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SEM o SEO? Questione di tempo!

A differenza della SEO, che come abbiamo visto mira a posizionare un sito (od un contenuto del sito) nei primi posti dei risultati di un motore di ricerca (SERP o pagina dei risultati), con SEM (Search Engine Marketing) indichiamo l’attività che mira a fare promozione e pubblicità a pagamento tramite i motori di ricerca.

Sono tutti quei risultati che vedi per primi su Google contrassegnati come “Annuncio” e che sono posizionati prima dei risultati organici. O i banner pubblicitari ospitati su siti terzi. Si tratta dunque di azioni pubblicitarie che mirano a mettere in evidenza la tua pubblicità all’interno del motore di ricerca o sugli spazi pubblicitari di siti terzi ma gestiti dal motore.

La SEM non è la soluzione alternativa alla SEO, le due attività infatti possono avere lo stesso scopo, e possono essere portate avanti contestualmente. Cosa le differenzia allora? La tempistica!

SEM o SEO? E’ una questione di tempo!

Le azioni SEO rientrano nelle attività di tipo strategico (per approfondire puoi leggere i due articoli “Cosa significa fare SEO e come lavora un motore di ricerca?” e “SEO: perchè è così importante la semantica e l’intento di ricerca?” dedicati alla strategia), richiedono tempo per vedere i primi risultati (nell’ordine dell’anno), molto lavoro ed impegno. Ma una volta acquisita una data indicizzazione e relativo posizionamento, questo porterà risultati organici (gratuiti) per un medio lungo periodo (ovviamente con un lavoro di monitoraggio ed ottimizzazione continuo… ma questo è un altro discorso). 

Le azioni SEM rientrano invece in quelle che definiamo operazioni tattiche. Si tratta di attività che danno risultati nel breve periodo, ma una volta consumato il budget si esauriscono. E’ un po’ come andare in barca a vela (SEO) o con la barca a motore (SEM). Per la barca a vela ci vuole più tempo per imparare, è più lenta la navigazione, ma una volta partito puoi andare presocchè ovunque, sfruttando solo la forza del vento. Nel secondo caso impari prima, arrivi più velocemente, ma ogni volta ti devi fermare a fare carburante, altrimenti stai fermo in porto.

Barca-a-vela

Google Advertising

Le azioni SEM all’interno del motore di ricerca Google si gestiscono attraverso “Google Ads”. Per poter accedere alla piattaforma di Google Ads occorre avere un account Google. L’uso della piattaforma è assolutamente gratuito, dato che il guadagno per il motore di ricerca sta nel budget che investirai per visualizzare le tue pubblicità. 

Le campagne in Google Ads possono essere di 4 diverse tipologie:

  1. Campagne nella rete di ricerca: sono i risultati testuali degli “Annunci sponsorizzati”;
  2. Campagne nella rete display: principalmente i banner pubblicitari che Google posiziona sui siti terzi, di cui gestisce gli spazi pubblicitari;
  3. Campagne video: le campagne video spot che si aprono prima (o durante) di un video su YouTube;
  4. Campagne shopping: mirate esclusivamente alla vendita di prodotti e servizi.
SEM Search Engine Marketing

Come pianificare una campagna Google Ads

Prima di pianificare un qualsiasi tipo di campagna, sia essa rete di ricerca, dispaly, video o shopping, devi avere bene in mente la strategia ed avere definito con precisione la tua buyer personas, con tutta la “nuvola armonica” di categorie, sottocategorie, keywords, di cui ho già parlato a proposito della SEO.

 Gli obiettivi di una campagna Google Ads si possono racchiudere in 4 tipologie:

  • Vendita
  • Acquisizione lead
  • Traffico verso il sito
  • Branding

 A secondo dell’obiettivo selezionato cambierà il pubblico target della campagna. 

Google Ads mette a disposizione una serie di strumenti utili per impostare e pianificare le campagne. Fondamentale lo studio e la selezione delle keywords, con particolare attenzione a definire eventuali corrispondenze.

Se ad esempio tratti il tema della pesca (canne, mulinelli accessori) devi stare molto attento a che il motore di ricerca non capisca che tu sia un produttore di pesche (il frutto). Lo strumento Google Ads ti aiuta ad escludere alcune corrispondenze. Quindi ok per “pesca canna”, “pesca lenza” mentre andranno escluse le corrispondenze “pesca albero” o “pesca frutto”. Escludere una corrispondenza incongrua è fondamentale per due motivi, la prima è giustificata dal fatto che l’utente non troverebbe ciò che sta cercando (user experience), la seconda è che le campagne SEM si pagano per click, quindi otterresti e pagheresti un click assolutamente inutile. 

Il costo per click si determina in base ad un’asta (gestita dal motore di ricerca) a cui partecipano contemporaneamente tutti gli inserzionisti che hanno inserito quelle keywords con relativo budget dedicato.

Dall’asta si determina il prezzo che l’inserzionista paga per l’annuncio. Ma il prezzo (e la posizione in cui l’annuncio sarà visualizzato) non è determinato solo dal “chi offre di più”, bensì anche dalla qualità della campagna impostata. Per cui anche il link di caduta (ovvero dove atterrerà l’utente una volta cliccato) ha un suo peso in questa valutazione.

L’ottica di Google è chiara: offrire all’utente il miglior risultato di ricerca. E vale anche per gli annunci a pagamento! 

Il budget a disposizione è ovviamente l’altra variabile che permette di essere o meno visibili. Un errore da evitare è che il budget si esaurisca prima della fine della giornata, motivo per cui una campagna, una volta impostata e lanciata, va seguita ed ottimizzata in maniera continua e costante.  

Campagne di retargeting e remarketing

 Le campagne Google sono molto interessanti anche perché consentono di svolgere quella che si definisce attività di retargeting, ovvero la riproposizione di uno specifico prodotto o servizio sulla base delle ricerche che un utente ha fatto in Rete.

Dai che la conosci questa metodologia! Vai su Google, cerchi “scarpe running”, clicchi su un sito specifico, poi continui la navigazione, e per i giorni successivi sei tempestato da banner che ti “ricordano” che avevi cercato scarpe da running. Ti interessano ancora? Fino alla sfinimento 😉.

Apro e chiudo parentesi, spesso il termine retargeting viene sostituito o usato indifferentemente con remarketing. In realtà si tratta di due attività diverse e distinte, una sfumatura che però è giusto conoscere:

  • il retargeting utilizza i cookies per mostrare annunci ai tuoi potenziali clienti (si tratta perciò di clienti indistinti di cui non conosciamo nulla, se non il cookie);
  • mentre il remarketing è l’attività svolta verso un lead (un cliente di cui conosciamo almeno la mail, il numero di cellulare, insomma un dato che lo identifichi in modo univoco).

Per capirci se qualche azienda ti scrive “Gentile cliente, ecco l’offerta per te…” sta facendo retargeting, se invece ti chiama per nome, beh allora è remarketing.

Si lo so… sto generalizzando, lo faccio spesso, scusate puristi, ma prima di scrivere provo a vedere se mio padre di 85 anni capisce. In questo modo ha capito anche lui!

Social Media Marketing: brainstorming e definizione della checklist

In questo articolo proverò a fornirti qualche indicazione utile per approcciare ad una strategia di #socialmediamarketing. Prima di iniziare vorrei però cercare di inquadrare meglio il Mondo Social. Ti potrebbe essere utile per avere argomenti con cui rispondere a chi ti dirà: “Guarda, te ringrazio, ma nun me serve ‘sta robba, io DEVO pensà a VENNE…”.

burino romano

Che tradotto, per chi vive fuori dal Grande Raccordo Anulare di Roma, sarebbe: “La ringrazio dottore, ma non credo che quanto sta proponendo possa essermi utile. Vede, in questo particolare momento storico, sono assolutamente concentrato nell’aumentare il fatturato dell’azienda”.

Ecco appunto…

Stando a quanto ci dice Matteo Starri, Research & Insight Director di We Are Social nel 2021 rispetto al 2020 “abbiamo registrato mezzo miliardo di nuovi utenti delle piattaforme social, 1,3 miliardi di anni spesi online, trilioni spesi su siti di #ecommerce“.

Come sempre in questi casi i numeri non mentono mai quindi, se qualcuno avesse ancora dubbi, potete provare a mostrargli qualche tabella della ricerca (le trovate qui: https://bit.ly/tobedigital-digital2021). Io per motivi di tempo vi mostro solo questa.

tempo speso quotidianamente sui social media

Il tempo medio giornaliero (mondo, colonnina bianca) che passiamo sui social media è pari a 02:25 ore (mentre il tempo medio in cui siamo online è 06:54 ore), impressionante vero? Che dite, avremo convinto l’imprenditore dubbioso?

Brainstorming e definizione della checklist

Ok, ora che ne sai un po’ di più sulle potenzialità dei social network, proviamo a definire gli step con cui impostare una campagna promo-pubblicitaria su queste piattaforme.

Prima di definire strumenti, media e tipologia di messaggi della tua social media advertising, ti consiglio di organizzare una sessione di #brainstorming con tutti i collaboratori coinvolti.

La seguente checklist può aiutarti ad orientare la riunione:

1.     Qual è il #posizionamento del brand/prodotto?

2.     Quali sono i social network più adatti al brand/prodotto?

3.     Qual è lo stile di #comunicazione ed il tono di voce dominante nei social selezionati?

4.     Qual è lo stile di comunicazione ed il tono di voce scelto?

5.     Qual è il valore aggiunto ed il vantaggio competitivo del prodotto?

6.     Esistono offerte concorrenti migliori?

7.     Quali contenuti sono più adatti per supportare una campagna di social adv (visual, video, testi del sito, brochure, articoli di blog, white paper, infografica, etc)?

8.     Qual è la mia buyer personas?

9.     Qual è il percorso d’acquisto svolto dalla buyer personas (funnel)?

10. E’ un percorso lungo o breve?

11. Come prevedo di incentivarlo per farlo passare da una fase all’altra del #funnel?

12. Esiste una business/brand community che può supportare il mio messaggio ed amplificare la mia campagna paid?

13. Su quale grado di awareness e notorietà presso il pubblico posso contare?

14. Esiste una funzione o degli strumenti di customer care adatta a gestire prospect e lead in entrata?

 Mettendo su assi cartesiani le persone da contattare ed i costi di contatto potrai visualizzare in modo chiaro le diverse azioni di marketing digitale da intraprendere, con i relativi obiettivi (Fonte: Manuale Ninja del Web Marketing, AAVV, Flacowsky, 2020).

Manuale Ninja del Web Marketing

Nel prossimo articolo approfondirò meglio gli obiettivi di social media advertising, in funzione delle 5A del Marketing (Awareness, Appeal, Ask, Act, Advocate).

Intelligenza artificiale? Per niente intelligente…

Durante le vacanze estive (ahimè terminate) ho deciso di approfondire la conoscenza di algoritmi ed intelligenza artificiale (AI). Non che fossi partito proprio con questa idea ma, vuoi l’età che avanza (è passato il momento delle nottate in discoteca), il tempo a disposizione, il piacere di leggere con il sottofondo del mare e, soprattutto, la curiosità nella scelta del primo libro acquistato in libreria (L’algoritmo e l’oracolo di A. Vespignani), hanno determinato il tutto.

Ecco, da qui vorrei partire: la curiosità.

La curiosità ci salverà dall’algoritmo

La mia curiosità ha apportato nell’algoritmo (processo di acquisto) una variabile non determinata, casuale potremmo dire, finendo per scombinare tutto, arrivando ad un’azione non prevista. Mi spiego meglio.

Professionalmente mi occupo di comunicazione e marketing (indegnamente di editoria e giornalismo, ma questo è un altro discorso…). I libri che acquisto solitamente online sono tutti incentrati su questi argomenti, così come i video che guardo su YouTube, il mio feed di LinkedIn, i podcast di Spotify, persino Netflix inizia a propormi serie e film centrati su questi miei interessi professionali. Ed io ne sono anche contento, mi semplificano la vita, suggerendomi cose per me utili.

Gli algoritmi mi conoscono, imparano e migliorano ogni giorno.

Ma…

Ma…

Ma…

E sì, c’è un “Ma”, grosso come una casa.

Perchè gli algoritmi mi “incasellano” in un modello ideale, sono io, ma un IO “perfetto”. Ed io invece sono pieno di difetti. Ad esempio non credo se non vedo, non parlo se non conosco, ma soprattutto mi annoia la routine, per cui sono infinitamente curioso. E’ questo il motivo per cui volevo capire come, partendo dai dati, si arriva alle informazioni e, attraverso algoritmi sempre più complessi, alle predizioni.

Così, dopo aver letto il libro di Vespignani, mi sono incuriosito ancor di più, sono tornato in libreria ed ho acquistato “Le macchine di Dio” (di Helga Nowotny).

Ho capito che gli algoritmi “sono verbi” che “fanno cose: archivia quello, recupera questo, confronta quest’altro…”. Il problema è che nel fargli fare cose sempre più complesse abbiamo perso la capacità di comprendere del tutto cosa fanno. In sostanza non sempre siamo in grado di “forzare la scatola nera (black box) del machine learning, che spesso impedisce persino a chi l’ha progettata di capire come un algoritmo è arrivato a prendere la sua decisione” (Nowotny).

Allora, mi sono detto, qui entra in gioco l’etica e la morale, per far si che, nel costruire un mondo digitale regolato sempre più da algoritmi, si vada nella direzione voluta e non in quella “imposta” e “richiesta” dalle macchine per migliorare l’efficienza del sistema. Sono corso di nuovo in libreria ed ho acquistato “Etica dell’intelligenza artificiale” di Luciano Floridi ed ho scoperto che:

  1. l’intelligenza artificiale non è intelligente. Come? E cosa è allora? Un surplus di capacità di azione di cui disponiamo (e disporremo sempre più in futuro) per portare a termine compiti, eseguendo degli algoritmi. Non c’è alcun legame con l’intelligenza umana (cognitiva), al massimo possiamo parlare di intelligenza riproduttiva (di un’azione). Ma, secondo Floridi, se togliamo proprio di mezzo il termine “intelligenza” non sarebbe male;
  2. l’intelligenza artificiale non è intelligente, ma svolge meglio di noi alcuni compiti, soprattutto se gli si costruisce intorno un mondo ad hoc (digitale ed infosfera). Possiamo stare certi che questo avverrà sempre più rapidamente;
  3. il passaggio dalla biosfera alla infosfera non avviene per caso, siamo noi che lo determiniamo (Floridi parla di design di questo nuovo mondo). In questa fase di progettazione e costruzione è fondamentale avere le idee chiare perchè poi difficilmente si potrà tornare indietro e correggere… la filosofia e l’etica dovrebbero essere le stelle polari cui affidarsi.
Algoritmi ed Intelligenza Artificiale
Algoritmi ed Intelligenza Artificiale, letture consigliate.

Bene, ora ne so decisamente qualcosa in più! So, ad esempio, che se fossi rimasto a casa probabilmente avrei letto (su suggerimento di un algoritmo) un libro di marketing o di comunicazione, ed invece… benedetta curiosità!

Suggerimento, siate curiosi, non lasciatevi “incasellare” da un algoritmo, confondetegli le idee. “Il mondo è bello perchè è vario” mi diceva sempre mia nonna, cliccate su cose che non conoscete, interagite anche con post che non vi piacciono, tenete la mente aperta e vigile, vedrete che nessun algoritmo riuscirà a catalogarvi.

Proxima Centauri o Proxima Chorizo? La “stupidità” dell’Intelligenza Artificiale

E’ il 31 luglio, le ferie stanno per terminare, quando il fisico francese Étienne Klein twitta sul suo profilo una “Foto di Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole, situata a 4,2 anni luce da noi. È stata presa dal JWST (telescopio spaziale James Webb). Questo livello di dettaglio… Un nuovo mondo si svela giorno dopo giorno”.

tweet Klein

Niente da dire, la foto è affascinante, così come la fonte autorevole (Étienne Klein fisico e filoso della scienza è anche direttore del Cea – Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives).

In molti, studiosi e gente comune iniziano a diffondere la foto. A questo punto se ne accorge anche l’algoritmo di Google (che fa sempre più uso di intelligenza artificiale). Un algoritmo che stando a quanto riferisce chi lo ha pensato, si basa sul famoso acronimo “EAT” (Esperienza, Autorevolezza ed Affidabilità) per indicizzare e posizionare i contenuti. Il post (ed il buzz che ha iniziato a produrre) soddisfa tutti i requisiti: esperienza, autorevolezza, affidabilità. Ci siamo, quella è la foto di Proxima Centauri! Fotografata dal telescopio spaziale James Webb ed ormai “primo risultato di Google usando come chiave di ricerca Proxima Centauri (fonte “L’esperimento sociale dello scienziato che ha spacciato una fetta di salame per la stella Proxima Centauri“, di Gianluca Dotti, Wired).

E invece no.

In realtà si tratta di una molto più comune, terrestre e banale fettina di “Chorizo”, un salame piccante iberico.

E’ uno scherzo: “Vengo a presentare le mie scuse a coloro che la mia bufala, che non aveva nulla di originale al riguardo, potrebbe aver scioccato. Voleva semplicemente esortare alla cautela con immagini che sembrano eloquenti di per sé. Scherzo di uno scienziato”, così twittava il 3 agosto il nostro Étienne.

Saremmo capaci di trarre un insegnamento da quanto accaduto, per evitare pericoli ben più gravi?

Ragioniamo per assurdo e mettiamo caso che Messi (o Ronaldo) postino per gioco un video fake in cui riescono a segnare un gol di quelli che come nel cartone animato di Holly e Benji. Che so, una rovesciata con doppio salto mortale all’indietro. Esperienza, Autorevolezza, Affidabilità, ci sono tutte. Il gol è fattibile, si può fare è su Google (?!). Migliaia di ragazzini a prendere un pallone provando ad imitarlo, con qualche problema per la cervicale..

Altro esempio, con diversa gravità e rischio. Rimaniamo in Francia (visto che sono loro ad aver iniziato) e, sempre per assurdo, poniamo venga hackerato il profilo di Jean-Bernard Lévy (Presidente del C.d.A. e Amministratore Delegato di Électricité de France – EDF) per poi postare un allarme (fake) fuga radioattiva da una delle centrali nucleari francesi. Di nuovo, Esperienza, Autorevolezza, Affidabilità, di nuovo Google (???!!!).

Non c’è molto da aggiungere, ci sarebbe invece molto da riflettere. Ed agire…

Content marketing? Quando, come e perchè

Negli ultimi articoli della newsletter ho passato in rassegna alcuni dei principali strumenti e tecniche di #marketingstrategico, è ora di passare alla fase del #marketingoperativo. In pratica la strategia per imporci sul mercato l’abbiamo delineata, ora dobbiamo combattere le singole battaglie (tattica). L’orizzonte cambia, passiamo dal medio-lungo al breve periodo ed i risultati devono essere misurabili in maniera incontrovertibile.

L’insegnamento che devi trarre da questo articolo è questo: in ogni lavoro che ti verrà assegnato (tanto che tu sia dipendente o consulente esterno), per quante KPI (Key Performance Indicator) tu possa concordare e poi monitorare con l’azienda alla fine verrai valutato in base ad una sola, unica KPI, regina incontrastata: LA VENDITA.

Leggenda narra che negli uffici di Facebook a New York ci sia un cartello con la scritta: “Likes don’t pay the bills. Sales do”, che detto da loro la dice lunga su tutto il resto che ti sto per raccontare.

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Secondo Wikipedia il termine #Inboundmarketing: “indica una metodologia di business che attira i clienti creando contenuti di valore ed esperienze su misura per loro. Mentre il marketing cosiddetto outbound (in uscita) interrompe il pubblico promuovendo i contenuti (si pensi agli spot televisivi), la metodologia inbound si focalizza sul creare connessioni e risolvere i dubbi e i problemi che il pubblico già ha”.

L’idea alla base dell’inbound marketing è che l’audience va conquistata, fornendo contenuti interessanti ed utili per il target di riferimento. Tra gli strumenti più comunemente utilizzati per fare Inbound Marketing:

  • Content Marketing (creazione di una strategia di contenuto);
  • SEM (Search Engine Marketing);
  • Social Media Advertising;
  • DEM (Direct Mail Marketing).

Content marketing? Quando, come e perchè

Sei su Google, inserisci la parola “content”, ora prova ad aggiungere una qualunque lettera dell’alfabeto: “A” – content analyst; “B” – content based; “C” – content curator, “D” – content design; “E” – content editor… Queste sono solo alcune delle definizioni più famose, che il software ti restituisce, suggerendoti la compilazione della stringa di ricerca, preceduta dalla parola content.

Qualcuno anni fa scrisse “Customer is the King!”, poi seguì un altro che sostenne “Content is the King!”. Io, per non far torto a nessuno e soprattutto per parità di genere, aderisco al partito di quelli che sostengono che “Sale is the Queen!” Ciò non significa che produrre contenuti sia inutile. Tutt’altro. E’ fondamentale per raggiungere lo scopo: vendere! Vediamo perché.

Secondo un report del Content Marketing Institute recensioni e contenuti di qualità pubblicati su siti di terze parti risultano essere determinanti nelle decisioni d’acquisto per il 61% dei potenziali clienti, moderatamente importanti per il 29%. In pratica il 90% di chi acquista online viene influenzato da recensioni o articoli che legge in rete.

Se ci mettiamo che “Google premia la qualità dei contenuti”, altra affermazione che la fa da padrona (è praticamente su tutti i manuali di comunicazione e marketing), abbiamo trovato il nuovo mantra del digital marketing? Io ho dei dubbi. Più che un dubbio, è proprio una frase che fatico a comprendere. E’ come “lavoro nel marketing”, ma che significa? Che fai di preciso? In questo caso chi, cosa, come, ma soprattutto quale strumento, stabilisce se un contenuto è “di qualità”?

Quello che può essere “di qualità” per te, può non esserlo per me, e viceversa. Nella lettura di un contenuto entra in gioco lo stile dell’autore, la sua capacità di coinvolgere il lettore, di incuriosirlo, di stimolarne il ragionamento, o di fargli vivere un piacevole momento di relax. Siamo nel campo del soggettivo, che più soggettivo non si può! Detto ciò, ridurre tutto il ragionamento alla ricerca di fantomatici contenuti di qualità, non aiuta a svelare il mistero su quali potrebbero essere i contenuti vincenti dei prossimi anni.

Contenuti personalizzati e costruiti “su misura” per il lettore

Il digitale sta rivoluzionando le nostre vite, perché dovrebbe cambiare tutto e non cambiare il modo con cui le aziende comunicano? Qualcuno può pensare che i contenuti rimarranno quelli che siamo abituati a leggere? Un unico contenuto per tutti? Ma per carità… No, ovviamente no! Ed allora cosa dobbiamo aspettarci per i contenuti del futuro?

L’aumento della soggettività, della personalizzazione, a scapito dei contenuti generalisti e validi per tutti (il contenuto sarà “di qualità” se costruito su misura per me, nel momento in cui lo leggo). D’altronde non succede già così con i banner pubblicitari? Non ti vengono mostrati prodotti o servizi che hai già cercato e che ti potrebbero interessare? Perché i contenuti dovrebbero restare fuori da questo modo di “essere digitali”?

Non sono l’unico ad avere questa “visione”. Riccardo Scandellari scrive: “Oggi alle persone non bastano i soli contenuti, vogliono farne parte con integrazioni, richieste di approfondimenti e critiche. Vogliono pensare che siano stati creati su misura per loro e di aver trovato una fonte autorevole ed esclusiva. Vogliono un rapporto diretto con l’autore, uno scambio paritario con cui poter far “crescere” i contenuti. […] I contenuti del futuro avranno una parte comune a tutti, che servirà da richiamo, ed una successiva personalizzazione, a richiesta” (Scandellari – Rock’n Blog).Contenuti personalizzati su richiesta. Questa è anche la mia idea per il futuro del content marketing, ma anche dell’editoria, almeno di quella online. Un contenuto che possa essere d’introduzione all’argomento, interessante per un lettore generico, capace di generare traffico e condivisione, ma che preveda finali diversi, realizzati su misura per ogni specifica esigenza del lettore. Un esempio: Scrivo un articolo dal titolo: “Cuba, alla scoperta della perla dei Caraibi”. Dopo la parte generalista, con informazioni utili a tutte le tipologie di viaggiatori che vogliono recarsi a Cuba, segue una parte personalizzata gestita da un software, che ci riconosce, sa quali sono i nostri bisogni, e ci offre l’approfondimento con il capitolo dedicato:

  • Viaggi con bambini al seguito? Ecco cosa devi sapere;
  • Sei un patito di archeotrekking? Alla scoperta di storia, architettura, tradizione ed artigianato locale;
  • Ami il relax e la vita notturna? Un viaggio tra sigari e mojito;
  • Non rinunceresti mai ad una giornata di mare? Tour delle spiagge più belle dell’isola;
  • Amante delle immersioni? Ecco i posti migliori per immergersi a Cuba.
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Il contenuto che offriremo al nostro lettore, sarà tagliato e cucito su misura per lui, in modo sartoriale. Eccola finalmente la qualità! Con la stessa differenza che passa tra un abito sartoriale ed uno confezionato in serie. Che sia davvero questa la strada verso il Santo Graal dei contenuti di qualità? Io credo di si.

Perchè devi sapere cos’è e come funziona il Programmatic Advertising?

Abbiamo visto come esistano tantissime specializzazioni all’interno di un grosso contenitore che nel nostro caso è il Digital Marketing: specializzazioni tecniche, strategiche, operative, filosofiche…

Per me, ormai dovresti averlo capito, le definizioni contano poco, mi piace la sostanza. Ed in questo articolo parliamo della “ciccia”, quella vera: Programmatic, ovvero il motore che muove l’advertising online!  

Tranquillo non ti basterà leggere un libro dedicato per capirne di più! Ci vorrà tempo, applicazione, studio, impegno, costanza, tentativi ed errori, come per ogni altra professione del mondo reale. Hai mai visto uno diventare barbiere in una settimana? O un medico in un anno? Ecco è uguale.

Digital marketing

Un bel respiro e ripartiamo.

Programmatic Advertising

La specializzazione sulla parte tecnica prende vari nomi, su tutti vanno evidenziate due grandi sottocategorie rappresentate dal MarTech e dall’AdTech, ovvero tutta quella tecnologia che consente ai brand di raccogliere, gestire, analizzare i dati ed automatizzare le attività a supporto del digital marketing.

Con MarTech (Marketing Technology) i dati su cui si lavora sono “di prima parte” (first party data, derivanti principalmente dal CRM aziendale, ecommerce, ecc.).

Con AdTech (Advertising Technology) si indica il lavoro sui dati forniti dall’editore (second-party data) o da una terza parte (third-party data, ad es. dati socio-demografici) per cercare di fare un matching con i propri segmenti di audience (first-party data).

La ragione della differenza è semplice: mentre il marketing si concentra sul cliente, l’advertising si concentra sulla pianificazione.

Qualcuno parla di Madtech (Marketing advertising technology) per descrivere una tendenza nello sviluppo delle piattaforme tecnologiche verso l’ibridazione di AdTech e MarTech, ponendo l’accento sui dati, le connessioni e le convergenze di una serie di tecnologie e fonti, tra cui i big data, l’internet of things (IoT) e il machine learning.

Al di là delle definizioni, a me interessa il concetto alla base, si tratta di piattaforme tecniche che servono a far funzionare il mondo del digital marketing.

Perché possono esistere le migliori strategie del mondo, ma se poi non c’è il motore per mettere in moto la macchina, non c’è strategia che tenga.

Programmatic Ecosystem

Il programmatic advertising è la disciplina che usa tutto ciò che l’AdTech ed il MarTech mettono a disposizione del mercato per offrire pubblicità sempre più in linea con quello che l’utente sta cercando.

Si tratta di un mondo dietro le quinte, fatto di codici e piattaforme, non così ovvio nè conosciuto, nemmeno da chi si occupa di digital marketing! Se vuoi saperne di più clicca qui e scarica il documento di IAB Italia.

Uomo, Algoritmo e Programmatic

Il programmatic è un po’ l’intersezione tra il mondo tecnico ed il mondo strategico. La piattaforma serve a deliverare pubblicità super targettizzata ed ha un mondo di altre tecnologie collegate, ma dall’altra parte ha bisogno di una intelligenza umana che dica alla piattaforma cosa fare. Poi il modo migliore per farlo lo troverà l’algoritmo, quindi la piattaforma, ma la parte strategica (e umana) diventa fondamentale anche nell’utilizzo del programmatic.

Abbiamo dunque software che servono a fare in modo che ci sia pubblicità sui siti. Il sito dialoga con questo software per far sì che sulla sua pagina web cambi la pubblicità ogni volta che un utente entra sul sito. Immagina un sito come Repubblica.it con migliaia di utenti, tutti collegati nello stesso momento. Se non esistesse un software che gestisse la pubblicità sarebbe impossibile avere dei banner diversi per ogni accesso e tutti vedrebbero la stessa pubblicità. Il software invece lavora ed interagisce con chi compra la pubblicità (l’Advertiser) ed eroga campagne diverse per ogni cliente, per ogni sito.

Le Data Management Platform (DMP) sono invece piattaforme che servono ad analizzare l’utente, a guardare che siti frequenta, per poter poi, su base statistica, andare a capire se quell’utente è un uomo o una donna, quali sono i suoi interessi, e quindi proporgli pubblicità sempre più pertinente.

Converrai con me che è inutile far vedere ad una donna la pubblicità di una schiuma da barba, così come è inutile probabilmente far vedere ad un ragazzo l’ultimo mascara di Dior. Ha più senso avere un web dove navigando le pubblicità sono più vicine alla persona che sta guardando la pagina web. Questo si riesce a fare grazie al lavoro delle DMP.

Poi abbiamo tutta la parte Tech che si concentra sul marketing e non sull’advertising, come le Client Management Platform (CMP), che servono ai siti ecommerce molto grandi per poter ad esempio ricontattare l’utente che ha messo dei prodotti dentro al carrello, ma poi non ha finalizzato l’acquisto.

Hai capito poco? Non ti preoccupare, anche io ne so poco… si tratta di un settore in continua evoluzione, con il cambiamento sempre dietro l’angolo. A me basterebbe che a grandi linee tu possa aver compreso come “gira” la pubblicità online!

Post scriptum

Dal 2023 Google toglierà la possibilità di erogare i cookies dal browser Chrome. I cookies sono alla base di tutta la pubblicità on-line, tutto si basa sul tracciamento dei cookies. Questa rivoluzione alle porte sta portando inevitabilmente tutta la tecnologia a doversi reinventare, riprogettando l’intero sistema di erogazione ed analisi, per continuare ad offrire pubblicità targettizzata. Come sarà erogata la pubblicità digitale del futuro è tutto da scoprire!

SEO: perchè è così importante la semantica e l’intento di ricerca?

La ricerca semantica è un processo di recupero informazioni utilizzato dai motori di ricerca moderni per fornire risultati di ricerca più rilevanti. Tale processo si focalizza nel significato delle query (interrogazioni) di ricerca, in alternativa al tradizionale confronto di parole chiave.

“La semantica, dal greco σημαντικός (comprensione) è un ramo della linguistica che si occupa dei fenomeni del linguaggio dal punto di vista del significato. Applicata alla ricerca si riferisce essenzialmente allo studio delle parole e alla loro logica. In sostanza Google utilizza un algoritmo capace di comprendere l’intento di ricerca del singolo utente, restituendo informazioni basate non solo sull’analisi delle parole chiave come significato esatto, ma sulla comprensione degli elementi di contesto che appaiono nell’ambito della ricerca” (dal Blog di Semrush).

I motori di ricerca viaggiano velocemente verso un linguaggio naturale. Pensaci un attimo, fino a qualche anno fa se cercavi qualcosa su Google scrivevi come un robot, senza articoli, senza punteggiatura, frasi che avevano poco senso: “Hotel Venezia Canal Grande”. Con i nuovi algoritmi di AI il motore di ricerca potenzia la sua capacità di analisi e l’utente cambia il modo di scrivere e ricercare: “Qual è il miglior hotel a Venezia sul Canal Grande?” Si tratta di frasi semanticamente corrette e più lunghe (a “coda lunga”), per cui le possibili azioni SEO si ampliano notevolmente. Nell’esempio riportato potrei cercare di posizionare il mio contenuto per “Hotel Venezia”, “Miglior Hotel Venezia”, “Hotel Venezia sul Canal Grande”, “Migliore Hotel sul Canal Grande”, “Hotel sul Canal Grande” ecc.

Il search intent

Oggi i motori di ricerca riescono sempre più ad interpretare il bisogno dell’utente, tanto da introdurre il concetto di “search intent”. Ciò che maggiormente affascina è l’abilità di Google di modificare temporaneamente i risultati in base ai cambiamenti dinamici dell’intento di ricerca. Per esempio, coronavirus non è un termine nuovo. E’ sempre stato il nome di un gruppo di virus. Ma come tutti sappiamo, l’intento di ricerca cambia rapidamente all’inizio del 2020. Le persone hanno iniziato a cercare informazioni su una specie di coronavirus (SARS-CoV‑2), e la SERP si modifica di conseguenza, mostrando per primo quel tipo di coronavirus.

Altro esempio, io sono tifoso della Lazio ma sono anche residente nella Regione Lazio. Ebbene siccome cerco e leggo quotidianamente notizie sulla mia squadra del cuore se io digito “Lazio” il motore di ricerca mi restituisce automaticamente tutti i siti che parlano di questo argomento e solo marginalmente notizie sulla “Regione Lazio”. Google ormai mi conosce, sa che se digito “Lazio” sto cercando informazioni su una squadra di calcio.

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La capacità dei motori di ricerca di capire cosa stai cercando diventa sempre più affinata e si basa su concetti che distinguono gerarchie lessicali e relazioni tra entità, riuscendo così anche a sciogliere i nodi per parole ambigue o dal doppio significato.

Strumenti SEO

Esistono molti strumenti che permettono di svolgere operazioni di SEO (SEO audit), alcuni gratuiti, altri parzialmente, altri ancora solo a pagamento. Google ad esempio mette a disposizione uno strumento gratuito che si chiama “Search Console”, che permette a chi si occupa di SEO di acquisire tutta una serie di informazioni sul sito internet (parole più cercate, quanto traffico sta portando, errori da correggere, ecc.). Altri strumenti molto utilizzati sono SeoZoom, SemRush, Kleecks, Screaming Frog, Seo Spider, ecc.

Ovviamente sempre di Google insostituibile è “Analytics” che permette di analizzare il traffico dalla rete: chi sta visitando il sito internet, i dati demografici, geografici, il tempo di permanenza sulle pagine, le azioni all’interno del sito ecc.

Altri due software che consentono una veloce azione di SEO audit sono Page Speed di Google e Gtmetrix, entrambe gratuiti, utili per capire se il tuo sito è effettivamente veloce, dove sono i problemi di velocità ed eventualmente come risolverli.

Link building

Un’azione che aiuta molto il buon posizionamento di un sito è l’attività di link building. Con essa si intende “la tecnica SEO volta ad incrementare il numero e la qualità dei link in ingresso verso un sito web”. Link building contribuisce, con modalità che ad oggi non sono perfettamente chiare, sia ad aumentare il valore (ranking) di un dominio che, eventualmente, il posizionamento su Google di alcune pagine di quel dominio.

In genere la tecnica consiste nel “tessere rapporti con altri siti web e far conoscere il nostro (mediante richiesta via email, forum di discussione, acquisto diretto di link e commenti sui blog), per poi suscitare interesse nei confronti di un argomento che trattiamo e magari ottenere un link ad una pagina che ci interessa promuovere, facendo in modo che Google interpreti questo come un segnale di autorevolezza” (Fonte Wikipedia).

Questa attività va gestita con molta attenzione ed in maniera professionale, per evitare che si riveli addirittura dannosa per il posizionamento del sito. Ad esempio è sconsigliabile cercare di acquisire link in entrata in modo massivo. La crescita dei link in ingresso dovrebbe avvenire in maniera quanto più possibile naturale, ovvero al crescere del traffico del sito web presumibilmente aumentano i link in ingresso al sito.

La qualità dei link e l’autorevolezza dei siti che linkano al tuo è un parametro fondamentale. Più il sito che linka un tuo contenuto è autorevole (naturalmente nello stesso settore in cui operi, questo determina anche la sua qualità), maggiore sarà l’effetto benefico in ottica SEO.

Le linee guida per la valutazione della qualità della ricerca di Google attribuiscono grande importanza al concetto di EAT (acronimo di Esperto, Autorevole e Affidabile). I siti che non presentano queste caratteristiche tendono ad essere visti come di qualità inferiore agli occhi dei motori di ricerca, mentre quelli che le possono vantare vengono successivamente premiati. Più un sito è popolare e importante, maggiore è il peso dei link di quel sito.

Per fare questa attività ci vuole tempo, bisogna tessere rapporti, insomma non è sicuramente un’azione di breve periodo, rientrando a tutti gli effetti negli obiettivi strategici del digital marketing. Potresti pensare che ricorrendo all’acquisto di link riusciresti ad accelerare i tempi. Ripeto non è così, poiché una crescita improvvisa di link in ingresso potrebbe far insospettire il motore di ricerca e dunque portare ad una penalizzazione del sito. Pertanto, se acquistare link non è vietato o scorretto, questa azione va gestita da professionisti competenti.

Se pensi all’acquisizione di link in modo naturale allora capisci bene che un sito non può avere solo link da siti autorevoli e di settore, ma avrà anche qualche link in ingresso da siti che non sono esattamente nel tuo stesso settore, da siti meno autorevoli ecc. Motivo per cui in una strategia di link building (quindi un qualcosa di organizzato e non naturale) dovrai tenere in giusta considerazione anche queste valutazioni.

Se fino a qualche anno fa le azioni SEO venivano fatte solo e soltanto sui contenuti testuali, da un po’ di tempo a questa parte, e sempre più nel futuro, i contenuti multimediali (video ed audio) la faranno da padrone e con esse la SEO dedicata. Un esempio aiuta a capire. Hai presente Echo di Google o Alexa di Amazon? Li interroghi e loro ti rispondono tramite un contenuto audio. Ebbene quei contenuti sono stati scritti e catalogati in ottica SEO. Il futuro della SEO sarà assolutamente multimediale.

Ultimo aspetto della SEO è la crossmedialità, ovvero l’utilizzo di contenuti che passano da un media ad un altro, senza che neanche ce ne accorgiamo. Altro esempio. Fai una ricerca con lo smartphone e ritrovi i risultati all’interno della TV, piuttosto che nel PC o magari nel tuo social preferito. Questo è possibile perché c’è chi sta studiando ed applicando la SEO anche per i contenuti cross mediali.

L’impatto dell’AI sulle banche: dalla digital transformation alla digital coopetition

Le banche italiane stanno transitando dalla digital transformation alla digital coopetition, un processo che, come volano primario, ha l’intelligenza artificiale (AI). La meta è la speedboat bank. Secondo un panel di 700 clienti bancarizzati di diversa età intervistati da Excellence Consulting, solo il 20% degli over 30 e nessuno degli under 30 si ritiene soddisfatto dei servizi digitali della propria banca digitale. 

Per l’implementazione di servizi finanziari innovativi, il 92% crede che l’AI potrebbe essere determinante, il 51% considera importante la costruzione di ecosistemi di servizi in partnership con altre fintech, mentre per il 25% sarà decisiva la tokenizzazione (trasformazione in blockchain, ndr) degli asset finanziari. Tale tendenza asseconda quanto viene dagli Usa ed è alla base delle scelte delle due principali banche italiane: Intesa San Paolo e UniCredit.

Le banche tradizionali (cosiddette incumbent), a valle di un decennio di investimenti in digital transformation, si dichiarano spesso deluse dei risultati ottenuti, sovente tramite applicazioni digitali che simulano vecchi processi analogici. In Italia pesa anche che numerose banche condividono i loro sistemi di core banking gestiti da aziende consortili.

La tendenza del top management, più che costruire la strategia digitale in partnership con i loro fornitori dei sistemi centrali, è lanciare nuove banche digitali appoggiandosi su piattaforme di mercato innovative e su di esse costruire il futuro – come indicato nei recenti piani industriali di Intesa San Paolo e UniCredit – puntando su applicazioni di core banking di nuova generazione, con l’obiettivo di convertire successivamente gli attuali sistemi legacy.

Livello digitalizzazione banche italia

Negli Usa siffatte banche sono chiamate speedboat (letteralmente motoscafo) bank. L’ offerta di queste, sviluppata inizialmente per servire una nicchia di clientela, successivamente potrà essere estesa a fette sempre più larghe di clientela, finché la nuova banca digitale diventerà l’organizzazione prevalente all’interno dell’organizzazione della banca tradizionale.

Nel dettaglio della ricerca di Excellence Consulting, “Dalla digital transformation alla digital coopetition”, sebbene il 56,6% degli intervistati afferma che le banche digitali, ad oggi, abbiano raggiunto un buon livello di digitalizzazione, solamente il 20% degli over 30 e nessuno degli under 30 si ritiene pienamente soddisfatto dai servizi digitali ricevuti. C’è quindi un margine di crescita e di intervento, in particolare circa la fascia di popolazione più giovane. Da numerose analisi internazionali emerge l’importanza dell’intelligenza artificiale per tratteggiare le caratteristiche della banca digitale del terzo millennio. La ricerca di Excellence conferma tale tendenza: il 92% degli intervistati reputa l’AI determinante per l’implementazione di servizi finanziari innovativi.

Livello soddisfazione servizi finanziari digitali Italia

Non solo, per il 51% degli intervistati sarà molto importante anche che tali banche sappiano costruire modelli di offerta basati su ecosistemi di servizi che prevedano anche la partnership con altre fintech, mentre per il 25% sarà la tokenizzazione degli asset finanziari un ulteriore elemento chiave di innovazione su cui le banche digitali dovranno investire.

“La nostra ricerca – dichiara Maurizio Primanni, CEO Excellence Consulting – evidenzia come possiamo considerarci all’alba di una nuova fase di digitalizzazione dell’industria bancaria. Dobbiamo renderci conto che abbiamo oramai superato la fase della digital transformation e stiamo entrando a pieno titolo in una nuova fase di mercato che possiamo definire di digital coopetition, in cui operatori tradizionali e innovativi si confronteranno, ma spesso anche collaboreranno, per lo sviluppo di nuovi servizi finanziari digitali. L’utilizzazione sistematica delle tecniche di data science & analytics e dell’intelligenza artificiale permetterà alle banche digitali di nuova generazione di superare il limite di un approccio commerciale troppo passivo, per potere proporsi alla loro clientela target in modo sempre più proattivo, con chatbot ed avatar che proporranno ai clienti soluzioni personalizzate sui loro bisogni. In tale contesto sarà molto importante raggiungere in tempi veloci condizioni di profittabilità ed autosufficienza economica, scegliendo le linee di offerta a più elevato potenziale di business, tra esse, le esperienze internazionali in corso, suggeriscono di porre particolarmente attenzione ad alcuni temi: il modello buy now pay later, integrato in offerte di embedded finance; i modelli ibridi di digital investing; il digital mortgage; l’offerta di servizi di deposito e consulenza per investimenti in cripto-assets.”

Impatto AI Banca del futuro

Che significa “Digitale”?

Che significa digitale? Ha a che fare con le dita? O con un determinato tipo di erbacea? Qualcosa che riguarda l’informazione?
Anche le fonti più attendibili come la Treccani faticano a trovare una descrizione esaustiva a questo termine, che è entrato con una forza mai vista all’interno del nostro quotidiano.

Cosa intendiamo oggi per Digitale?

L’informatica, per delle ragioni che vedremo fra poco, riesce meglio delle altre discipline a descrivere cosa significa digitale. “Si definisce digitale quel sistema che tratta le grandezze sotto forma di numeri discreti”. Numeri cioè che non hanno intervalli fra loro e la cui serie forma un sistema continuo, logico. Ad esempio 1, 2, 3,…e così via.

“Digit”, infatti, significa cifra, anche nell’inglese attuale. Non c’è quindi collegamento effettivo, nè con le dita, nè con le graminacee, anche se a volte queste connessioni sembrerebbero aver senso.
Ora che si è chiarita l’origine del termine, si può scendere leggermente più nel dettaglio. Analizzando come funziona un artefatto digitale, con sorpresa di molti, ci si accorge come questo non debba per forza essere qualcosa di astratto (come un videogame, un’applicazione per cellulare o un cartone animato). Rientrano infatti nel mondo digitale anche tutti quegli artefatti fisici (come un drone o una videocamera), che hanno una natura fisica, avendo infatti anch’essi a che fare coi numeri, nello specifico con lo 0 e con l’1.

Il digitale è tra noi

Vi siete mai chiesti come abbia fatto il vostro cellulare a scattare quella foto che vi piace tanto? Oppure come faccia un Dvd o un hard disk a memorizzare musica, film e immagini? Proprio con lo zero e con l’uno. Grazie ad un processo di digitalizzazione che sta praticamente coinvolgendo ogni device con cui ci rapportiamo.

Le informazioni infatti vengono scomposte in parti sempre più semplici, così come la materia è composta di molecole, poi atomi, poi particelle sempre più piccole… Beh nel mondo digitale alla fine, come “quanti” di informazione, troviamo lo zero e l’uno.

Questi due numeri servono a descrivere, punto per punto, ogni singolo fotogramma di un film, ogni microsecondo di musica, ogni pelo che si muove nel vostro film di animazione preferito.

Il lavoro che devono fare questi due numerini è inimmaginabile. Vi basti pensare che ogni secondo di un film è composto da un numero compreso fra 24 e 60 fotogrammi (ogni fotogramma è come una fotografia, messi in ordine e “riprodotti” si genera l’illusione del movimento).

Ogni fotogramma, a sua volta, è composto da moltissimi pixel (puntini colorati, come la vecchia pellicola a nitrati d’argento). Questi pixel messi insieme definiscono la dimensione (ad esempio 1920 x 1080, che poi sarebbe l’ormai noto Full HD) e la risoluzione di un’immagine (ad esempio 200 pixel per centimetro quadrato). Quindi quanto è effettivamente grande quell’immagine e quanto sarà definita la sua visione.

Insomma, per farla breve, un secondo di film è composto da circa 37 miliardi di puntini colorati. 37 miliardi di informazioni al secondo che il vostro televisore (o il vostro pc) elaborano continuamente, a partire da una stringa lunghissima di zero ed uno, che messi insieme con la giusta logica formano il “Codice binario”. Ovvero l’unico modo che abbiamo per entrare effettivamente in contatto con una macchina e “Parlarci”. Si, il codice binario è la lingua delle macchine.

Che significa digitale
Che significa digitale? Il codice binario fa ormai parte della nostra vita. Photo credit: Geralt by pixabay

Avrete tutti presente il modo in cui veniva costruito il mondo a partire da stringhe di codice verde nel film “Matrix”. Ecco, diciamo che nella realtà probabilmente quella quantità di codice sarebbe stato sufficiente a malapena a disegnare la pagina Facebook di Neo.

E questo codice non viene usato solamente per descrivere immagini o musica, bensì qualsiasi tipo di informazione che viene letta ed interpretata da dispositivi elettronici. Quindi anche un orologio (digitale appunto), un drone, un braccio industriale, una lavastoviglie,… tutti questi apparecchi, nel medesimo modo, svolgono migliaia di volte ogni secondo, lo stesso tipo di calcoli accennati sopra.

“Leggendo” pacchetti di codice costruiti a partire dal lavoro di ricerche precedenti, che poi arrivano agli utenti sotto forma appunto di film, di applicazione, di videogioco, ma anche di articolo di giornale o di messaggio privato.

Tutto ciò che è definito digitale ha a che fare con questo codice binario. Sia che si tratti di pacchetti di codice stesso, sia che si tratti di un apparecchio che riceve informazioni tramite questo.

drone e digitale
Anche un drone funziona grazie a codice binario, è dunque “digitale”. Photo credit: Free Photos by pixabay

Quindi la prossima volta che il vostro modem non va, o che il semaforo ci mette troppo tempo prima di far scattare il verde, o che banalmente il vostro video non carica, portate pazienza! Sta facendo dei calcoli che noi non saremmo neanche in grado di immaginare.

Perché un giornale per la diffusione di cultura digitale?

Da una settimana abbiamo deciso di rinnovare Moondo, dandogli un focus specifico e trasformandolo in un laboratorio di idee sul digitale. Le prime risposte? Eccezionali! Scelta la strada, bisogna cominciare a batterla… con un’unica certezza, quella di metterci tutto l’impegno possibile. Così ho deciso di partire per primo, come i gregari del ciclismo, che pedalano in testa fino a pochi metri dal traguardo. Non importa chi lo taglierà per primo quel traguardo, vincerà sicuramente la squadra. E la squadra che si va formando è composta da campioni. Ci sarà da divertirsi!

Risposte al di là di ogni aspettativa: E N T U S I A S M A N T I !

Questi i “pensatori digitali” che hanno già aderito all’appello ed iniziato a collaborare e firmare articoli su Moondo:

Persone eccezionali, che non hanno esitato un istante a rispondere positivamente a questo appello. Ho parlato con ognuno di loro ed ho trovato disponibilità, cortesia, voglia di dare una mano, ma soprattutto umanità Li ho ringraziati in privato, ma voglio farlo pubblicamente. Grazie, grazie ed ancora grazie!

A questa squadra di campioni se ne aggiungono ogni giorno, i colloqui proseguono e siamo in attesa di ricevere una mail. Se vuoi farne parte anche tu scrivi a: info@moondo.info. Ti ricontatterò io stesso.

Questo è un campionato strano, possiamo giocare e vincere tutti, basta raggiungere l’obiettivo: diffondere cultura digitale. Tanti, troppi e di tutte le età, sono ancora “fuori” da questo processo di trasformazione che sta cambiando il nostro modo di essere, vivere, lavorare, rapportarci e socializzare.

Non ce lo possiamo permettere, non se lo può permettere il nostro Paese. 

Aiutaci a diffondere cultura digitale, unisciti a noi e condividi questo appello!

Grazie.

Moondo Laboratorio cultura digitale

Cosa sono i contenuti nativi ed il native advertising?

Gli utenti guardano quasi esclusivamente i contenuti all’interno della loro area di messa a fuoco. Tutto il resto diventa una forma indistinta di colori e forme. Un atteggiamento sempre più accentuato in millennials e nativi digitali (generazione Z). Si tratta, per intenderci, di quella generazione cui abbiamo dato, al posto del ciuccio, lo smartphone.

Il nativo digitale è geneticamente diverso da chi è nato prima, che, per quanto si adatti, sarà sempre un immigrato digitale“E’ la stessa differenza che esiste tra chi parla una lingua che ha imparato da adulto e chi è madre lingua” (Bertoldi e Rossotto).

Questi nuovi utenti della Rete hanno maturato l’abitudine a scansionare rapidamente una pagina per blocchi, alla ricerca di contenuti rilevanti. Se li trovano bene, altrimenti passano oltre. Pochi secondi e via.

Figuriamoci quanta attenzione possono dedicare al vostro banner pubblicitario fuori messa a fuoco. Per quanto animato e graficamente accattivante possiate averlo realizzato, l’attenzione sarà pari a zero.

Generation_timeline

Come raggiungere millennial e generazione Z?

La domanda allora è come coinvolgerli, come raggiungerli, come catturare in una frazione di secondo la loro attenzione? L’unica risposta è, banalmente, offrendogli ciò che cercano: contenuti personalizzati, esperienze: expertelling (al posto dello storytelling)!

Siamo d’accordo sull’inutilità di pubblicizzare con un banner un viaggio alle Maldive in un resort superlusso su un sito che tratta di come gestire debiti con il fisco? Ecco vale anche per i contenuti.

Se il contenuto è utile e coinvolgente colpirà l’attenzione. Poco importa se si tratta di un contenuto a pagamento (che può o meno contenere un link), a patto che sia ben evidenziato. Ne va della serietà, autorevolezza e correttezza del sito che ospita quel contenuto e del brand che paga per vederlo pubblicato.

Perchè e quando parliamo di contenuti nativi?

Parliamo di contenuti nativi quando un contenuto “assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitato. L’obiettivo è riprodurre l’esperienza-utente del contesto in cui è posizionata sia nell’aspetto che nel contenuto […]; ibrida contenuti e annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale dove essi vengono posizionati (sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista della linea editoriale)” da Wikipedia – Native Advertising. L’advertising che ne deriva è in definitiva una forma di pubblicità meno invasiva e più coinvolgente, perché inserita in un argomento che l’utente ha scelto di leggere o di guardare. Una pubblicità contestualizzata, che non disturba il lettore, anzi gli fornisce informazioni aggiuntive in linea con il contenuto che ha deciso di approfondire. Una pubblicità (un contenuto) che definiamo appunto “nativa” e tale da risultare gradita e richiesta, e suscitare interazioni e lead spontanei.

IAB- contenuti nativi

Un esempio per chiarire definitivamente l’argomento. Su un sito in cui si danno consigli per finanza ed investimenti scrivo un articolo dal titolo: “I migliori mutui a tasso fisso per le giovani coppie che comprano casa”.

Dopo aver esplicitato l’argomento mutui, con particolare riferimento alle giovani coppie che cercano casa, dando suggerimenti e consigli, si riportano una serie di soluzioni possibili di mutuo offerti dalle banche. Una di queste soluzioni porta al sito della banca X tramite un “ad link” (un link sponsorizzato), ben indicato nel testo.

Pensi che il lettore sia infastidito dalla cosa? Ti assicuro di no, è lui che ha cercato in Rete informazioni, ha trovato l’articolo, ha scelto di leggerlo, ora vede il link sponsorizzato e se decide di cliccare riceverà ulteriori informazioni su quel prodotto.

Perché dovrebbe essere infastidito?