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Come è strutturata la presenza online della tua azienda?

Nell’ultimo articolo della newsletter ho accennato al posizionamento del brand ed all’importanza di definire questo aspetto prima di affrontare qualunque ragionamento sulla strategia di marketing. Prima di iniziare c’è ancora un nodo da sciogliere: strutturare la presenza online dell’azienda.

MEZZI PROPRIETARI VS PIATTAFORME

Ieri mi sono imbattuto in un post sponsorizzato che diceva testualmente: “La tua azienda non ha bisogno di un sito web”. Qualche giorno fa un altro: “E’ finita l’era delle web agency” e via a seguire con una serie di affermazioni che avrebbero dovuto giustificare il titolo ad effetto acchiappaclic (clickbait per i puristi della materia?).

La mia posizione in proposito è molto semplice e, come spesso mi capita, la generalizzo rendendola comprensibile a tutti, anche all’oramai famoso pescivendolo mago del marketing.

Mettiamola così: sei un ricco imprenditore, hai una casa grande e spaziosa, con un enorme giardino che decidi di aprire per ospitare persone con cui hai voglia di fare amicizia e socializzare. Le persone iniziano ad arrivare, parlano, si scambiano opinioni, foto, video, si innamorano, si lasciano, insomma, socializzano. Tu investi per far stare sempre meglio i tuoi ospiti. Compri mobili e giochi da giardino, costruisci una bella piscina, aree per picnic, organizzi concerti live, insomma va tutto alla grande!

Nel frattempo la tua conoscenza degli amici migliora notevolmente, scopri che alcuni vengono solo per la piscina ed hanno bisogno di ombrelloni e sdraio. Altri amano frequentare il giardino, parlano di arte e leggono libri, alcuni corrono. Capisci che acquisterebbero volentieri libri o scarpe da running. Così contatti aziende del settore e gli proponi in affitto aree della casa in cui possono esporre e vendere la loro merce. In cambio di un compenso, ovvio. D’altronde sei un imprenditore!

Passa il tempo, si crea e consolida la community. Tutto fila liscio, fin quando qualcuno inizia a pensare che quella bella casa, con quel meraviglioso giardino pieno di gente sia, in realtà, la sua. Ed inizia a comportarsi in modo inappropriato per i tuoi canoni: alza la voce, non rispetta gli orari e le regole (che sono le tue regole, quelle che TU hai deciso per vivere in casa TUA con i TUI ospiti). All’inizio glielo lasci fare, fin quando non supera il limite. Quando per te è decisamente troppo, lo cacci di casa!

Cosa c’è di strano? E’ forse un comportamento anti democratico? Sembrerebbe di no. Ma se la proprietà privata è un social network? E’ esattamente quello che è successo al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante l’ultima campagna elettorale.

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Approfondiamo meglio l’accaduto e domandiamoci: “E’ normale quello che è successo?” No, non è normale. “E’ corretto?” Forse si, è corretto. E’ giusto tutto questo? Ecco la vera domanda! Ma rispondere a questa domanda implica introdurre una riflessione che svierebbe dal ragionamento inziale: un’azienda può essere online senza un sito proprietario?

Un’azienda può essere online senza un sito proprietario?

A supportare la tesi di chi sostiene che si, si può essere online senza possedere alcun mezzo proprietario, la spiegazione che grazie alle pagine create su piattaforme di terzi (Google My Business, Amazon, Ebay, Facebook, Instagram LinkedIn, YouTube, Twitter, Pinterest, TikTok, Snapchat, ecc.) i siti web per le piccole realtà avrebbero poco senso e sicuramente meno visite delle pagine social.

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E’ come sostenere che si potrebbe vivere nel mondo reale senza una casa (di proprietà, o in affitto), perennemente ospiti di amici, parenti, conoscenti, sconosciuti. Si può fare? Forse. Ma il rischio lo abbiamo appena visto, si può essere sbattuti fuori da un momento all’altro. Senza considerare l’altro enorme rischio legato alla sicurezza: e se il tuo profilo viene “hackerato” e cancellato?

Dall’altro lato chi sostiene che sia necessario possedere uno o più strumenti di comunicazione digitale, magari da implementare con i vari Facebook, Twitter, YouTube e compagnia cantando.

La costruzione della tua identità e presenza digitale costa impegno e fatica, è ragionevole affidarla completamente all’arbitrio di terzi? Con il rischio di scomparire in un batter d’occhio. Puff… Appù!

E la tua azienda? Come è strutturata la sua presenza online? 

Le etichette personalizzate come strumento di marketing

All’interno di una strategia di marketing sono diversi gli strumenti che un’azienda ha a disposizione per accrescere la propria popolarità e autorevolezza, nonché le vendite. Un ruolo particolarmente utile a suscitare l’interesse dei consumatori e a persuaderli è quello delle etichette adesive, biglietto da visita dei prodotti, il primo tramite con i sensi della persona. A questo si affianca quello di fornire informazioni sul prodotto, tra cui quelle obbligatorie.

Coerenza con la marca, capacità di sorprendere, riconoscibilità, ma anche chiarezza e trasparenza; sono tante, dunque, le caratteristiche che una buona etichetta deve rispettare, senza dimenticare ovviamente la qualità di stampa.

In tale contesto diversità e unicità fanno spesso la differenza. Il presupposto iniziale di tutti i progetti di marketing è rappresentato dal posizionamento del brand sul mercato, con il quale ogni marca punta a occupare un certo spazio nella memoria dei clienti. Da questo punto di vista le etichette adesive possono fornire i giusti input al consumatore per abbinare concetti specifici al prodotto, e di conseguenza alla sua marca.

Ma come si fa a rendere le etichette dei prodotti un valido strumento di marketing? Partendo da una progettazione che metta in evidenza i valori del brand e che sia coerente con la sua comunicazione, è importante poi tradurre il tutto in un prodotto concreto che sia funzionale alle esigenze dell’azienda, ovvero in un’etichetta personalizzata.

Le etichette in bobina

Per la creazione di etichette di qualità e personalizzate in virtù dei singoli bisogni, si fa riferimento a quelle in rotolo o in bobina, le più utilizzate ormai dalle aziende di ogni settore. Le etichette in rotolo si preferiscono, infatti, per le maggiori opportunità di configurazione della stampa, anche dal punto di vista delle nobilitazioni. Hanno, inoltre, standard di qualità molto elevati e garantiscono la possibilità di essere applicate anche automaticamente tramite macchina etichettatrice.

Le etichette in bobina sono usate per contenitori e bottiglie di qualunque genere, e assicurano un risultato altamente professionale. È possibile personalizzare le etichette in bobina con facilità, approfittando dei punti di forza peculiari della stampa su rotolo. Le etichette possono essere ovali, rotonde, quadrate o rettangolari, senza limiti né vincoli di alcun genere dal punto di vista del formato, che può essere addirittura fronte-retro.

La fustellatura

Per le etichette in bobina è possibile poi realizzare la sagoma con la fustellatura a laser, non solo con quella meccanica. La fustellatura a laser è la veloce, nonché economica. Il laser, tuttavia, rilascia in corrispondenza dei margini delle etichette un lieve bordino bianco, che risulta visibile sulle etichette a fondo scuro. È importante per cui capire se questo tipo di fustellatura è la migliore in base al tipo di etichetta che si va a stampare. In alternativa quella meccanica resta la scelta ottimale per tutte le etichette con fondo scuro.

Personalizzare etichette online

Personalizzare etichette, quindi, è fondamentale per il marketing di un’azienda. Le opportunità garantite online in termini di configurazione delle etichette sono tantissime, tuttavia è importante saper scegliere tra i tanti fornitori di servizio attualmente in rete.

In questo campo LabelDoo ha costruito una realtà solida e finalizzata proprio a fornire soluzioni ideali alle aziende, di qualunque settore ed entità.

Avendo alle spalle oltre 40 anni di esperienza, questo etichettificio storico mette a disposizione un servizio online che permette di personalizzare le etichette al meglio, con grande libertà di scelta e tantissime opzioni a disposizione. Il tutto con la garanzia di una qualità di stampa eccellente.

Articolo redatto in collaborazione con LabelDoo.

Che tipo di comunicazione propone la tua azienda?

Tutti comunichiamo, lo abbiamo sempre fatto. Oggi lo facciamo ancor di più grazie agli strumenti messi a disposizione dal mondo digitale (siti, piattaforme, social, ecc.), tanto che alcuni studiosi (Luciano Floridi) parlano di Infosfera: un ecosistema informativo in cui siamo immersi e viviamo e che tutti contribuiamo ad alimentare (media classici, ma anche enti, istituzioni, imprese e singoli cittadini).

Paradossalmente questa iper-produzione di contenuti, nel campo aziendale, rende le aziende sempre più editori (e gli editori sempre più aziende). Si assiste cioè ad un processo di trasformazione delle aziende in media company.

Interessante e molto esaustivo in tal senso il libro di Diomira Cennamo (L’azienda media company), che scrive: “Per operare ed essere competitive nel nuovo scenario comunicativo, saturo di informazioni e scarso di attenzione, le aziende devono trasformarsi almeno parzialmente in editori, con un cambiamento radicale che investe l’intera cultura aziendale ed i modelli organizzativi interni”.

Questo processo di trasformazione avviene nel tempo, sicuramente non dall’oggi al domani e non certo con voli pindarici, ma per gradi, attraverso un percorso di migrazione ed adattamento organizzativo interno all’azienda che possiamo sintetizzare (generalizzando per semplicità esplicativa) in 4 fasi, con livello di complessità crescente:

1. Comunicazione transmediale di prodotto. E’ la prima forma di comunicazione aziendale, non esiste azienda che all’inizio non veicoli il proprio prodotto. Es: campagna pubblicitaria AXA, nati per proteggere, basata sulla diffusione di videospot, post social, banner, digital PR, in cui venivano raccontate le storie di agenti AXA che proteggevano i propri assicurati vittime di incidenti/cause naturali, ecc. Il prodotto è al centro e viene comunicato in modo transmediale.

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2. Comunicazione transmediale di brand. Es: campagna Mercedes-Benz lanciata in occasione della festa della donna e che rende omaggio a Bertha Benz (moglie dell’inventore dell’automobile Carl) ed a tutte le donne coraggiose con il video: “The journey that changed everything”. Lo strumento utilizzato è un video ma l’enorme coinvolgimento che crea a livello emozionale (ovviamente voluto) lo rende un esempio transmediale di comunicazione, dal momento che lo stesso è stato citato e/o riportato in articoli di giornale (cartacei e digitali), post su social network, trasmissioni radiofoniche, ecc. In questo caso è il brand ad essere al centro e comunicato in modo transmediale.

3. Comunicazione tramite house organ che veicola valori, vision, mission, CSR, ecc. attraverso una vera e propria redazione interna all’azienda in grado di garantire la gestione di awareness/reputation/recruitiment/crisis ecc. Es. Blog di McKinsey, un vero e proprio house organ aziendale. La comunicazione di notizie, dati, informazioni riguardanti l’azienda è strutturata e segue un vero e proprio piano editoriale.

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4. Media company: l’azienda (o parte di essa) diventa una vera e propria media company. Es: Red Bull, crea contenuti coinvolgenti grazie ad una struttura interna. La comunicazione aziendale viene veicolata attraverso contenuti editoriali che poco hanno a che fare con il core business, ma che creano engagement ed alimentano i valori della community.

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E la tua azienda? In che fase si trova?

Ulteriori info ed approfondimenti nel libro To Be Digital.

Leader o Influencer?

E’ opinione diffusa che la Rete sia il luogo di una comunicazione superficiale, un susseguirsi di botta e risposta, che alimenta il conflitto ed azzera il confronto. Quello che conta è stare sul pezzo, velocità, immediatezza, ma anche superficialità. Non è raro che una notizia venga data prima da un semplice cittadino sul suo profilo social che da un giornale digitale, o che questo ultimo (nato con la possibilità di offrire al lettore fotogallery, video, audio, link, ecc.) finisca con il fornire meno informazioni di uno cartaceo che esce il giorno successivo.

“Stiamo entrando in un’era nuova piena di opportunità che affida a ciascun individuo il potere straordinario di partecipare direttamente alla formazione di notizie ed opinioni”, scrive Vittorio Meloni ne Il crepuscolo dei media.

“Internet è uno strumento straordinario utile all’aggregazione di gruppi sociali […]Parlare contro qualcuno o qualcosa nel tentativo di creare consenso. È un fenomeno a cui assistiamo tutti i giorni, a tutte le ore, ogni volta che entriamo sulla rete e leggiamo i post su Twitter o su Facebook. E’ chiaro che a questo punto la leadership diventa “molecolare”, come si usa dire “uno vale uno”: ma questo è la negazione dell’idea stessa di leadership” (Giampaolo Sodano).

Ecco appunto, l’idea di una “leadership” molecolare (cui accenna Sodano nel libro To Be Digital) mi affascina per la sua contraddizione in termini, riconosciuta dallo stesso autore. E difatti sarebbe più corretto definirla “influenza molecolare”. In Rete siamo tutti alla continua ricerca di “influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico”, che è esattamente la definizione che il vocabolario Treccani dà di Influencer: “Personaggio di successo, popolare nei social network e in generale molto seguìto dai media, che è in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico”.

Ma allora qual è la differenza tra un influencer ed un leader?

La risposta ce la dà Simon Sinek: “Ci sono solo 2 modi per incidere sulle scelte e sul comportamento delle persone: influenzarle oppure ispirarle”.

Ecco, a mio avviso la differenza tra l’influencer ed il leader è tutta qui, nei verbi che ne descrivono l’azione. Il primo influenza, in qualche modo “manipola”, il secondo ispira. E volendo potremmo aggiungere che il primo influenza per vendere, il secondo ispira perchè ha una visione. Un grande leader non necessariamente fa grandi cose, ma consente alle persone di raggiungere grandi risultati.

Tempo, attenzione e dati: chi controlla e comanda?

Lo sviluppo tecnologico è inarrestabile, con le macchine che aumentano la capacità computazionale (memorizzazione di informazioni, elaborazione e trasmissione) ad una velocità non comparabile con l’evoluzione del cervello umano. In pratica abbiamo per la prima volta due elaboratori che viaggiano a velocità diverse, con quello “artificiale” che conosce sempre meglio quello reale.

Secondo Roger McNamee (Facebook Early Investor Venture Capital): “Durante i primi 50 anni della Silicon Valley l’industria creava e vendeva prodotti: hardware e software. Negli ultimi 10 anni le grandi aziende vendono utenti”. Ora, se iniziamo a pensare alle persone come prodotti, dobbiamo entrare nell’ottica che per venderli bisogna conoscerli. E per conoscerli bene ci vuole tempo. Quale strumento migliore di uno smartphone? Sempre connesso, sempre con noi, con installate delle belle APP “gratuite” che ci aiutano a ritrovare amici o conoscerne di nuovi, a trovare amori, App che ci assistono nel traffico, che ci danno accesso a tutta la musica del pianeta o ad una infinità di film o video. Da piccolo ti davano il ciuccio per stare buono? Gli smartphone sono ciucci digitali. Anzi sono meglio, perchè funzionano anche con i grandi.

Tempo ed attenzione

Il tempo, appunto.
Il nostro tempo è la materia prima che muove questa nuova industria. E come per ogni industria che si rispetti: più materia prima, più produzione, più vendite, più guadagno. Ottenere il nostro tempo, catturare l’attenzione e mantenerla più a lungo possibile, per estrarre dati, è il fine per cui sono pensati gli algoritmi delle APP che utilizziamo quotidianamente.
Mai come oggi l’affermazione “il tempo è denaro” è diventata realtà.
Su questo argomento ha scritto riflessioni molto interessanti Sergio Bellucci (L’industria dei sensi – Harpo): “vendiamo il nostro tempo, solo che nessuno ce lo paga”. Anche perché in pochi ne sono consapevoli, aggiungo io.
Tutti i servizi gratuiti sono pagati per noi dagli inserzionisti. Uahooo, che gentili!
In cambio gli diciamo chi siamo, cosa facciamo, cosa vogliamo, persino cosa sogniamo di fare o di essere. Non è mai esistita la possibilità per un’azienda di conoscere perfettamente ogni cliente. Poi è arrivata la Rete, il paese di Bengodi, il paradiso sognato dalle grandi aziende. Investire sulla Rete significa aumentare la conoscenza del prodotto più venduto del secolo.

Controllo e comando

In un contesto del genere le domande da porsi per regolamentare un settore, o meglio un intero mondo, (quello digitale che sta nascendo), sono tante e tutte di difficile soluzione. Ma è necessario affrontare questi argomenti perchè chi controlla la Rete controlla l’economia e chi controlla l’economia controlla il mondo (stavolta quello reale). Il problema del controllo è dunque il vero dilemma.
Chi esercita la sovranità digitale? Chi controlla i dati ed il loro utilizzo? Il software? La robotica? Gli standard ed i protocolli (5G), l’hardware (ad es. gli smartphone)? E le infrastrutture su cui i dati viaggiano?
Domande cui nei prossimi anni occorrerà dare una risposta.

Il mondo cambia e noi cambiamo Moondo!

Caro lettore,
abbiamo deciso di cambiare il nostro giornale e dare a Moondo un focus specifico, trasformandolo in un laboratorio di idee sul digitale.
Vogliamo creare un luogo in cui discutere dell’impatto che questa transizione ha nelle varie professioni, sulle opportunità che offre, ma anche sui rischi ed i pericoli che nasconde. Coinvolgendo tutte le generazioni, native digitali e non, stimolandone il confronto.

Mantenendo il fine ultimo della condivisione di conoscenza mettiamo a disposizione il giornale per chiunque voglia contribuire con il proprio pensiero, offrendo un megafono per diffonderlo in Rete. Ci farebbe davvero piacere coinvolgerti nel processo di trasformazione. Come puoi partecipare? Inviando i tuoi contributi alla redazione: info@moondo.info.

Ma c’è anche un’altra possibilità, che non ti creerà alcun “disturbo”.
Ognuno di noi utilizza i social network, scrivendo ed argomentando sulle tematiche del digitale. LinkedIn, ad esempio, è una miniera di argomenti e spunti di riflessione, non tutti però lo utilizzano! Semplicemente perché sono ancora tanti, troppi, i professionisti che non hanno un profilo o si collegano saltuariamente. Potresti allora autorizzare la redazione a selezionare ed utilizzare i tuoi post (basta una mail a info@moondo.info), rendendoli spunto di riflessione sotto forma di articoli del giornale (con la tua firma). Non ti costerà nulla, ed avrai un canale in più, accessibile a tutti, per far conoscere il tuo pensiero. Che ne pensi? Ti unisci a noi?

Creiamo insieme la più grande community di “pensatori digitali”.
Aiutiamo le eccellenze ad emergere.
Supportiamo le competenze digitali delle giovani generazioni, con l’esperienza e la professionalità acquisita sul campo.
Contribuiamo a dare una scossa a questo Paese!
Più saremo, maggiori possibilità avremo di creare e diffondere cultura digitale.

Moondo è un giornale online con 1,2 MLN di lettori e 1,8 MLN di pagine viste. Una piattaforma di approfondimento, confronto e condivisione di conoscenza. Abbiamo ospitato, in questi 5 anni, grandi firme del giornalismo italiano, top manager ed imprenditori del made in Italy, professionisti della medicina, dell’enogastronomia e della cultura. Ne siamo orgogliosi.
Eppure mancava qualcosa, un filo rosso che legasse tutti i ragionamenti, una stella polare cui guardare per affrontare la navigazione negli anni avvenire.
Oggi quel filo che tutto unisce l’abbiamo trovato e, davanti ad un mondo che cambia, sentiamo l’esigenza di cambiare il giornale.

Ti aspettiamo online su Moondo!

Domandona dell’anno: cos’è il marketing?

Scrivendo To Be Digital ho avuto modo di chiarire cosa intendo per “essere digitale”, approfondito il modo in cui questo strano “essere” comunica, indagato sui modi con cui vende. Per farlo è stato indispensabile chiarire cosa intendo per marketing.

Iniziamo con il dire che, a mio avviso, siamo dinanzi ad una delle parole più abusate al mondo. E’ ovunque, ti rincorre, ti circonda, l’afferri e pensi di averne capito il significato ma ti sfugge per riapparire sotto altre vesti. Ultimamente facendosi “accompagnare” da un aggettivo che la completa, per indicare tutto ed il suo contrario. Ma ha una grandissima qualità: FA FIGO!

Se ti chiedono “che lavoro fai?” e rispondi “Lavoro nel Marketing!” ‘Azz! questo è uno forte. Vuoi mettere l’effetto?! Solitamente l’altro fa la faccia compiaciuta, di chi dovrebbe aver capito. Ma capito cosa? Se provi a chiedere “Secondo te cosa faccio nello specifico?”. Silenzio… Il problema è quando la stessa domanda la fanno a te “Ok, marketing, ma nello specifico di cosa ti occupi?”. Se fai fatica a rispondere in due parole ed inizi dalle 4P di Kotler. Mmmm…

Ricorriamo al Dizionario, che è sempre la cosa migliore in questi casi. Il Cambridge Dictionary alla voce “to Market” scrive testualmente: “to make goods available to buyers in a planned way that encourages people to buy more of them, for example by advertising”. Ovvero, rendere disponibili prodotti ai clienti, secondo una pianificazione che ne incoraggi più di un acquisto, ad esempio attraverso la pubblicità.

Bene, anzi male, perché siamo esattamente all’inizio, le famose 4P: rendere disponibili (place) prodotti (product) ai clienti perché ne acquistino più di uno (price), ad esempio attraverso la pubblicità (promotion). Come nel gioco dell’oca siamo tornati alla casella di partenza.

Il fatto è che dire “lavoro nel campo del marketing” equivale a dire “lavoro nel campo del mare” Potresti essere un pescatore, un archeologo subacqueo, un biologo marino, un marinaio o un capitano, un bagnino o un ingegnere navale… Ma allora, se proprio vogliamo dare una definizione di “marketing”, che sia netta, decisa, onnicomprensiva.

Cos’è il marketing?

Marketing è tutto quello che fai per vendere.

Questa è la mia definizione, capisci che è vasta abbastanza per farci rientrare tutto. Esattamente come la precedente, ma almeno la comprende anche il pescivendolo sotto casa.

A proposito di pescivendoli. Mia moglie è napoletana, a 50 m dal portone di casa c’è una pescheria. Il titolare è figlio e nipote di pescivendoli, comincia da ragazzino a lavorare insieme al padre, poi apre la sua pescheria. Una vita ed un lavoro tranquillo. Fin quando, nel febbraio 2019 pubblica sulla sua pagina Facebook una video ricetta. E’ l’inizio di un successo inarrestabile. Oggi la pagina ha superato il milione di fan, con tassi di engagment da far accapponare la pelle a qualunque “esperto” di social media marketing. Lui è diventato una star dei social, sta aprendo ristoranti in giro per il mondo ed ha raccontato la sua incredibile storia in un libro.

Cosa ha fatto di tanto speciale per meritarsi tutto ciò? Marketing. Ha trovato una strada per vendere di più, e l’ha percorsa.

Perché non potresti farlo anche tu?

Come realizzare il tuo sito al meglio

Avere un sito web è sempre più importante, soprattutto se la necessità di avere una vetrina online non è espressione di un semplice hobby, ma il fulcro del proprio business. In questo contesto, infatti, un sito web rappresenta in qualche modo un biglietto da visita digitale, che permette ai clienti finali di conoscere i servizi offerti e la proposta professionale che si mette a disposizione del mercato.

È quindi fondamentale riuscire a curarlo nel migliore dei modi in tutti i suoi aspetti, dal lato tecnico alla parte grafica, fino alla visibilità e alla user experience. Ma quali sono le migliori strategie per realizzare un sito web?

Scelta dell’hosting, un ottimo punto di inizio

Una delle caratteristiche fondamentali per qualsiasi sito web è quella di avere alle spalle un ottimo servizio di hosting. Ne esistono davvero molti sul mercato, ma in Italia uno dei più apprezzati è senza dubbio Register.it, un’azienda che non solo offre ai propri clienti lo spazio web necessario per ospitare il loro progetto digitale, ma propone anche gli strumenti più utili per realizzare un sito web in totale autonomia.

Per chi non ha esperienza nel settore, inoltre, c’è anche possibile approfittare del team dedicato messo a disposizione da Register (ad link), per realizzare un sito web sulla base delle proprie indicazioni. Il risultato sarà quindi un prodotto di qualità e perfettamente funzionale, che risponde a tutti i più moderni standard di efficienza e fruibilità.

Esistono inoltre diversi pacchetti di hosting, alcuni consigliati per progetti di piccole dimensioni per i quali non sono necessarie grosse risorse anche in termini di hardware, altri più performanti e dotati di caratteristiche che puntano all’eccellenza, ovviamente con costi maggiori.

Scelta della migliore piattaforma

Al giorno d’oggi per realizzare siti web si utilizzano generalmente delle piattaforme avanzate e di semplice utilizzo, dotate di tutte le funzionalità di base necessarie per la creazione delle pagine e dei singoli elementi web. Alcune di queste sono gratuite, altre a pagamento: altre ancora sono caratterizzate da CMS open-source sui quali è possibile installare specifici plugin, particolarmente utili per introdurre nuove funzionalità al portale.

Uno dei CMS più conosciuti per la creazione di siti web è sicuramente WordPress, lo strumento per eccellenza utilizzato per realizzare sia piccoli siti web, che anche progetti particolarmente complessi e strutturati.

Come fare per scegliere gli strumenti più idonei al proprio progetto digitale? Individuando ad fin dall’inizio quelle che sono le proprie esigenze, così da scegliere la piattaforma più indicata per soddisfarle. Se, ad esempio, si desidera realizzare un e-commerce, sarà più opportuno optare per un CMS ottimizzato per la vendita online di prodotti: anche in questo caso esistono piattaforme gratuite come Prestashop, incluse spesso dai diversi hosting provider nei loro pacchetti.

Web agency o sviluppo in autonomia?

Può venire spontaneo chiedersi se sia meglio realizzare il proprio sito web in modo autonomo o affidarsi invece a una web agency specializzata. Sotto questo punto di vista, tutto dipende dalle proprie competenze personali e dalle proprie aspettative.

Chi ha delle competenze di web design può tranquillamente realizzare il proprio sito avvalendosi dei numerosi strumenti che il mercato mette a disposizione. Diversamente, chi non ha la minima conoscenza del settore web o chi ha aspettative di altissimo livello, preferirà delegare l’attività di sviluppo al team di una web agency.

Queste società integrano infatti tutte le figure necessarie per offrire ai loro clienti risultati professionali e di alta qualità, e spesso propongono anche servizi aggiuntivi essenziali per avere successo online, come attività di web marketing e SEO.

Grazie a queste considerazioni si può iniziare a pianificare il proprio progetto web nel migliore dei modi sin dalle sue fasi iniziali. È sempre importante fare una lista dettagliata di quelle che sono le proprie esigenze, ma soprattutto i propri obiettivi e le proprie risorse, così da organizzare con più facilità tutte le altre variabili.

Conosci il Content Marketing e cosa può fare per la tua azienda?

Chi scrive per il web viene definito in molti modi: blogger, storyteller, web writer, content editor, content curator… Se chi scrive lo fa in “ottica Seo”, creando contenuti di valore per il lettore, quindi con finalità di marketing, allora la sua attività viene definita “Content Marketing”. Cerchiamo di capirne di più.

Per Content Marketing intendiamo: “un approccio di marketing strategico che si basa sulla creazione e distribuzione di contenuti di valore, al fine di attirare un pubblico di riferimento sul proprio sito web o social network, creare una relazione e, infine, aumentare le vendite” (fonte Wikipedia: content marketing).

Tra i primi a parlare di Content Marketing Joe Pulizzi, poi fondatore del Content Marketing Institute, secondo cui “per contenuto si intende qualsiasi tipo di informazione in grado di educare, coinvolgere o divertire” (dove il contenuto può essere testuale, foto, video, infografiche, audio, ecc). Educare, coinvolgere, divertire, ovvero stimolare i sensi! Proviamo a tradurlo in suggerimenti:

  • Vista: aggiungi sempre foto, infografiche, video interessanti e coerenti con il testo.
  • Tatto: rendi il più possibile il post “interattivo”, coinvolgente, fai “toccare” con mano il prodotto/servizio che stai promuovendo.
  • Ascolto: se puoi utilizza i podcast. Segui sempre ed anima la discussione. Registra le indicazioni che provengono dai lettori e fanne la base per post futuri.

Mettiti nella testa del tuo lettore. Sarà contento di leggere il tuo articolo? Gli piacerà? Lo condividerà? Perché lo farà? Tu lo faresti? Per rispondere a domande come queste potresti provare ad utilizzare la regola delle 4C: contenuto, contesto, connettività, community.

  1. Contenuto: cerca di proporre sempre contenuti di valore, non pensare a “vendere”, al limite proponi “soluzioni”. Non essere mai autoreferenziale! Ma soprattutto lega contenuto e contesto. Per comprendere il contenuto correttamente è necessario definire bene il contesto. Il contenuto “porta” il messaggio, ma è il contesto a creare la “customer experience”!
  2. Contesto: costruisci una storia (storytelling). Una storia aggiunge colore, personalità e rilevanza a ciò che vogliamo fare/comunicare/vendere. Fai un piano editoriale e portalo avanti con i post che pubblichi.
  3. Connettività: siamo tutti connessi H24, le persone che interagiscono online si aspettano risposte in tempi rapidi. Se ad un post segue un commento con una richiesta non si può rispondere oltre le 12/18 ore!
  4. Community: ricorda che sei il referente di una community di persone, ognuna diversa dall’altra. Pertanto devi garantire a tutti la possibilità di esprimere opinioni, anche diverse dalle tue, dissentire, criticare.

Per approfondire le conoscenze e gli strumenti del content marketing la GoDaddy School of Digital organizza una lezione mercoledì 5 maggio alle ore 17.00 dal titolo: “Content marketing: come costruire un percorso di comunicazione”, un appuntamento da non perdere in cui Davide Bertozzi, copywriter, direttore creativo e formatore, ci parlerà proprio di Content Marketing spiegandoci perché è importante per la propria attività e perché bisognerebbe sfruttarlo a proprio vantaggio, approfondendo in particolar modo tre argomenti:

  • Scrittura creativa;
  • Come trovare la propria unicità;
  • Come costruire un percorso di comunicazione.

Presenta Cosmano Lombardo, partecipa l’influencer Federica Di Nardo.

GoDaddy School of Digital

Mondo reale, mondo digitale e Moondo: il valore dei dati

Secondo la ricerca Hootsuite – We are social 2021 trascorriamo online 6 ore e 54 minuti ogni giorno! Un dato incredibile, che ci fa capire quanto ormai la distinzione tra mondo reale e mondo digitale sia sempre più sfumata. Se consideriamo che 8 ore lavoriamo, 8 ore dormiamo, restano 8 ore al giorno, di queste 6,54 ore siamo online! Ovviamente sto generalizzando ed estremizzando, c’è chi sarà online 2 ore e chi, come me, lavora online e quindi alza la media. Ma ciò rafforza se vogliamo il concetto: una parte sempre crescente della nostra vita la passiamo nel mondo digitale. Per questo motivo abbiamo creato MOONDO, con 2 “OO”, per farne il luogo d’incontro tra i 2 mondi.

we are social

Trascorrendo così tanto tempo online il nostro modo di “essere digitale” (di vivere “IN” e “LA” rete), fatto di comportamenti, bisogni, sogni e aspettative, così come di paure, ansie e timori, definisce un “IO” digitale, sempre più tracciato e definito dagli algoritmi e dalle intelligenze artificiali, che la Rete scrutano e costruiscono. E come in ogni nuovo mondo che si rispetti esiste una nuova risorsa, che tutti vogliono possedere o quantomeno utilizzare. Una risorsa che, così come il petrolio, alimenta il sistema: i dati.

Scrive Enrico Panai nel libro “To Be Digital“: “Se prima eravamo noi (inteso in senso largo del mondo naturale) a creare i dati, poi sono state le macchine digitali a creare dati su di noi. E quando queste hanno cominciato a comunicare tra di loro, con strumenti connessi in permanenza (che chiamiamo “Internet of Things”) la quantità di dati è letteralmente esplosa […]. Cosa facciamo per dare un senso a tutti questi dati, per “semantizzarli”, per trasformarli in vera informazione? Il loro volume oltrepassa le nostre capacità cognitive. Gli uomini non possono comprendere o interpretare tali quantità. I dati sono troppi. Allora li analizziamo… anzi li facciamo analizzare da alcuni strumenti statistici un po’ più complessi (ma non difficili), come l’intelligenza artificiale (AI). L’AI trova combinazioni alle quali noi non avremmo mai pensato, però a volte queste combinazioni sono dei veri e propri nonsense per gli uomini. Oggi è l’era dell’incrocio corretto dei dati, o del design concettuale che ci permetta di ridisegnare il nostro universo. Lo strumento principe del design concettuale è la filosofia; ma una filosofia giusta per la nostra epoca, che si faccia domande alle quali si possa rispondere”.

Etica Digitale
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Il valore dei dati

In pochi altri momenti della storia le persone sono diventate prodotti: abbiamo avuto la tratta degli schiavi, la prostituzione, ed oggi il mercato dei dati. “Penso che il colonialismo sia un esempio storico efficace per spiegare cosa succede quando lungo il cammino dell’umanità scatta una corsa ad appropriarsi delle risorse e delle persone in una terra di frontiera […]. I colonizzatori venivano spesso considerati figure divine: avevano la polvere da sparo, le corazze, le navi, erano portatori di una tecnologia superiore, ma non erano altro che conquistatori. Il parallelo con quanto sta avvenendo nel mondo del digitale è evidente: abbiamo cominciato a considerare come semidei coloro che hanno rivoluzionato questa industria, ma in realtà sono solo persone che stanno entrando in questa nuova terra, esattamente come fecero i conquistadores con la popolazione indigena” (Christopher Wylie, ex direttore della ricerca di Cambridge Analytica).

Solo che questa volta gli indigeni e la risorsa da sfruttare siamo noi.

Scriverò ancora sui dati e sull’importanza di conoscerne il “valore” nel prossimo articolo della newsletter, perchè solo così potremmo capire meglio cosa “bolle in pentola”. Alla prossima!