata tra le “100 Eccellenze Italiane” premiate a Montecitorio. Prima donna ad essere nominata segretario della European Society for Translational Medicine e nel 2019 ha ricevuto il premio BPW-CUP come riconoscimento del suo ruolo di donna leader nelle discipline STEM. I suoi studi riguardano la comprensione delle informazioni inviate dalle cellule staminali a quelle circostanti in modo da riattivare il potenziale rigenerativo intrinseco del nostro corpo, debilitato da infiammazioni croniche, stress e cancro. Le fa battere il cuore riconoscere i talenti dei giovani e avere l’onore di supportare il loro potenziale. Si batte perché la scienza diventi sostenibile, e sappia insegnare a rialzarsi attraverso le difficoltà per rafforzare il coraggio delle nuove generazioni e accompagnarle nei loro successi.
Il fatto che Bruna abbia scelto Moondo per far conoscere il suo lavoro e per divulgare conoscenza ed avvicinare i giovani alla scienza ci rende orgogliosi. Benvenuta tra noi!


Sviluppo terapie avanzate prende ispirazione dalla socialità dei sistemi biologici

Lo sviluppo terapie avanzate in grado di risvegliare il potenziale rigenerativo del corpo, quando annientato da una malattia o da un’infezione perde coscienza delle proprie capacità, si basa sull’osservazione attenta dei processi che utilizza per funzionare e comprendendo gli errori che commette quando smette di farlo.

Il mio gruppo studia le informazioni che le cellule staminali, cellule con una spiccata capacità terapeutica, sfruttano per comunicare con quelle circostanti. Si tratta di veri e propri pacchetti di parole che cambiano a seconda del programma che vogliono attivare nelle cellule che le ricevono. Quelle parole guidano i processi biologici che ci tengono in salute. Si tratta di veri e propri pacchetti di parole che cambiano a seconda del programma che vogliono attivare nelle cellule che le ricevono. È per questo che le utilizziamo come terapie salvavita!

Comprendere il linguaggio utilizzato dalle cellule staminali rappresenta la strada che stiamo percorrendo per lo sviluppo di terapie biomimetiche avanzate in grado di risvegliare il potenziale rigenerativo del nostro corpo, quando annientato da una malattia o da un’infezione perde coscienza delle proprie capacità. Lo facciamo prendendo ispirazione dai processi che utilizza per funzionare e comprendendo gli errori che commette quando smette di farlo.

Le informazioni scambiate tra cellule staminali e cellule immunitarie hanno un potere enorme e guidano i processi biologici che ci tengono in salute. È per questo che le utilizziamo come terapie salvavita. Eppure, a volte capita che le lettere di quelle parole vengano assemblate in maniera incorretta, che il contenuto di quei pacchetti venga alterato e che si attivino nelle cellule riceventi meccanismi aberranti, con conseguenze negative sul funzionamento del nostro organismo. Comprendere il linguaggio utilizzato dalle cellule staminali rappresenta la strada che sto percorrendo per lo sviluppo di terapie avanzate in grado di educare il nostro sistema immunitario a proteggerci. 

Ma se il corpo sa benissimo come reagire ad un insulto, da dove deriva questa incapacità di reagire? I processi biologici non si discostano molto dalle interazioni che avvengono nella società. L’effetto di un ambiente infiammato sulle cellule staminali, il cui potenziale si definisce sulla base delle informazioni che ricevono, mi ricorda spesso quello che l’esposizione a un ambiente tossico, chiuso, apatico ha sulle nuove generazioni.

La prima reazione è quella di dare il meglio di sé, mobilitarsi per raggiungere l’obiettivo, mostrarsi positivi e propositivi. Anzi, è proprio quando si trovano in un ambiente difficile che le cellule staminali producono segnali utili a riattivare le cellule circostanti, ricordare loro chi sono, sembra sia proprio la sfida a conferire loro un effetto terapeutico così potente. Se l’infiammazione persiste, però, come i giovani, anche le cellule esauriscono le loro risorse e smettono di lottare. Ed è in quei casi che c’è bisogno di un intervento esterno. La chiamiamo terapia cellulare. 

L’ambiente in cui operiamo ha il potere di distorcere la natura di alcune parole e modificarne il significato, con un effetto devastante sul nostro corpo e conseguenze distruttive sulla nostra società. Ha il potere di sostenerci nel raggiungimento dei nostri obiettivi oppure di renderci insicuri e annientarci, per sempre. Non è così che inizia la strada verso la rinuncia a un sogno?

Qual è il posizionamento del tuo prodotto?

Nel mio lavoro mi confronto con imprenditori per elaborare strategie e tattiche di marketing. Prima di iniziare cerco sempre di capire come il prodotto (l’azienda) è posizionato. Spesso è proprio qui che iniziano i problemi. Sono ancora tanti gli imprenditori che sottovalutano l’importanza del posizionamento di un prodotto, senza il quale anche la migliore strategia e la più astuta tattica falliscono miseramente. Vediamo di capirne qualcosa in più.

Prima di ogni strategia di marketing, quindi della definizione delle tattiche con cui realizzarla, occorre definire con precisione il posizionamento del prodotto, che inevitabilmente influenzerà entrambe. Il posizionamento di un prodotto nel marketing: “indica il modo in cui un prodotto trova collocazione nella mente del potenziale consumatore” (fonte dizionario Treccani).

Posizionamento dinamico? No grazie.

In un mondo ibrido reale/digitale gli stimoli comunicativi cui siamo sottoposti sono praticamente continui durante tutto l’arco della giornata. Per questo motivo c’è chi ritiene che sia necessario modificare il posizionamento a seconda del contesto, tanto da parlare di posizionamento dinamico.

Per i cultori di questa teoria si raggiunge il risultato attraverso due metodologie: affiliation e lock-in. Senza entrare troppo nel dettaglio, con affiliation s’intendono le operazioni volte ad alimentare atteggiamenti fiduciari nel cliente (politiche di prezzo eque, velocità nella consegna, tempestività del servizio di customer care, ecc.), mentre con il lock-in si persegue l’obiettivo di far aumentare la percezione degli “switching costs” da parte del cliente (nel caso pensasse di cambiare fornitore).

Il posizionamento è già nella mente del cliente, basta trovarlo

Personalmente ritengo la teoria del posizionamento dinamico una contraddizione in termini. Se una cosa è “posizionata” non si muove (altro che dinamica). Gli preferisco di gran lunga la vecchia teoria del posizionamento di Al Ries, secondo cui l’obiettivo del posizionamento di un prodotto sta nel trovare la “porta” che ci permette di entrare nella mente del potenziale cliente (ecco che ritroviamo il concetto di mente della definizione Treccani). Una teoria datata, ma a mio avviso ancora del tutto valida.

Seppure ogni cittadino, attraverso la rete internet, vive un mondo parallelo (digitale) in cui riceve e produce informazioni e comunicazione, paradossalmente non è comunicando che riusciremo a posizionare e vendere un prodotto, quanto piuttosto entrando per primi nella mente del consumatore con un’idea, un concetto.

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Ma non basta trovare la porta, bisogna farlo per primi! E nel varcare quella porta non bisogna tentare di cambiare l’immagine mentale del cliente, semmai rafforzarla. Capisci bene come il concetto di posizionamento dinamico è per me un nonsense. Il posizionamento è uno, ed una volta trovato è meglio pensarci dieci volte prima di cambiarlo. Si può fare ma è un rischio.

Trovare il giusto posizionamento è operazione complessa, che influenzerà per anni tutte le strategie e le tattiche di comunicazione e marketing. Per raggiungere l’obiettivo occorre abbandonare le logiche convenzionali secondo cui è necessario cercare le caratteristiche nell’azienda o nel prodotto, e sforzarsi di guardare nella mente del potenziale cliente. Lì il posizionamento del prodotto c’è già!

Quando negli anni ’70 ad alcuni esperti di marketing fu chiesto di posizionare la 7-Up, bibita concorrente a Coca Cola e Pepsi Cola, questi decisero di non guardare alle caratteristiche del prodotto. Se lo avessero fatto avrebbero probabilmente convenuto che si trattava di una “bibita al gusto di limone”, “bibita gasata e trasparente”, “bibita dissetante”, ecc. Ma non avrebbero mai trovato l’idea “The Uncola” all’interno di una lattina di 7-Up. L’idea era già nella testa di chi la beveva.  https://www.linkedin.com/embeds/publishingEmbed.html?articleId=7118344906148141446

Altra considerazione, ho accennato al fatto che non basta trovare la porta, bisogna farlo per primi. In un dato settore o sei il primo (leader di settore) o sei il secondo (e ti posizioni in alternativa al primo, contrapponendoti ad esso). Tertium non datur, dicevano i latini.

Se ti chiedessi chi è stato il primo uomo ad aver messo piede sulla Luna? Forse risponderesti correttamente Neil Armstrong. E se ti chiedessi chi è stato il secondo? Ed il terzo? Beh diciamo che l’esempio è chiaro, no? Ma non vorrei lasciarti con il dubbio, quindi il secondo è stato Aldrin, il terzo Conrad ?.

Si parla di posizionamento nel momento in cui si lancia un nuovo prodotto, anche se a volte è necessario tentare di “ri-posizionare” un prodotto già presente sul mercato. Ribadisco, si tratta di un’operazione molto rischiosa e difficile, proprio perché una volta che si è creata l’immagine di prodotto nella mente del consumatore sarà molto complicato (se non impossibile) modificarla.

Perché? Perché ognuno di noi vede, sente, tocca, gusta, odora, ciò che il nostro cervello si aspetta di vedere, sentire, toccare, gustare, odorare. Con buona pace del posizionamento dinamico…

Allora? Il tuo prodotto come è posizionato?

Come è strutturata la presenza online della tua azienda?

Nell’ultimo articolo della newsletter ho accennato al posizionamento del brand ed all’importanza di definire questo aspetto prima di affrontare qualunque ragionamento sulla strategia di marketing. Prima di iniziare c’è ancora un nodo da sciogliere: strutturare la presenza online dell’azienda.

MEZZI PROPRIETARI VS PIATTAFORME

Ieri mi sono imbattuto in un post sponsorizzato che diceva testualmente: “La tua azienda non ha bisogno di un sito web”. Qualche giorno fa un altro: “E’ finita l’era delle web agency” e via a seguire con una serie di affermazioni che avrebbero dovuto giustificare il titolo ad effetto acchiappaclic (clickbait per i puristi della materia?).

La mia posizione in proposito è molto semplice e, come spesso mi capita, la generalizzo rendendola comprensibile a tutti, anche all’oramai famoso pescivendolo mago del marketing.

Mettiamola così: sei un ricco imprenditore, hai una casa grande e spaziosa, con un enorme giardino che decidi di aprire per ospitare persone con cui hai voglia di fare amicizia e socializzare. Le persone iniziano ad arrivare, parlano, si scambiano opinioni, foto, video, si innamorano, si lasciano, insomma, socializzano. Tu investi per far stare sempre meglio i tuoi ospiti. Compri mobili e giochi da giardino, costruisci una bella piscina, aree per picnic, organizzi concerti live, insomma va tutto alla grande!

Nel frattempo la tua conoscenza degli amici migliora notevolmente, scopri che alcuni vengono solo per la piscina ed hanno bisogno di ombrelloni e sdraio. Altri amano frequentare il giardino, parlano di arte e leggono libri, alcuni corrono. Capisci che acquisterebbero volentieri libri o scarpe da running. Così contatti aziende del settore e gli proponi in affitto aree della casa in cui possono esporre e vendere la loro merce. In cambio di un compenso, ovvio. D’altronde sei un imprenditore!

Passa il tempo, si crea e consolida la community. Tutto fila liscio, fin quando qualcuno inizia a pensare che quella bella casa, con quel meraviglioso giardino pieno di gente sia, in realtà, la sua. Ed inizia a comportarsi in modo inappropriato per i tuoi canoni: alza la voce, non rispetta gli orari e le regole (che sono le tue regole, quelle che TU hai deciso per vivere in casa TUA con i TUI ospiti). All’inizio glielo lasci fare, fin quando non supera il limite. Quando per te è decisamente troppo, lo cacci di casa!

Cosa c’è di strano? E’ forse un comportamento anti democratico? Sembrerebbe di no. Ma se la proprietà privata è un social network? E’ esattamente quello che è successo al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante l’ultima campagna elettorale.

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Approfondiamo meglio l’accaduto e domandiamoci: “E’ normale quello che è successo?” No, non è normale. “E’ corretto?” Forse si, è corretto. E’ giusto tutto questo? Ecco la vera domanda! Ma rispondere a questa domanda implica introdurre una riflessione che svierebbe dal ragionamento inziale: un’azienda può essere online senza un sito proprietario?

Un’azienda può essere online senza un sito proprietario?

A supportare la tesi di chi sostiene che si, si può essere online senza possedere alcun mezzo proprietario, la spiegazione che grazie alle pagine create su piattaforme di terzi (Google My Business, Amazon, Ebay, Facebook, Instagram LinkedIn, YouTube, Twitter, Pinterest, TikTok, Snapchat, ecc.) i siti web per le piccole realtà avrebbero poco senso e sicuramente meno visite delle pagine social.

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E’ come sostenere che si potrebbe vivere nel mondo reale senza una casa (di proprietà, o in affitto), perennemente ospiti di amici, parenti, conoscenti, sconosciuti. Si può fare? Forse. Ma il rischio lo abbiamo appena visto, si può essere sbattuti fuori da un momento all’altro. Senza considerare l’altro enorme rischio legato alla sicurezza: e se il tuo profilo viene “hackerato” e cancellato?

Dall’altro lato chi sostiene che sia necessario possedere uno o più strumenti di comunicazione digitale, magari da implementare con i vari Facebook, Twitter, YouTube e compagnia cantando.

La costruzione della tua identità e presenza digitale costa impegno e fatica, è ragionevole affidarla completamente all’arbitrio di terzi? Con il rischio di scomparire in un batter d’occhio. Puff… Appù!

E la tua azienda? Come è strutturata la sua presenza online? 

Le etichette personalizzate come strumento di marketing

All’interno di una strategia di marketing sono diversi gli strumenti che un’azienda ha a disposizione per accrescere la propria popolarità e autorevolezza, nonché le vendite. Un ruolo particolarmente utile a suscitare l’interesse dei consumatori e a persuaderli è quello delle etichette adesive, biglietto da visita dei prodotti, il primo tramite con i sensi della persona. A questo si affianca quello di fornire informazioni sul prodotto, tra cui quelle obbligatorie.

Coerenza con la marca, capacità di sorprendere, riconoscibilità, ma anche chiarezza e trasparenza; sono tante, dunque, le caratteristiche che una buona etichetta deve rispettare, senza dimenticare ovviamente la qualità di stampa.

In tale contesto diversità e unicità fanno spesso la differenza. Il presupposto iniziale di tutti i progetti di marketing è rappresentato dal posizionamento del brand sul mercato, con il quale ogni marca punta a occupare un certo spazio nella memoria dei clienti. Da questo punto di vista le etichette adesive possono fornire i giusti input al consumatore per abbinare concetti specifici al prodotto, e di conseguenza alla sua marca.

Ma come si fa a rendere le etichette dei prodotti un valido strumento di marketing? Partendo da una progettazione che metta in evidenza i valori del brand e che sia coerente con la sua comunicazione, è importante poi tradurre il tutto in un prodotto concreto che sia funzionale alle esigenze dell’azienda, ovvero in un’etichetta personalizzata.

Le etichette in bobina

Per la creazione di etichette di qualità e personalizzate in virtù dei singoli bisogni, si fa riferimento a quelle in rotolo o in bobina, le più utilizzate ormai dalle aziende di ogni settore. Le etichette in rotolo si preferiscono, infatti, per le maggiori opportunità di configurazione della stampa, anche dal punto di vista delle nobilitazioni. Hanno, inoltre, standard di qualità molto elevati e garantiscono la possibilità di essere applicate anche automaticamente tramite macchina etichettatrice.

Le etichette in bobina sono usate per contenitori e bottiglie di qualunque genere, e assicurano un risultato altamente professionale. È possibile personalizzare le etichette in bobina con facilità, approfittando dei punti di forza peculiari della stampa su rotolo. Le etichette possono essere ovali, rotonde, quadrate o rettangolari, senza limiti né vincoli di alcun genere dal punto di vista del formato, che può essere addirittura fronte-retro.

La fustellatura

Per le etichette in bobina è possibile poi realizzare la sagoma con la fustellatura a laser, non solo con quella meccanica. La fustellatura a laser è la veloce, nonché economica. Il laser, tuttavia, rilascia in corrispondenza dei margini delle etichette un lieve bordino bianco, che risulta visibile sulle etichette a fondo scuro. È importante per cui capire se questo tipo di fustellatura è la migliore in base al tipo di etichetta che si va a stampare. In alternativa quella meccanica resta la scelta ottimale per tutte le etichette con fondo scuro.

Personalizzare etichette online

Personalizzare etichette, quindi, è fondamentale per il marketing di un’azienda. Le opportunità garantite online in termini di configurazione delle etichette sono tantissime, tuttavia è importante saper scegliere tra i tanti fornitori di servizio attualmente in rete.

In questo campo LabelDoo ha costruito una realtà solida e finalizzata proprio a fornire soluzioni ideali alle aziende, di qualunque settore ed entità.

Avendo alle spalle oltre 40 anni di esperienza, questo etichettificio storico mette a disposizione un servizio online che permette di personalizzare le etichette al meglio, con grande libertà di scelta e tantissime opzioni a disposizione. Il tutto con la garanzia di una qualità di stampa eccellente.

Articolo redatto in collaborazione con LabelDoo.