Home Blog Pagina 9

BookTok: i consigli social che fanno leggere

Un fenomeno social nato a Marzo del 2020, che porta gli utenti a scambiarsi opinioni, suggerimenti e cercare recensioni dei libri. Un piccolo mondo social dedicato alla lettura e ai libri, più precisamente un hashtag che su TikTok raccoglie tutti i contenuti legati alla letteratura.

Si tratta di un fatto molto importante, dato che ha avuto un notevole impatto sull’intero settore dell’editoria. Ha, infatti, cambiato l’approccio e le modalità di lettura delle generazioni di oggi che si stavano allontanando dal piacere della lettura.

Cos’è e come funziona

BookTok nasce nel periodo pandemico come un hashtag attraverso cui condividere tutti i contenuti del mondo dei libri. In un momento di difficoltà che obbligava tutti a trascorrere molto tempo in casa, le persone hanno creato una community con cui condividere la stessa passione per i libri.

Oggi diventato un hashtag da oltre 120 miliardi di visualizzazioni in tutto il mondo, non smette di far impazzire gli utenti, infatti, questo fenomeno anche dopo la pandemia ha continuato a coinvolgere molte persone, anche al di fuori di TikTok.

Per capire come funziona e testarlo, basta andare su Tiktok e  creare o fruire dei contenuti segnalati dall’ hashtag #booktok, per poi parlare di libri.

Il grande successo

Come anticipato, questo fenomeno ha riscosso un notevole successo tanto da riuscire ad avere un impatto sull’editoria, portando le nuove generazioni alla riscoperta della lettura.

Inoltre, ha avuto un grande effetto anche sulla riscoperta di alcuni titoli, grazie agli influencer che su TikTok condividono pareri e consigli sui libri, portando così un reale impatto sul mercato del settore, tanto da etichettare positivamente tutti quei libri che hanno ottenuto un posto di merito nella community.

I contenuti possono contenere la recensione di un libro ad esempio attraverso un breve video, oppure gli utenti si lanciano delle vere sfide di lettura, per vedere chi riesce a leggerli più in fretta.

Un libro diventato virale grazie a questa community è il romanzo di Madeline Miller,”La canzone di Achille”, uscito nel 2013 e diventato famoso con una vendita di copie in Italia di mezzo milione.

I Booktoker

Il fenomeno di BookTok ha portato anche alla nascita di un nuovo tipo di mestiere. Si tratta dei creator specializzati in consigli sui libri. Molti di loro sono dei veri e propri influencer del libro, infatti, nelle librerie è possibile trovare dei libri in delle sezioni apposite dedicate a quei romanzi che hanno scalato le classifiche social.

ChatGpt mi ha già rubato il lavoro

Sul Corriere della Sera c’è un interessante articolo in cui si raccontano le “prime storie” di lavori rubati da un’intelligenza artificiale.
Secondo un “paper” molto autorevole firmato, tra gli altri, da Pamela Mishkin di OpenAI (il produttore di ChatGPT) metà dei 158 milioni di occupati americani rischia di perdere il posto o di dover competere al ribasso sul proprio salario a causa appunto dell’Intelligenza Artificiale.

I casi sono i più svariati. Si va dalla copywriter che lavora a Londra a cui è stato tolto il lavoro a causa di ChatGPT che scrive i testi al posto suo, passando all’informatico che lavora per una multinazionale che fa “programmare” software automatizzati al posto delle persone, arrivando a una curiosa situazione in cui un lettore dice di voler rivolgersi alla IA al posto dello psicanalista perché in effetti “il computer non è empatico, non ha sentimenti, non capisce quello che scrive, ma è in grado di replicare perfettamente la conoscenza relativa ai meccanismi dell’inconscio, se ben addestrato. È puro addestramento, ma di una qualità ad oggi inaudita”.

Tutte cose che fanno molto riflettere e che ci mettono di fronte a diverse domande, domande che abbiamo sempre trovato solo nei libri di fantascienza.
Siamo sicuri che la copy fosse abbastanza brava per la cliente che l’ha mollata? Sarebbe anche possibile supporre che, se gli stessi risultati li si raggiunge con una IA, allora il problema non è la IA.

Oppure, visto il grande numero di persone che fanno “gli analisti”, è possibile pensare che una macchina li superi in qualità delle diagnosi proprio grazie al fatto di avere una immensa mole di dati sui cui lavorare?

O, di nuovo: programmare software è qualcosa che si piazza tra la preparazione, l’aggiornamento e la tecnica e l’intuito. Non è possibile che una macchina ben addestrata sia in grado di amalgamare questi tre ingredienti meglio di un programmatore, se lo stesso è un mediocre programmatore?

Non so cosa pensare ma credo che le IA saranno in grado di sostituire solo chi non è in grado di evolvere o che ha preso una strada, diciamo, non consona alle proprie caratteristiche.
E questi si, molto probabilmente si dovranno reinventare, trovare le proprie attitudini vere o fare qualcosa che le IA non possono fare. Come la pizza.

Tu cosa ne pensi? Stiamo bonificando il mercato dalla mediocrità o stiamo sostituendo bravi professionisti con macchine solo perché costano meno?

B2B in piena trasformazione

Un ordine su cinque è scambiato con strumenti digitali. Questa è la fotografia del Politecnico di Milano. É interessante vedere come l’incidenza dell’ecommerce B2B sul totale transato B2B stia aumentando negli anni. Vedere infatti un segno positivo di crescita, anno su anno, è il dato che ci interessa.

“Ci interessa ma non ci soddisfa”, ha detto qualche giorno fa Paola Olivares, Direttrice Osservatorio B2B, durante un evento del Consorzio Netcomm. Già perchè il valore del 21% (vedi immagine) è ancora un po’ bassino se vogliamo arrivare a una diffusione e un utilizzo del digitale nelle nostre aziende.

Come far crescere il B2B italiano? Purtroppo siamo sempre lì: occorre investire in digitale. E per farlo servono competenze, capire che bisogna creare una infrastruttura tecnologia e adottare un approccio collaborativo con il cliente. Sempre secondo il Politecnico, solo il 9% delle imprese italiane si è mossa pienamente secondo queste direttrici.

Formazione e consulenza sono le aree d’investimento maggiori nei prossimi mesi, in linea con uno sviluppo organizzativo per il digitale dove prevale l’uso di personale interno da formare. Ma gli investimenti attesi toccano tutti i principali ambiti del B2B Digital Commerce, quali marketing e contenuti, sito e-commerce B2B e applicazioni, logistica e sistemi di pagamento.

Contenuti che contengono storie

Fare una storia su TikTok, Snapchat o Instagram o creare un video su YouTube sono la stessa cosa. Ed è la stessa cosa che scrivere un post su Linkedin, o un breve messaggio su Twitter o un articolo su blog o un contenuto via newsletter. Sono SOLO forme diverse di uno stesso contenuto. E hanno tutte in comune un elemento chiave. Sono contenuti che contengono storie.

Sono schegge di potenza di quello che vogliamo comunicare.

Oscar Wilde afferma che “Forma e contenuto non possono essere distinte in un’opera d’arte, sono una cosa sola.”

Il contenuto arriva sempre prima della forma.

“Prenditi tutto il tempo che ti serve”, ripeto sempre nella mia academy, è un mantra che accompagna ogni nostra esercitazione è quella parte “lenta” che rende poi tutto il resto “veloce.”

Provaci anche tu, dedica tutto il tempo che ti serve per esplorare il contenuto e porta attenzione su cosa vuoi comunicare, entra nella sostanza del tuo messaggio senza pensare ancora a dove e come lo vorrai veicolare.

C’è troppa urgenza e fretta in questo passaggio, spinti dalla foga di pubblicarlo e di godere delle prime interazioni che arrivano.

Arriveranno solo dopo e, saranno tante e il nostro contenuto diventerà virale, se e solo se, abbiamo curato bene la creazione del nostro contenuto.

Poi possiamo decidere se sarà un post su questo o quel social, un messaggio da podcast, un video su Tiktok o tema per un workshop o altro ancora.

Il tempo è il nostro miglior alleato, prendiamocelo.

La curiosità ci salverà dall’algoritmo? Dipende da quanto sei curioso…

La parola curiosità deriva dal latino “curiositas”, con il significato di “prendersi cura di” o “occuparsi di”. Il significato si è evoluto nel corso del tempo ed ha subito diverse influenze culturali e sociali. Oggi, la curiosità è considerata un motore per lo sviluppo personale. Essere curiosi può aiutare a superare sfide, affrontare nuove situazioni con una mente aperta, portare ad una maggiore creatività.

E’ una scintilla che accende la passione per l’apprendimento e spinge a mettere in discussione ciò che sappiamo, ad avventurarci in territori disparati, a lasciare la nostra comfort zone. Nel mondo del lavoro, può portare ad acquisire nuove competenze, a diventare più competitivi, a generare soluzioni innovative. La storia è piena di prodotti nati grazie alla “curiosità”!

Per millenni l’essere curioso ha contribuito allo sviluppo del genere umano, oggi tale caratteristica sembra essere insidiata e sostituibile con algoritmi ed intelligenza artificiale (AI).

Se le AI permettono di generare contenuti, report, preventivi, favole, musica, righe di codice o immagini, partendo da istruzioni date in linguaggio naturale, cosa ne sarà della curiosità? Avrà ancora senso essere curiosi? Come, quando, quanto e perchè la curiosità potrà ancora influenzare il nostro successo personale e professionale?

Il libro, che abbiamo il piacere di editare e presentare, esplora attraverso l’esperienza diretta di 25 professionisti e manager in diversi ambiti, dalla scienza alla comunicazione e al marketing, dal digitale alla formazione, dalla creatività all’impresa e al lavoro, come la curiosità può influenzare la nostra vita.

L’editore e gli autori hanno scelto di donare l’utile di questo lavoro a “Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro ETS”. Per ogni copia venduta saranno donati 5,00 € per la ricerca.

Autori: Alessandro Angelelli, Daniele Rimini, Bruna Corradetti, Daniele Mancini, Annunziata Di Lecce, Massimo Giordani, Giulia Bezzi, Paul K. Fasciano, Katia Bovani, Sergio Bellucci, William Nonnis, Alessio Alessandrini, Luca Bozzato, Roberta Zantedeschi, Antonella Brogi, Cristiana Caserta, Monia Ciocioni, Davide Giansoldati, Danilo Spanu, Daniele Mancini, Alberto Pasquini, Vito Verrastro, Luca Alberigo, Roberto Borgia, Maurizio Primanni, Roberto Mancini.

Eistono lavori con caratteristiche umane irripetibili dalle macchine?

Di questi tempi, tra intelligenze artificiali e super computer, si parla sempre più di lavori che scompariranno e di mestieri che rimarranno, considerando anche l’adagio “il 65% degli studenti di oggi farà un lavoro che oggi non esiste”. A questi lavori, con caratteristiche umane irripetibili dalle macchine, devono corrispondere 4 “caratteristiche chiave” dell’intelletto umano.

1- Pensiero critico. Incluso problem solving, giudizio e capacità di formulare domande appropriate visto che in un modo fatto di IA aumenta il valore delle domande mentre diminuisce quello delle risposte.

2- Creatività. Incluse intraprendenza, nuove idee, innovazione e curiosità.

3- Comunicazione. Inclusa empatia, persuasione, capacità di storytelling, influenza sociale, leadership e visione.

4- Collaborazione. Incluso lavoro di squadra, network building e fiducia.

Infine, anche la destrezza sarebbe un’abilità difficile da replicare in molti lavori visto che Treccani la definisce come qualità dell’ingegno, accortezza, avvedutezza nel districare situazioni difficili e nel superare le difficoltà che si frappongono al raggiungimento di uno scopo.

Non tutti possiamo avere TUTTE queste caratteristiche, questo è ovvio, ma dobbiamo iniziare a pensare che se non ne abbiamo NESSUNA il nostro futuro è seriamente a rischio.

I brand cercano l’immortalità

Si, i brand cercano l’immortalità (e usano tutti i sensi per trovarla, perché ogni lasciata è persa). Alcuni lo chiamano sound branding, altri audiologo, altri ancora logo sonoro o marchio sonoro ma il concetto è lo stesso. Il 𝗯𝗿𝗮𝗻𝗱 𝘀𝗼𝘂𝗻𝗱 è uno degli elementi che costituisce la 𝗯𝗿𝗮𝗻𝗱 𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝘆 in base alla 𝗽𝗿𝗮𝘀𝘀𝗶 𝗱𝗶 𝗿𝗶𝗳𝗲𝗿𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗨𝗡𝗜/𝗣𝗱𝗥 𝟭𝟭𝟭:𝟮𝟬𝟮𝟮 sulla gestione e la progettazione della marca introdotta per la prima volta a luglio 2022.

In realtà, noi, lo ben sappiamo da molto, molto prima.

Non vi ricordate?

  • Quale cinefilo, al 𝘀𝘂𝗼𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗿𝘂𝗹𝗹𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝟮𝟬𝘁𝗵 𝗖𝗲𝗻𝘁𝘂𝗿𝘆 𝗙𝗼𝘅 (buonanima), non sospirava in trepidante attesa che iniziasse il film che tanto aspettava?
  • Il 𝗹𝗼𝗴𝗼 𝗨𝗻𝗶𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮𝗹 𝗰𝗵𝗲 𝗴𝗶𝗿𝗮 𝗮𝘁𝘁𝗼𝗿𝗻𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗧𝗲𝗿𝗿𝗮, che suono fa?
  • E il famoso “𝘀𝗱𝗲𝗻𝗴” 𝗱𝗲𝗹 𝗠𝗮𝗰𝗶𝗻𝘁𝗼𝘀𝗵 quando si accende?
  • Lo 𝘀𝘁𝗿𝗼𝗺𝗯𝗮𝘇𝘇𝗮𝗿𝗲 𝗮𝗹𝗹’𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗧𝗚𝟭?
  • Chi si ricorda il 𝘀𝘂𝗼𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗳𝗲𝗿𝗮 𝗱𝗶 𝗣𝗮𝗰-𝗠𝗮𝗻 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗿𝗼𝘁𝗼𝗹𝗮𝘃𝗮 nei labirinti?
  • Sapevate che 𝗚𝗿𝗼𝘂𝗻𝗱 𝗧𝗵𝗲𝗺𝗲 𝗲̀ 𝗶𝗹 𝗻𝗼𝗺𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗲𝗹𝗲𝗯𝗿𝗲 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮 𝗻𝗲𝗹𝗹’𝗶𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗱𝗶 𝗦𝘂𝗽𝗲𝗿 𝗠𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗕𝗿𝗼𝘀?

Tutti questi suoni 𝗵𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗿𝗲𝘀𝗼 𝗰𝗲𝗹𝗲𝗯𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗼 𝗯𝗿𝗮𝗻𝗱, negli anni, al punto da renderlo unico, inconfondibile.

Memorabile.

Già, perché 𝗮 𝗿𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗻 𝗯𝗿𝗮𝗻𝗱 𝗶𝗺𝗺𝗼𝗿𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗲̀ 𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝗰𝗮𝗽𝗮𝗰𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗿𝗲𝘀𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗺𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗺𝗲𝗺𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝘂𝘁𝗲𝗻𝘁𝗶, non importa se siano anche clienti oppure no. Perché fare branding non è mai vendere.

È la ricerca dell’immortalità. E quella, al di là delle mere scorciatoie che bramate così tanto, passa necessariamente da quel muscolo che abbiamo tutti in mezzo al petto.

 Conosci la tecnica dei 6 cappelli?

Sei cappelli per pensare è uno STRUMENTO DI ANALISI tratto dall’omonimo libro del suo creatore, Edward de Bono (1985).
È particolarmente utile per valutare idee innovative e provocatorie, partendo da un semplice concetto: la maggior parte del nostro pensiero lavora attraverso la contraddizione. 🤨
Usarlo per i brainstorming in azienda aiuta tantissimo per l’analisi interna, base di qualsiasi altra analisi, anche quelle statistiche.
📌Come funziona?
Tu hai proposto un’idea e io la critico per testarne la forza. Il problema è che il pensiero contraddittorio in sede di lavoro può diventare radicato e politicizzato, oppure può essere difficile per alcune persone criticare le idee o le proposte degli altri. 😝

La tecnica dei “sei cappelli per pensare” supera queste difficoltà costringendo tutti a pensare in parallelo: ad ogni turno tutti indossano un cappello dello stesso colore, e bisogna esprimersi in base a ciò che quel colore comanda:
1️⃣ Il cappello bianco è il cappello delle informazioni, e in questo turno si possono chiedere ulteriori dati che possano aiutare ad analizzare la proposta. Non si fanno giudizi, è solo un passaggio di informazioni. 🤍
2️⃣ Il cappello rosso rappresenta le emozioni. Ognuno deve condividere la propria reazione emotiva alla proposta e poi ne indicano il motivo. ❤️
3️⃣ Il cappello giallo è il cappello dell’ottimismo: ognuno deve esprimere cosa pensa ci sia di buono nella proposta. Anche se l’idea non ci entusiasma, in questo turno dobbiamo sforzarci di trovare delle qualità redentrici e punti positivi a riguardo. 💛
4️⃣ Il cappello nero è il cappello del pessimismo: è il momento di trovare un difetto alla proposta. Anche se è stata una tua idea e ne sei molto orgoglioso, sforzati di sottolineare alcuni inconvenienti o svantaggi. 🖤
5️⃣ Il cappello verde è il cappello della crescita e delle possibilità. In questo turno si suggeriscono modi in cui l’idea potrebbe essere adattata o migliorata per renderla più efficiente. 💚
6️⃣ Il cappello blu è il cappello della verifica. Quando lo indossi, discuti se il processo che hai individuato funziona correttamente. 💙

In generale, trascorrerai relativamente poco tempo con il cappello blu, un po’ di più con quello bianco e quello rosso, e la maggior parte del tempo con i cappelli giallo, nero e verde.
Puoi andare avanti e indietro da un cappello all’altro, ma la regola fondamentale è che tutti devono indossare lo stesso colore di cappello contemporaneamente.
Sarebbe bene avere un moderatore che segnali con un cartellino colorato quale cappello è in uso e che si assicuri che nel turno, ad esempio, del cappello giallo, nessuno usi il pensiero del cappello nero.

All’interno di un approccio di Marketing Scientifico, questa tecnica di analisi è utile per capire le vari percezioni interne all’azienda stessa.
Prova, sperimenta, mettiti alla prova e trova soluzioni. La tua azienda ti ringrazierà, e tu ringrazierai te stesso.

Che differenza c’è tra essere un’azienda ed essere un brand?

Facciamola semplice, per comodità. 𝗟’𝗮𝘇𝗶𝗲𝗻𝗱𝗮 𝗲̀ 𝗹’𝗶𝗻𝗳𝗿𝗮𝘀𝘁𝗿𝘂𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮 che, attraverso le risorse a propria disposizione (umane e tecnologiche) produce il prodotto o il servizio in grado di soddisfare il bisogno del cliente/consumatore. 𝗜𝗹 𝗯𝗿𝗮𝗻𝗱 𝗲̀ 𝗹’𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲 𝗱𝗶 𝘀𝗲𝗻𝘀𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, impressioni e idee attorno ad essa da parte degli utenti che deriva dal grado di soddisfazione, reale o percepito, di quel bisogno.

𝗨𝗻𝗮 𝗽𝗿𝗼𝗺𝗲𝘀𝘀𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗲𝘁𝗲𝗿𝗺𝗶𝗻𝗮 𝗿𝗲𝗽𝘂𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲, 𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗮̀, 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶𝘁𝗮̀, 𝘃𝗮𝗹𝗼𝗿𝗶 𝗲, 𝗼𝘃𝘃𝗶𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲, 𝗹’𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗲 ovvero la sua rappresentazione visiva e identificativa.

I prodotti possono terminare, possono evolversi e persino cambiare totalmente, così come i servizi. Il brand no.

Riprendendo ciò che scrive Kotler, il brand è: ❝𝘭𝘢 𝘳𝘪𝘴𝘰𝘳𝘴𝘢 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘥𝘶𝘳𝘦𝘷𝘰𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘪𝘮𝘱𝘳𝘦𝘴𝘢, 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘪𝘷𝘦 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘢 𝘭𝘶𝘯𝘨𝘰 𝘥𝘦𝘪 𝘴𝘪𝘯𝘨𝘰𝘭𝘪 𝘱𝘳𝘰𝘥𝘰𝘵𝘵𝘪 𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘴𝘵𝘳𝘶𝘵𝘵𝘶𝘳𝘦❞.

È affascinante pensare che, nonostante sia un bene impalpabile, 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗮 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗺𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼𝗿𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗶 𝗰𝗮𝘀𝗶 𝗶𝗹 𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗹 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗲 𝗽𝗿𝗲𝗳𝗲𝗿𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘂𝗻 𝘀𝗲𝗿𝘃𝗶𝘇𝗶𝗼 𝗮𝗹𝗹’𝗮𝗹𝘁𝗿𝗼. Compriamo A perché conosciamo A e ci fidiamo di più rispetto a B e C, o per esperienza diretta oppure indiretta (la percezione, la riprova sociale).

Ora, come si applicano questi concetti al personal brand? Si può essere un bravo professionista e non essere un personal brand?

Eccome se si può. E fa tutta la differenza del mondo.

Videogame o serie TV?

Quelle che vedi in questa immagine sono serie TV. O forse no? Il cinema (anche se mi fa strano chiamare cinema le varie Netflix o Amazon Prime Video) ha bisogno di idee innovative, di nuova linfa per appiccicare le persone allo schermo, di benzina per il proprio business dell’intrattenimento: dal cinema sono sempre uscite le migliori menti creative.

Certo, spesso si sono presi spunti dai libri, per fare i film, ma è stato il cinema a dare vita al più grande immaginario collettivo del secolo scorso, più di tutti i libri, per portata e per numero di persone raggiunte.

E oggi?

Oggi non è più così. Il cinema come lo conosciamo è finito perché non è più polarizzante come un tempo e, soprattutto, perché ci sono tantissime altre forme d’intrattenimento disponibili e, tra queste, alcune attraggono e polarizzano più persone di tutti gli altri media, ovvero i videogame che superano per fatturato musica e cinema messi assieme.

Nella foto di questo articolo vedete delle immagini riprese da Halo, “Assassin’s Creed”, “The Witcher” e “The Last of Us” ma non sono di certo gli unici videogame che sono diventati (o diventeranno) serie tv.

Da Sony (non dimentichiamo che Sony è anche una casa di produzione cinematografica) sono state annunciate opere basate su Horizon, God of War e Gran Turismo ma non solo, visto che Netflix ha puntato su un altro franchise videoludico, Resident Evil, mentre la saga “atom-punk” di Fallout è nel mirino di Amazon.

Per non parlare di film che sono stati i precursori della fusione videogame/cinema, primo tra tutti il “Tomb Rider” con una magnifica Angiolina Jolie ad interpretare la mitica Lara Croft.

Due considerazioni al volo: la prima è che le aziende che producono film, a corto d’idee, si sono convinte a prendere le idee dove nascono e nessun mondo oggi è più creativo di quello dei videogame.

La seconda considerazione è più profonda: avendo eserciti di fan sfegatati per i videogiochi, le case di produzione SANNO che le serie e i film verranno visti proprio da questi fan, assicurandosi il pubblico in una sorta di follow up assicurato e, al tempo stesso, sanno di poter avvicinare una parte di pubblico al videogame dopo avere visto la serie.

Una bella e furba manovra che dimostra quello che amo dire spesso: se vuoi davvero vedere il futuro, prendi in mano un joypad.