I beni culturali beneficiano da molti anni della rivoluzione digitale. Siamo sicuri che il settore abbia compreso fino in fondo le possibilità di questa rivoluzione? Siamo sicuri che il fine ultimo condiviso di chi operi del settore digitale sia distribuire conoscenza e identità sociale basata sul patrimonio storico artistico della nostra Europa?
Troppo spesso il settore si focalizza su di una catena del valore che parte dalle tecniche di digitalizzazione. Passando a quelle di processo per ottenere oggetti digitali fruibili. Per poi saltare direttamente alle informazioni di dominio costruite dagli esperti del settore ed utilizzate come contenuti. In mezzo c’è un anello mancante, intorno al quale non si è ancora ragionato abbastanza e si è fatta poca ricerca: “I linguaggi propri delle immagini e dei suoni di natura digitale”.
Linguaggio significa l’articolazione delle forme dell’audiovisivo ricostruite in funzione della possibilità di manipolare immagini, suoni, riprese. Commistioni dell’uno e dell’altro, nuovo ed antico integrati e non sommati uno all’altro come pezzi separati di un sistema. Questo anello mancante nella catena del valore può generare empatia, conoscenza e identità.
Rivoluzione digitale, beni culturali e musei narranti
Musei narranti, mostre, installazioni di successo sono quelle che applicano la catena del valore completa fino all’impatto con l’utente finale.
In questo caso gli accademici saranno i fornitori dell’informazione. Registi e sceneggiatori saranno i narratori. La tecnologia consentirà a nuovi prodotti e servizi per la cultura di emergere. L’intuizione di un artista, la conoscenza scientifica, le possibilità tecnologiche occorre che siano integrate in una nuova metodologia: la progettazione culturale.
Obsolescenza tecnologica, se ne parla sempre, se ne parla spesso, ma cosa significa veramente e perchè torna sempre di moda in determinate occasioni?
Finalmente il black Friday è arrivato, e pure passato… in moltissimi lo aspettavano per acquistare il nuovo modello di..di..di cosa?
Questa è la domanda da rivolgersi prima del famigerato “Venerdì nero”. Giorno divenuto celebre per gli sconti incredibili che sono soliti applicare i negozi. Prima esclusivamente per questa data, poi per tutta la settimana successiva.
Tradizione ovviamente tutta americana, cade tradizionalmente il giorno successivo al Thanksgiving Day, il Giorno del Ringraziamento, che a sua volta ricorre il quarto giovedì di novembre.
Non esiste dunque una data fissa per il “venerdì nero”.
Le origini del Black Friday
Le radici si vuole risalgano addirittura al 1924, quando la catena Macy’s iniziò ad organizzare parate il venerdì successivo la festa del ringraziamento, per celebrare l’inizio del periodo natalizio.
Cosa più sicura è che fra gli anni ‘60 ed ‘80 l’espressione ha iniziato a prendere un’accezione decisamente positiva. Forse per richiamare al nero dei conti positivi, a differenza del rosso di quelli negativi. E a beneficiare maggiormente di queste iniziative ovviamente è la tecnologia domestica.
Stando ai dati dell’anno 2017, raccolti dalla rinomata casa di produzione software Adobe (la mamma di Photoshop, per intenderci) il settore della tecnologia in un solo giorno ha fatto circolare quasi due miliardi di dollari nei soli Stati Uniti.
Quasi un terzo della spesa totale. E questo non soltanto per via degli sconti, e qui viene il nocciolo della questione, ma per una vera e propria necessità. In moltissimi infatti ci ritroviamo, e sottolineo ci ritroviamo, con un telefono che è in pessime condizioni dopo un anno dall’acquisto, massimo due.
Obsolescenza tecnologica
Non è necessariamente la parte hardware ad avere problemi, magari è solo il software, oppure lo schermo touchscreen, che iniziano ad agire di vita propria. Le applicazioni non rispondono più, il sistema diventa lento e svolgere qualsiasi operazione diventa un’agonia.
Ecco, probabilmente il vostro telefono si è preso l’obsolescenza e non si può fare nulla. E’ tecnologica.
Scherzi a parte, quello che probabilmente è successo è che alcune applicazioni, se non lo stesso sistema operativo, sono stati aggiornati, quindi hanno iniziato a pesare di più sulla CPU e sulla RAM.
Rallentando lo svolgimento di tutti i processi, oppure peggio ancora alcune parti di codice che compongono le applicazioni e i programmi hanno iniziato ad entrare in conflitto fra di loro, disturbando lo svolgersi dei processi.
Da un lato questo è assolutamente normale, la tecnologia ha bisogno di sviluppo e nello sviluppo un po’di confusione è consentita.
Dall’altro lato, ad esempio, il governo Francese sta invece indagando un colosso come Apple proprio con accuse di questo tipo. Senza contare che la stessa Apple, oltre a Samsung, era già stata multata dall’Antitrust per illeciti (l’accusa è sempre obsolescenza programmata) nelle linee di produzione di alcuni smartphone come Iphone6 e Note4.
Obsolescenza tecnologica o programmata? Photo credit: Bru-nO by pixabay
Oltre l’obsolescenza tecnologica, il dubbio che ci sia “progammazione”
Ovviamente lo scopo di questo genere di manovre, così come quello di eventi simili al Black Friday, servono a far metabolizzare una produzione di beni eccessiva, che rischierebbe altrimenti di intasarsi.
Questo a causa dei modelli di business aziendali che si preoccupano di produrre merce e poi si impongono di venderla. Senza considerare quale sarebbe l’effettiva necessità della popolazione di quel medesimo bene.
E questa è di nuovo una medaglia a due facce: da un lato vediamo abbassare il prezzo della merce per via della competizione di mercato, dall’altro vediamo ogni tipo di risorsa esaurirsi ad un ritmo catastrofico.
Per la coda lunga di questo Black Friday quindi, ma anche per i prossimi saldi, non comprare qualcosa solo perchè costa poco, assicurati di averne bisogno!
Etica e tecnologia: quali possono essere le conseguenze future di un progresso poco responsabile e con un’etica obsoleta? Perchè bisogna prendere coscienza delle implicazioni positive e negative del progresso.
di Nicoletta Iacobacci
Per molti anni mi sono occupata di media emergenti e da qualche tempo studio il futuro e le tecnologie che crescono a livello esponenziale e le conseguenze che le stesse hanno sulla società e sul nostro quotidiano.
L’intelligenza artificiale, ad esempio, non è solo una nuova invenzione, è uno strumento di progresso tecnologico; è il fattore di cambiamento che renderà questo secolo e probabilmente questo decennio decisivo per la nostra evoluzione.
Tra pochi giorni sarà disponibile il mio libro sull’etica e le tecnologie esponenziali e, come nel mio libro, non è mio compito dare risposte, io pongo solo domande; perché il mio ruolo è quello di creare consapevolezza, far riflettere, far prendere coscienza delle implicazioni positive e negative del progresso.
Se parliamo di intelligenza artificiale ad esempio, a breve il problema di sistemi “malati” da pregiudizi esistenti, esploderà.
Blickpixel by pixabay
Indurre un cambiamento radicale e ottenere il risultato opposto.
Saremo in grado di riconoscere e correggere i pregiudizi associati al sistema? Sempre più tecnologie e servizi digitali si basano sull’intelligenza artificiale e sul machine learning, il programma che permette ai computer di svolgere compiti senza essere stati programmati. Ma come abbiamo potuto verificare, questi sistemi, non solo imparano i pregiudizi esistenti, li amplificano e li riproducono, come per gli stereotipi di genere.
Secondo un rapporto della Reuters di qualche settimana fa, Amazon ha lavorato per anni su un sistema per automatizzare il processo di selezione e assunzione del personale. Il programma basato sull’intelligenza artificiale, doveva esaminare una raccolta di curriculum vitae e nominare i migliori candidati.
L’industria tecnologica è tuttavia dominata dagli uomini e, quindi, la maggior parte di questi curricula erano di provenienza maschile.
Così, sulla base di questa selezione di informazioni, il metodo di reclutamento ha cominciato a favorire gli uomini rispetto alle donne, declassando quasi completamente le candidature femminili. E’ stato impossibile per Amazon correggere l’impianto, perché trovava sempre nuovi modi per discriminare le donne candidate, e quindi il progetto è stato interrotto all’inizio del 2017. Nei prossimi anni, il numero di sistemi e di algoritmi parziali, in un certo senso “infettati”, aumenterà.
Il bisogno di un’intelligenza artificiale imparziale
Sono ottimista e spero che solo un’intelligenza artificiale imparziale, gestibile e benevola possa sopravvivere, anche perché in un altro ambito, stiamo cercando di codificare la creatività, di delegare la nostra inventiva alla macchina.
Stiamo sperimentando l’intelligenza artificiale per scrivere opere teatrali, per comporre musica e adesso anche per dipingere. Il messe scorso un’opera d’arte generata da una serie di algoritmi è stata venduta per 425.000 dollari.
Tempo fa, prima di diventare reporter televisiva e poi esperta di etica e futuro, sono stata scenografa e costumista per il teatro. Disegnavo e posso dire onestamente che dipingere è un piacere.
Saremo in grado di riconoscere e correggere i pregiudizi associati al sistema?
Perché vogliamo avere una macchina per fare dell’arte? Capisco che “produrre arte” significa sperimentare, provare, aumentare il livello di creatività. Vogliamo davvero delegare l’oggetto d’arte a un dispositivo meccanico oppure vogliamo considerare l’intelligenza artificiale come lo strumento ultimo per concretare la nostra fantasia?
Ancora una volta, dipingere è un piacere. Vale la pena di demandare il nostro piacere ad un sistema fatto di algoritmi? Non credo che la tecnologia riuscirà a superare la nostra creatività. Sicuramente la migliorerà. La creatività sarà la competenza n.1 del XXI secolo. E noi, vogliamo creare un agente che sia il nostro doppio nell’esperienza delle sensazioni. Un’entità sensibile, che mi porta a formulare un’altra domanda.
L’etica e la tecnologia
Come possiamo fidarci dell’intelligenza artificiale se ancora non sappiamo come funzionerà?
Oggi stiamo lavorando alla realizzazione di un’entità sensibile e consapevole. Un essere che può sentire la propria individualità, che può agire sulla memoria, e che può diventare socievole. Un agente che può suscitare emozioni e forse, in futuro, anche provarle.
Vogliamo anche imporre i nostri codici etici, anche se questo agente sarà organizzato in modo completamente diverso da noi, con le sue priorità e le sue iniziative. Vogliamo anche averne il controllo e il potere di spegnerlo. Vi ricordate il film “2001,Odissea nello spazio”, quando Dave disattiva Hal? Permettetemi di chiedervi: oggi possiamo spegnere Internet?
Bisogna riflettere; no, non è più possibile. Pensate a Sophia, ad oggi l’androide più conosciuto e famoso, al macchina che ha addirittura ottenuto la cittadinanza saudita.
Il robot viaggia, può conversare, è spiritosa e, anche se funziona grazie all’intelligenza artificiale, per il momento la sua conversazione è parzialmente scritta e convalidata da un essere umano. Credete che se e quando Sophia diventerà sensibile e autonoma, ci avvertirà?
Non voglio essere catastrofica o distopica, sono molto favorevole alla scienza e alle tecnologie emergenti. Voglio solo rendere le persone consapevoli di quali possono essere le conseguenze future di un progresso poco responsabile e con un’etica obsoleta. I tecnologi ritengono che la scienza abbia raggiunto un tale livello di pensiero teorico da non aver più bisogno della filosofia.
Un appello all’azione
Tuttavia, l’etica non progredisce allo stesso ritmo delle tecnologie in crescita esponenziale. E quindi la filosofia non dovrebbe dimenticare il suo ruolo passato “di scienza della scienze”, dovrebbe anzi lavorare in sinergia con l’innovazione.
Dobbiamo incoraggiare conversazioni e dibattiti pubblici tra pensatori, scienziati e ingegneri, e tra tutti coloro che influenzano il nostro tempo, in tutte le discipline interessate al progresso tecnologico.
Vorrei fare un appello all’azione! Un appello che coinvolge anche scrittori e artisti di fantascienza come propagatori del pensiero visionario e, perché no, di un’etica contemporanea.
In quest’epoca di convergenza delle arti e delle scienze, beneficiamo della promessa di un futuro migliore, più sano e più felice. Stiamo diventando una nuova specie – una specie che non possiamo garantire sarà ancora “umana” e abbiamo bisogno di tutta la conoscenza, la forza e il coraggio della nostra umanità collettiva per scegliere un percorso piacevole, senza troppi ostacoli.
Per concludere vorrei citare Nietzsche, “chi vuole imparare un giorno a volare, deve prima di tutto imparare a stare, e andare, e camminare, e arrampicarsi, e danzare: il volo non si impara in volo!”
Cosa è la geoarchitettura, quali sono i suoi principi fondanti? Ce lo spiega l’Arch. Paolo Portoghesi in questo articolo preparato per il suo intervento al Digital Day 2018.
Premetto che io sono ottimista, apprezzo molto le conquiste della tecnologia per quegli aspetti che hanno un cambiato la nostra vita e promettono di cambiarla ancora in meglio. Ma sono anche altrettanto interessato agli aspetti negativi. Cioè ai rischi che questa trasformazione del mondo che sta venendo sotto i nostri occhi possa portare conseguenze negative.
Quindi sono convinto che sarebbe assurdo chiudere gli occhi e rifugiarsi nel passato. Pensando che tutto ciò che c’era è meglio di ciò che c’è e ci sarà. Dobbiamo sperare invece che si possa sempre migliorare. Ma essere consapevoli che negli ultimi tempi insieme ad alcune grandi conquiste ci sono state delle terribili perdite.
Cosa è la geoarchitettura e quali sono i suoi principi fondanti? Ce lo spiega l’arch. Paolo Portoghesi
Meno Archistar e più attenzione all’ambiente
Io credo che l’architettura negli ultimi decenni sia stata un po’ espressione dell’individualismo violento, caratteristico di questa società del consumismo.
E’ diventata oggetto di consumo, oggetto di propaganda per multinazionali, per i grandi poteri, ma anche per gli stessi architetti. Tanto che sono nate le famose “Archistar”. Una ventina di persone che nei propri studi riescono ad accumulare il 60% del lavoro importante che si realizza sulla terra.
Questo è un aspetto sicuramente negativo, sarebbe meglio se ci fosse una maggiore distribuzione e probabilmente potremmo fare a meno di questi divi dell’architettura. Se avessimo molti tecnici che riescono a costruire un’architettura che non danneggi l’equilibrio dell’atmosfera.
La geoarchitettura
E’ un obiettivo che ormai da una ventina d’anni ci si pone, e che io ho chiamato geoarchitettura. Partendo dal principio che oggi attraverso la globalizzazione abbiamo una responsabilità che non riguarda soltanto quel pezzo di terra a cui lavoriamo ma il mondo intero.
Ma se non si interviene a livello globale non si possono combattere i pericoli dello sviluppo tecnologico che si presentano per il futuro.
Io continuo ad insegnare perché penso che non tutti i giovani sono consapevoli di questa responsabilità dell’architettura. Quindi cerco di far capire loro che da una parte bisogna utilizzare tutti gli strumenti nuovi che sono a nostra disposizione. Dall’altra dobbiamo renderci conto dei rischi che corriamo.
Lavoro e identità
Qualcuno pensa che nella società futura verrà abolito il lavoro. Probabilmente questo avverrà tra 2 o 300 anni, ma in questo periodo intermedio questa sostituzione della macchina all’uomo ha un costo spaventoso: la disoccupazione.
E’ terribile ma è una realtà, per ogni automa che si costruisce un centinaio di lavoratori restano a casa, senza lavoro. Si, certo il reddito di cittadinanza potrebbe risolvere questo problema, ma la perdita di lavoro non è soltanto un problema economico.
Risolverebbe forse il problema economico ma creerebbe questo terribile problema della perdita di identità. Perché senza il lavoro non si acquista la propria identità.
E’ il lavoro, la scelta di quello che si vuole fare che determina la crescita, determina la maturazione dell’individuo allarga in un certo senso il cervello.
Se tutti quanti si accontentassero dei videogiochi o di fare delle passeggiate in campagna nella migliore delle ipotesi avremmo certamente delle persone meno problematiche. Ma secondo me avremmo persone ancora più infelici.
Perché le grandi soddisfazioni della vita sono legate proprio al lavoro, sono legate a quello che uno fa, che costruisce con le proprie mani.
Abitare poeticamente
In questo il lavoro dell’architetto e l’architettura è di fondamentale importanza. Perché è lo strumento che consente all’uomo di abitare, nel senso più completo della parola. Perché un uomo che sta solo sulla terra, alla mercè delle insidie dell’atmosfera, non è ancora se stesso. Diventa se stesso quando si costruisce una casa.
Gli architetti dunque, piuttosto che pensare di diventare delle archistar, dovrebbero pensare di diventare delle persone che aiutano gli altri ad abitare, ad abitare poeticamente direi.
Ecco forse l’obiettivo che si possono dare gli architetti è consentire all’uomo moderno di abitare poeticamente. Che cosa significa abitare poeticamente lo lascio al lettore, poichè è una cosa molto difficile da definire.
Ciascuno di noi sa cosa vuol dire leggere una poesia, sa che vuol dire ritrovare la poesia negli avvenimenti quotidiani. Alcuni aspetti fondamentali della cultura sono proprio il risultato della poesia.
In questo ritroviamo le ragioni della georchitettura: cercare di combattere i rischi di ciò che sta avvenendo in tutto il mondo.
Una architettura della responsabilità
Naturalmente gli architetti, responsabili di molti aspetti negativi della situazione attuale, dovrebbero mobilitarsi.
Oggi siamo in un mondo in cui la politica ha perso molto del suo fascino. Quando io ero giovane impegnarsi politicamente era sentito come un dovere e naturalmente c’era un lavoro politico si lavorava nelle sezioni dei partiti. Si discuteva fino a notte inoltrata certe volte, su questioni che riguardano la vita sociale.
Oggi la gente si interessa di politica solo quando deve votare. Il rilancio di una architettura della responsabilità è legato anche alla presenza politica degli architetti nella società. Cioè al fatto di contribuire a creare una condizione culturale nuova che è indispensabile.
Non si tratta soltanto di una visione idealistica, di una visione utopica, si tratta di una visione concreta. Se noi non interveniamo in qualche modo la terra diventerà inabitabile.
Se uno ha la pazienza di guardare sul web la prospezione tra 50 anni di come potrebbe essere il nostro stivale si accorge ad esempio che Venezia sarà sott’acqua.
E tutto questo è la conseguenza dell’aumento della temperatura, dello sciogliersi dei ghiacciai, ecc.. Questa non è una favola, sta avvenendo. E’ ormai di fronte ai nostri occhi, qualcosa che possiamo e dobbiamo combattere. Se non per noi per i nostri figli.
Uno dei fondatori dell’architettura moderna, William Morris diceva: “Stiamo attenti perché noi rischiamo di lasciare ai nostri figli una terra impoverita rispetto a quello che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri”.
Questa constatazione che era drammatica già alla fine dell’800 oggi è molto molto più drammatica! Certo noi consegniamo una terra in cui è più facile vivere, in cui c’è maggior efficienza, in cui ci si muove meravigliosamente e velocemente. Ma una terra che si lamenta, una terra che sta emettendo un grido di dolore.
Geoarchitettura: requisiti fondamentali
Parlando di geoarchitettura non ho indicato quelli che sono i requisiti fondamentali:
imparare dalla natura, perché la natura ci insegna ad esempio ad economizzare, ad utilizzare ciò che è indispensabile, praticamente ci insegna la coerenza e nello stesso tempo ci insegna la bellezza, che è un mistero che però l’uomo molto spesso riesce a raggiungere;
imparare dalla storia, non dimenticare il passato, cercare di evitare soprattutto gli errori che sono stati fatti nel nostro passato;
attuare l’innovazione, quando questa risolve un problema. Non bisogna accontentarsi di ciò che abbiamo, meno che mai guardare al passato con nostalgia come se si potesse tornare indietro, indietro non si va, si può andare sotto avanti. L’innovazione è un’esigenza fondamentale dello spirito. Oggi l’innovazione ci consente di progettare in tre dimensioni, cioè se noi facciamo un modello tridimensionale delle cose che stiamo progettando possiamo entrarci dentro vederlo da lontano da vicino. Oggi si fa un unico modello e lo si guarda dentro e fuori da qualunque distanza. Una conquista di importanza determinante, perché oggi un architetto non ha nessuna scusa se fa un edificio che non ha una sua profonda unità!
Responsabilità comune
A che serve l’innovazione? Serve ad essere più efficiente nello sconfiggere lo squilibrio che l’uomo ha creato proprio attraverso l’innovazione! Bisogna a questo punto capire che l’innovazione è necessaria ma non deve essere fine a se stessa. Se è fine a se stessa e non risolve uno dei grandi problemi dell’uomo vuol dire che non è vera innovazione.
Io credo che ci sono due modi di sfuggire alla grande responsabilità che abbiamo:
una è quella di lodare gli sviluppi tecnologici e la società del futuro senza alcuna capacità critica;
l’altra è rifugiarsi nel passato, pensando che si possa tornare indietro.
Non sfuggire a questa responsabilità è compito di tutti noi.
Dove è Internet? Un po’ di anni fa, mio padre che mi vede come un Salvatore Aranzulla tascabile, mi chiese aiuto per caricare delle foto sulla più famosa piattaforma social. Dopo averlo interrogato sul problema mi rispose: “Voglio caricare delle foto su Facebook ma non voglio che le veda nessuno!”
Ridendo, sottolineai l’ossimoro ma mi sorse il dubbio che gran parte degli “adulti” non fossero del tutto consapevoli di cosa stavano facendo sul web. Oggi è ancora così?
Il nostro rapporto con la Rete
“Lo metto sul cloud”. “Carico questo selfie su internet”. “Ero su internet e ho visto…”. Espressioni quotidiane che abitano anche i vicoli dei borghi italiani più sperduti. Sì proprio quelli fatti interamente di tufo, dove internet non prende.
Considerare internet come un luogo è ormai scontato, il linguaggio ne è solo un sintomo. Sempre di più siamo stati spinti dall’entusiasmo e abbiamo caricato documenti online. Perdendo di vista il vero significato di questa azione.
Eppure sembra tutto chiaro. Basti pensare che da quando è stato inventato, agli inizi degli anni sessanta, in piena guerra fredda, il web ha avuto un unico obiettivo: connettere tutti i computer del mondo tra di loro. I computer, non le persone.
Per quanto siano poi le persone ad interagire, la rete permette esclusivamente ai computer di scambiarsi informazioni attraverso cavi lunghissimi, di rame o di fibra ottica.
“Ah, come il telefono!” Non proprio. Prima nel telefono l’informazione veniva trasportata in modo immediato e quindi non veniva depositata. Adesso nel web invece l’informazione viene sempre depositata dentro un altro computer.
Internet non è l’etere che circonda il pianeta come una gigantesca wi-fi
Le foto sul cloud, quelle delle vacanze anche quelle dei social, si trovano in questo momento in una stanza piena di computer, o meglio server, con l’aria condizionata.
I data center, sono edifici dove quasi tutti i piani sono adibiti ad ospitare quantità enormi di dati che arrivano da internet e che appartengono a computer molto distanti.
Questi centri sono di proprietà di aziende private, solitamente aperte a questo scopo, e grazie a loro internet può essere vastissimo, quasi illimitato.
Un esempio sarebbe potuto essere Google, che nel 2015 contava di possedere così tanti server da disporre di 10 miliardi di gigabyte. Ma oggi è sicuramente Amazon a dominare il campo. Disponendo di più di 2 milioni di server sparsi per il mondo. La compagnia di Jeff Bezos si è specializzata così tanto da avere tra i suoi clienti agenzie di tutte le dimensioni. Ed ha da poco siglato accordi con Netflix e CIA per l’affitto di “spazio internet”.
Dove è internet? Internet non è l’etere, ma un computer in un edificio da qualche parte negli USA… Photo credit: Akela999 by pixabay
Si può facilmente capire a questo punto che tutto internet è contenuto dentro a molti computer. E che non può esistere senza di essi. Le foto caricate su Facebook sono su un computer di proprietà dell’azienda negli USA e a nessuno è dato sapere quante copie dei file vengono salvate dalla piattaforma.E spesso non ci è concesso di cancellarle completamente.
Internet può essere un luogo. Ma è importante capire che esso risiede in ogni sua parte su dei computer sparsi per il pianeta e non al sicuro in qualche magica sostanza che fluttua nel cielo. Procedendo con cautela, quando si condivide qualcosa di privato sul web, si può evitare di cadere dalle nuvole o dai clouds.
Al via la seconda edizione del Digital Day – 6 Dicembre Unitus Viterbo. Quest’anno nel corso del pomeriggio, dalle ore 15.00 (Aula 12 – Via Santa Maria in Gradi), andremo alla scoperta di come il digitale sta modificando la nostra società.
DIGITAL DAY – 6 Dicembre ore 15:00 – UNITUS
Ne parlano:
Paolo Portoghesi– Architetto, docente di geoarchitettura all’Università La Sapienza, membro dell’accademia dei Lincei – Verso una nuova geoarchietettura
Mario Pacelli– Docente Universitario Diritto e Storico delle Istituzioni –La democrazia al tempo del digitale
Aldo Di Russo– Responsabile dei progetti culturali di Artifactory – L’anello mancante: la rivoluzione digitale tra beni culturali e industria creativa
Maurizio Primanni– Fondatore e CEO di Excellence Consulting – Da Montesquieu a Blockchain: come l’intreccio digitale/finanza contribuisce a creare il “quarto potere”
Alberto Pasquini– Fondatore e Presidente di Retail Design Italy – Retail ibridation! Dal negozio fisico al digitale con empatia.
Sergio Bellucci– Giornalista, saggista, scrittore, esperto nei processi di trasformazione digitale – La crisi come Transizione. L’emersione di una nuova formazione economico-sociale e nuovi rapporti di produzione.
Nicoletta Iacobacci– Ethics HyperLeader, Hyperloop Transportation Technologies Executive Board Member, Women’s Brain Project Professor Webster University Geneva end Jinan University, Guangzhou, China – L’etica e le tecnologie esponenziali: prendere coscienza delle implicazioni positive e negative del progresso.
Gino Roncaglia – Filoso, saggista, professore associato e direttore del Master universitario in e-Learning Unitus Viterbo – Il digitale tra frammentazione e complessità
Mario Pireddu – Professore associato, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in “Informazione Digitale”, UNITUS – Il ruolo della formazione per la cittadinanza digitale
Coordina l’incontro Giampaolo Sodano– Giornalista, manager televisivo e Direttore di Moondo.info
Quando finalmente la nave Argo approda sulle coste elleniche, gli argonauti si rendono conto che al termine di quell’avventura non portano con sé solo il prezioso e magico vello d’oro. Ma ognuno ha acquisito doni più grandi come la coscienza dell’essere e la conoscenza dell’ignoto.
*Noosfera deriva dal vocabolo greco “Nous” che indica la mente, l’intelletto umano, per Noosfera si intende la complessità dell’intelligenza umana sul pianeta.
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Nuovi saperi stanno trasformando radicalmente i rapporti tra gli uomini e tra uomo e macchina. Il computer è diventato il nostro secondo cervello, fonte d’informazione e luogo della memoria.
La comunicazione tra computer in rete ha creato nuova intelligenza e ha distribuito conoscenza. Determinando una reazione a catena che sta modificando il nostro stile di vita.
Abbiamo dovuto imparare a dialogare con il computer, una nuova alfabetizzazione. Poi è arrivata la rete, che non è un medium, non è un surrogato di tv e giornali, non è comunicazione, è un modo di vivere. I social ne sono l’esemplificazione più evidente.
Come argonauti digitali vi proponiamo un viaggio. Un viaggio fantastico nei nuovi spazi della conoscenza e della comunicazione: alla scoperta di come il digitale sta modificando la nostra società.
Digital Day 2018
Globalizzazione digitale
I nuovi paradigmi non riguardano nuove tipologie di software ma l’incremento esponenziale del numero di utenti e la riaffermazione del web come piattaforma universale per la circolazione di contenuti.
Questo è lo tsunami che sta sconvolgendo il mercato e la società nel suo complesso. Il gorgo da cui prende forza il turbine: una comunità sempre più preparata, ambiziosa, pretenziosa e intraprendente che non accetta più i limiti di schemi chiusi.
La rete non è comunicazione, è relazione sociale. La vera, grande, profonda ed inevitabile rivoluzione del nuovo millennio è la contestualità di globalizzazione e digitale. Un nuovo scenario e nuovi poteri tanto forti quanto autonomi.
Tracciare nuove vie?
Viviamo un momento storico per alcuni versi straordinario, per altri versi traumatico. I ritmi accelerati del cambiamento sconvolgono le strutture socioeconomiche delle nazioni e determinano situazioni critiche per milioni di persone colpite dallo “choc del futuro”.
Proprio il trauma ed il disagio nella terra degli argonauti erano thaumazein un disequilibrio che provocava una krisis. Parola che per qualche strano prodigio della storia per noi indica disagio e sgomento, mentre in quelle terre era la forza che poteva indurre l’uomo a trovare la strada verso un avvenire migliore.
Cosa c’è dietro la logica SEO? Da qualche anno a questa parte sentiamo sempre più spesso parlare di “SEO”. Questa è una logica che sta permettendo il successo e lo sviluppo di moltissime aziende. Imprese che vedono crescere i propri introiti derivare dal corretto utilizzo di questo strumento.
Ma che cos’è la logica SEO?
Semplicemente, tutto quello che possiamo mettere in pratica per conquistare posizioni sulla cosiddetta “SERP”. Ovvero la nostra pagina di ricerca sui browser. Infatti, letteralmente “SEO” sta per “search engine optimization”. Dunque ottimizzazione per i motori di ricerca. In linea di massima una buona strategia SEO permette all’azienda interessata di comparire tra i primi risultati in una ricerca su browser (ad esempio Google, Bing ecc.).
Tutto questo è indispensabile per il successo di un’azienda. Perchè? Beh, essenzialmente per la nostra pigrizia… Secondo una nutrita quantità di studi l’utente tende infatti a considerare conclusa la sua ricerca “accontentandosi”, o ritenendosi soddisfatto, di quanto è riuscito a trovare nelle prima o (raramente) seconda pagina di risultati sul motore di ricerca.
Volendo fare un esempio: se vivessimo a Roma e dovessimo gestire un hotel, alla ricerca di un ipotetico utente che digita “hotel a Roma”, dovremmo assicurarci che il link del sito della nostra azienda compaia nei risultati sulla pagina del motore di ricerca prima delle altre migliaia di hotel (dotati di un sito) presenti a Roma.
Primi accenni alla logica SEO
Tutto questo viene fatto grazie a specifiche parole chiave che, se scelte correttamente, consentiranno agli algoritmi del motore di ricerca di operare una maggiore quantità di “match”. Intendendo per match le comparazioni e sovrapposizioni tra le parole contenute nella ricerca dell’utente, con quelle contenute nei “tag” e nei “meta-tag” del nostro sito.
Il discorso dei tag meriterebbe un ragionamento a parte. Ma per fornire un ventaglio di nozioni generali basti sapere che più saggiamente sono scelte le parole (dunque facendo sì che possano rappresentare nel modo più semplice, veritiero e preciso possibile l’identità e gli obiettivi della nostra azienda), più possibilità il nostro sito avrà di comparire tra le prime posizioni nei risultati di ricerca del nostro utente.
Primi rudimenti di logica SEO. Photo credit: Simon by Pixabay
Ovviamente, i motori di ricerca danno la possibilità di pagare una quota in denaro per assicurarsi un posizionamento più favorevole degli altri. Infatti, per le ricerche più comuni possiamo notare, tra i primi risultati, gli annunci sponsorizzati. Ovvero spazi appositamente comprati dall’azienda di riferimento per comparire prima degli altri competitors. In pratica si paga per “saltare” alcune posizioni. Tuttavia, per quanto si possa pagare, nulla equivale ad una scelta corretta di tag.
Comparire prima di altri nelle ricerche non basta!
Una volta posizionati in alto, c’è bisogno che la descrizione del nostro sito sia accattivante. Questa breve descrizione, posizionata subito al di sotto del link al sito, è chiamata “snippet”. Lo snippet è generalmente composto da un minimo di 110 fino ad un massimo di 160 caratteri.
Fare in modo che lo snippet del sito sia accattivante equivale ad avere maggiori chance di essere scelti nella ricerca. E questo è solo un esempio di come, nel contesto del mercato on-line, le logiche del marketing siano fondamentali per avere successo.
Quali siano gli effetti della digitalizzazione sulle nuove generazioni è argomento ancora da approfondire. Che gli artefatti digitali abbiano un potenziale immenso per quando riguarda il perfezionamento di alcuni attività cerebrali lo avevano già capito gli americani. Tanto che dagli anni ‘80 hanno iniziato un programma di addestramento fondato su quelli che sono sostanzialmente versioni “tecniche” dei videogames. Immaginate quindi l’importanza di una buona padronanza occhio-mano oggi. Un’epoca in cui un drone da guerra è pilotabile (ed effettivamente fanno proprio così) tramite il joypad, adeguatamente adattato, di una normalissima Playstation.
Effetti delle digitalizzazione sulle nuove generazioni: negativi o positivi? Photo credit: PepaLove by Pixabay
Gli effetti della digitalizzazione
Dato l’evidente potenziale in positivo dell’attività videoludica, vale la pensa spezzare una lancia a favore di chi, come i miei genitori, ancora ritiene che i videogiochi, il computer, il cellulare e quant’altro abbiano invece un effetto deleterio. In particolare sulle generazioni più giovani.
Da un lato, dopo aver studiato comunicazione, sia scritta che visiva, mi è parso evidente un fattore. Ovvero la brutalizzazione del linguaggio che stanno subendo, sia la lingua che la cultura visiva, dovuta ad un eccessivo indirizzamento da parte dei creatori di contenuti.
In altre parole coloro che si occupano di creare siti internet, social network, applicazioni, tenendo ovviamente di più al profitto personale che al benessere dei consumatori, progettano apparati sempre più intuitivi. In cui è l’architettura del sito o dell’App a guidare l’utente, di solito verso la sezione “acquisti”.
Attività videoludica: fa bene o male?
In questa maniera si mette in atto un processo Darwiniano. Per cui le capacità meno utili (come la lettura approfondita) tendono a sopperire. A favore delle capacità più adatte a sopravvivere (come riconoscere la funzione di un pulsante in base alla forma o al colore).
Non stupisce a questo punto che in Italia sia arrivata quasi al 30% della popolazione la percentuale di analfabati funzionali. Cioè quelle persone che sanno leggere ciò che gli viene posto di fronte ma che in realtà non riescono ad afferrarne il significato.
Pubblicità implicita ed emozionale
Altro fattore deleterio, sempre collegato a questo progressivo rendersi superficiale della comunicazione, è l’incapacità, da parte degli utenti, di riconoscere i messaggi impliciti. Veicolati da artefatti come le pubblicità.
Ovviamente gli studi di marketing e pubblicità ne sono consapevoli già da tempo e non esitano a farci leva, sempre per incrementare le entrate. Il sociologo Vance Packard, nel suo libro “I persuasori occulti”, fa una splendida analisi di come in America, a partire dagli anni ‘20, abbiano imparato a gestire aspetti consapevoli e inconsapevoli dell’atteggiamento dei consumatori. Calcando su quelli che si chiamano “bisogni latenti”.
La prossima volta che lo spot di un prodotto vi attira, cercate di fare caso a cosa l’azienda sta tentando di vendervi in realtà. Uno status sociale (Apple), un’emozione (Red bull), la bellezza (Chanel), l’eleganza (Armani)?
Utenti digitali: scambiare il medium per il messaggio
L’ultimo aspetto evidente, ma non ultimo per importanza, che condiziona l’atteggiamento degli utenti digitali è invece più Pavloviano. Ovvero più direttamente collegato ad aspetti fisiologici del cervello umano: scambiare il medium per il messaggio.
Questo significa che tendiamo a sviluppare un’affezione, in realtà immotivata, verso quegli strumenti che si fanno veicolo delle nostre gioie quotidiane.
Non vi è mai capitato di provare un insensato dispiacere al momento di sostituire il vecchio cellulare? Questo è perché il cervello umano, ancora abituato ad un mondo che segue le normali leggi di natura, si affezione a quel colore. Quella forma, che tante volte ci ha emozionato (il messaggio dalla persona che ci piace), ci ha fatto compagnia (la nostra musica preferita) o semplicemente ci ha tolti dai guai (chiamare mamma!).
Non sono meccanismi scontati, nè tantomeno meccaniche che si tende a portare alla luce del sole, perchè un utente inconsapevole è più facile da condizionare e da guidare all’acquisto. Perchè l’acquisto è la regola generale della nostra società.
E’ importante però prenderne consapevolezza, specialmente per i più giovani, che purtroppo sono il bersaglio preferito dalla maggior parte delle aziende di consumo.
E’ in programma Venerdì 8 ottobre alle ore 17.00 l’ottavo appuntamento dei GoDaddy Talks. Ospite dell’incontro è Arianna Ortelli, classe 1996, dal 2018 co-founder e CEO di Novis Games, azienda innovativa e ad impatto sociale che vuole rivoluzionare il mondo del gaming, rendendolo completamente accessibile a persone cieche ed ipovedenti.
Tutti i GoDaddy Talk sono gratuiti e fruibili dalla pagina Facebook di GoDaddy.
Cosa sono i GoDaddy Talks
IGoDaddy Talks sono una serie di interviste con i principali protagonisti dell’imprenditoria digitale italiana. Un modo per conoscere da vicino il modo di operare di una startup, o per capire meglio quali sono i fattori di successo di un imprenditore digitale. Sicuramente un’occasione per comprendere meglio questa rivoluzione digitale che sta cambiando per sempre il nostro modo di vivere e lavorare.
In particolare Arianna ci farà scoprire la sua azienda, Novis Games. Ci illustrerà la sua missione ed in che modo l’accessibilità può essere motore di innovazione. Infine ci aiuterà a capire come Novis Games utilizza la comunicazione online ed il suo sito web per rivolgersi agli utenti e qual è l’importanza di creare un team che abbia un obiettivo comune.
Conduce l’intervistata Veronica Benini (alias @Spora), imprenditrice digitale e consulente strategica di business e comunicazione, che insieme ad Arianna cercherà di raccontare un settore fondamentale dell’economia digitale, quello degli e-game.
Gli e-game, un business in continua crescita
Solo qualche numero per inquadrare meglio un settore che a qualcuno potrebbe sembrare “di nicchia”:
il numero più incredibile di tutti è quello raggiunto da Youtube Gaming: nel 2020 sono state viste 100 miliardi di ore di video dedicati ai videogame e agli esports;
sul sito di Euronics in occasione del Natale 2020 si è registrato un «picco» di 100.000 persone in fila per comprare la Playstation 5.
5 miliardi di dollari è la valutazione preliminare per la quotazione in borsa al Korea Exchange della società Krafton, produttore di PlayerUnknown’s Battlegrounds (meglio noto come PUBG).
62 miliardi sono le ore viste, nel trimestre aprile-giugno 2021 su Twitch (piattaforma regina degli eSports e regno degli streamer, un +31% rispetto al 2020).
L’appuntamento da non perdere, aperto a tutti e gratuito, è allora per Venerdì 8 ottobre alle ore 17.00 sulla pagina Facebook di GoDaddy!
Chi è GoDaddy
GoDaddy è uno dei fornitori di hosting, e domini, più famosi del mondo, nato nel 1999 da allora ha iniziato una inesorabile scalata nel mercato mondiale, offrendo servizi sia per gli hosting che per la fornitura di domini.
GoDaddy gestisce la piattaforma cloud più grande del mondo, con una particolare specializzazione verso le aziende indipendenti di piccole dimensioni. Oggi GoDaddy vanta oltre 20 milioni di clienti in tutto il mondo ed 80 milioni di nomi di dominio in gestione.
Negli ultimi anni si sta affermando il fenomeno di massa degli E-sport (electronic sports) o letteralmente sport elettronici. Per alcuni di voi questo connubio potrà sembrare azzardato. Mentre per un numero sempre più grande di persone ormai questa è una realtà consolidata e quasi ovvia.
Ormai da qualche anno, infatti, è sempre più comune vedere dei grandi tornei internazionali, con giocatori che arrivano da ogni parte del mondo e spettatori che riempiono palazzetti e intasano siti di streaming… per vedere i loro beniamini giocare. Giocare a cosa? Alla consolle! Parliamo infatti di sport elettronici, in cui spesso il beniamino non è neanche il giocatore, ma il personaggio digitale!
E-sport, un fenomeno “vecchio” esploso negli ultimi anni
Il fenomeno però non è una trovata recente, già nel 1980 la Atari organizzò uno dei primi tornei videoludici. Disputato sul videogioco iconico Space Invaders, vi parteciparono circa 10.000 persone, un numero incredibile per i tempi. Mentre i primi tornei che hanno fatto la loro comparsa sui canali tv sono arrivati intorno agli anni 90. Insieme alla nascita della Cyberathlete Professional League (CPL).
Oggi i tornei hanno montepremi elevati, molto spesso infatti la squadra vincente si porta a casa più di un milione di dollari! Addirittura, come nel caso di Dota 2, si arriva alla stratosferica somma di 20 milioni di montepremi! E non importa il gioco, ma la sfida. Esistono infatti tornei di Fifa, Nfl, Nba, ma anche di Call of Duty, Unreal Tournament, Overwatch… L’importante quindi è sfidarsi, il campo da gioco lo si può scegliere in seguito.
E-sport, un fenomeno in continua crescita: 2,96 miliardi di dollari entro il 2022. Photo credit: sik-life, by Pixabay
Gaming: un’industria da 2,96 miliardi di dollari entro il 2022
Da un rapporto di Deloitte Global, possiamo notare come l’indotto di questa industria sia passato dai 400 milioni del 2015 ai circa 600 del 2016 e secondo Goldman Sachs arriverà alla cifra di 2,96 miliardi entro il 2022. Una crescita che nel mercato tradizionale non si vedeva dai tempi dell’invenzione del motore a scoppio.
Ma non è solo un fenomeno economico, nel 2014 Rob Pardo, uno dei creatori di World Of Warcraft ha infatti proposto che gli E-sport fossero inseriti tra gli sport ufficiali dei giochi olimpici. Ipotesi presa in considerazione ufficialmente nel 2017 dal Comitato Olimpico internazionale. La decisione sarà presa dopo i giochi di Tokyo 2020. Se tutto andrà per il verso giusto vedremo i primi medagliati “digitali” già alle olimpiadi di Parigi 2024?
Qualsiasi videogioco è un E-sport?
Non proprio, solitamente i giochi che rientrano in questa categoria sono giochi multiplayer, coma gli FPS, i MOBA o gli RTS in cui i giocatori si affrontano in squadre o in sfide 1 contro 1. Anche se esistono delle categorie competitive per i giochi single player, che per altro sono state le prime a nascere. La classifica che compariva alla fine delle partite di Pac Man vi ricorda nulla?
La cosa che accomuna tutte queste tipologie di giochi è la possibilità di fare partite in squadra. Mentre le abilità che devono avere i giocatori sono diverse, in relazione al tipo di gioco e di ruolo scelto. Anche se la coordinazione occhio-mano, il problem solving ed il sincronismo con altri giocatori della propria squadra sono capacità comuni a tutti i videogiocatori di un certo livello.
Il campione di E-sport è considerato alla stregua del campione reale
L’Esport è diventato per molte persone un vero e proprio lavoro. Non solo i giocatori professionisti ormai hanno dei veri e propri team che lavorano per loro, ma attorno alle squadre più grandi e famose ruota un ecosistema di sponsor e tifo. Dando così la possibilità a molte persone di trasformare la loro passione in una professione. Negli USA ai giovani più talentuosi viene addirittura data la possibilità di accedere a borse di studio specifiche.
Abbiamo capito quindi che il mondo delle competizioni digitali è molto vasto, specifico e dettagliato. Una serie di microcosmi che, come abbiamo visto, non sono poi tanto “micro”.
Nei prossimi articoli avremo modo di affrontarne alcuni nel dettaglio e capire perchè il gaming sta riscuotendo sempre più successo e perchè alcune capacità che permette di sviluppare si riveleranno sempre più utili, dal campo ingegneristico a quello medico.
Glossario: FPS: First Person Shooter MOBA: Multiplayer Online Battle Arena RTS: Real Time Strategy