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La crisi come transizione

Io penso che noi stiamo realmente entrando in una fase di “transizione”. Per spiegarlo proverò ad esporre la differenza tra alcune fasi della storia che si sono succedute e sono diverse. E come si possono approcciare le soluzioni alle problematiche che emergono in queste fasi. Probabilmente nel corso di questo secolo vivremo una fase mai vissuta prima. Quella che viene indicata come “singolarità”. Un momento in cui l’intelligenza non biologica (artificiale) potrebbe contendere la direzione dei processi all’intelligenza biologica. L’emersione di una nuova formazione economico sociale e nuovi rapporti di produzione.

Al Digital Day del 6 dicembre 2018, invitato da Moondo, Sergio Bellucci ha affrontato i temi della crisi e cercato di tratteggiare i contorni di una nuova formazione economico sociale. Questo il suo intervento.

Mondo digitale

La crisi del 2008 fino ad oggi, è una crisi congiunturale o sistemica?

Partiamo da una considerazione, il giudizio sulla crisi che stiamo vivendo dal 2008 in poi. Quasi tutti i politici, gli economisti, i dirigenti di impresa, gli studiosi, stanno vivendo la crisi che si è aperta dal 2008 come una qualunque altra crisi vissuta negli ultimi 100-150 anni. Cioè come un momento in cui il sistema si impalla. Deve trovare nuovi equilibri, ma troverà un equilibrio all’interno dello schema che è stato in piedi fino ad oggi.

L’unica cosa che possiamo fare è trovare il modo per sistemare al meglio le cose che abbiamo di fronte. Ecco io credo che noi siamo di fronte ad un’altra situazione. Totalmente diversa dalle precedenti e  che pertanto presuppone uno schema nuovo per trovarne la soluzione.

I cicli storici

I cicli storici li possiamo definire con delle curve di Gauss (schematizzate in figura). La prima curva ABC è sostanzialmente una rappresentazione di come un sistema complesso, come l’attività umana, in qualche modo evolve.

C’è una fase in cui una formazione economico sociale (cioè una forma con la quale si estrae il valore dalle attività umane) diventa centrale, più importante e preponderante della precedente. E quindi produce l’egemonia sulla forma della società, tanto a livello istituzionale che a livello culturale. E necessariamente nel fare questo produce a un certo punto le dinamiche che portano al suo superamento.

Curva di Gauss e cicli storici
Curva di Gauss e cicli storici
Il ciclo classico

Questo è il ciclo “classico” in cui vi è un primo ciclo che sviluppa A, B e C e mentre B è ancora in piedi, dinamico, forte e potente c’è un ciclo A nuovo, che sta emergendo, che è molto più potente della fase precedente anche se ancora sotto B, che opera ancora dentro le leggi, dentro gli schemi della società B, fino a che questa fase si rompe.

La storia è dunque fatta di due fasi. La fase in cui c’è il periodo B, e cioè il periodo nel quale una formazione economica e sociale è diventata egemone ed in qualche modo ha definito i rapporti di produzione. Costruisce i suoi schemi sociali ed anche culturali, ed il momento in cui vi è un A che si avvicina come forza. Fino a quando supera B e si produce una fase di transizione che porta ad una rottura.

Questa fase l’ultima volta che l’abbiamo vissuta è avvenuta tra tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 in Europa. Se prendiamo lo schema precedente, avevamo una fase B,  che era la società aristocratica fondata sui latifondi e sui regimi totalitari. Insidiata dal proprio interno dalla forza della produzione industriale e della borghesia che avanza dentro questo schema. Fintanto che la potenza e la voglia di libertà, di imporre i propri schemi della borghesia industriale, entra in conflitto con gli assetti dei poteri esistenti.

E che cosa succede? La rivoluzione del 1789: emerge un ordine politico, economico e sociale nuovo.

Tutto ciò produce nel giro di 40-50 anni delle rotture gigantesche: c’è una prima grande risposta a quella rottura. Per esempio il Congresso di Vienna, ovvero il tentativo delle società precedenti di rimettere sotto controllo quella dinamica che è sfuggita alle regole della storia precedente. Si fa un bel patto, si ricostruiscono gli equilibri, ma vent’anni dopo scoppiano le rivoluzioni in tutta Europa! Da quel momento in poi saltano tutti i regimi, si impone la società parlamentare democratica, le istituzioni democratiche. Si impone l’egemonia della produzione capitalistica, si impongono le regole del mercato come regole della convivenza civile, cioè si impone la costruzione della società nella quale viviamo noi oggi.

Cosa succede quando emerge una nuova fase A?

Il ciclo A B e C può essere sintetizzato in questo modo. Cosa accade quando emerge una A? C’è un accumulo di conoscenze e tecnologie nuove (nel caso d’esame era il vapore e la possibilità di utilizzare il vapore per costruire fabbriche che automatizzavano pezzi del ciclo produttivo artigianale).

Ci sono sviluppi di capacità di entrare in contatto con le esperienze. Cioè è più facile entrare in contatto con le cose che stanno accadendo da altre parti, aumenta la capacità produttiva sia in termini di merci che di valore. Aumenta la possibilità dello scambio sia di merci che di valore. Nuovi soggetti sociali sono impegnati in produzione di valore nuovo (a quel tempo fabbriche e quindi capitalisti ed operai).

Ci sono battaglie per nuovi diritti che si rendono necessari in questi nuovi ambienti che prima non esistevano. È chiaro che il conflitto dentro la fabbrica prima della fabbrica non esisteva. Nasce la fabbrica, nascono i conflitti all’interno della fabbrica perché i rapporti di produzione che si stanno producendo impongono delle nuove forme di conflitto. Ad un certo punto si arriva all’incompatibilità con le vecchie strutture di potere e si arriva alla rottura rivoluzionaria.

La forma di estrazione del valore

Durante la fase B le cose sono molto più semplici, perché la fase A ha prodotto la propria egemonia, si consolidano le forme di produzione e di scambio che quella fase ha prodotto. Iniziano le fasi di assestamento del ciclo, anche attraverso crisi drammatiche (basta pensare alla crisi del ’29, che porterà addirittura ad una nuova guerra mondiale). Ma si tratta di crisi diverse dalle cicli sistemiche, perché durante una crisi congiunturale i rapporti tra le classi non cambiano: la forma di estrazione del valore che è in atto rimane immutata.

La fabbrica rimane fabbrica, il padrone della fabbrica rimane padrone della fabbrica, l’operaio rimane operaio. La crisi può essere devastante può distruggere quasi tutto, apparentemente, ma l’assetto classista rimane immutato.

Il senso della vita

Ovviamente durante la gestione di un ciclo si produce la capacità egemonica, culturale, si produce il “senso della vita” di quel ciclo che gli umani che vivono percepiscono come “naturale”. Ma che naturale non è, come nessuna percezione della vita, è quella legata a quel ciclo produttivo. Durante quella fase specifica, che viene vissuta dalle persone come la naturalità delle relazioni umane e dei rapporti tra le classi.

All’interno di questa cosa però cominciano ad emergere le nuove forme di estrazione del valore, e di queste forme dobbiamo parlare oggi.

E’ chiaro che quando iniziano le nuove forme di estrazione del valore comincia la fase discendente dell’egemonia della vecchia formazione economico sociale.

Perché non solo quella formazione ha estratto il massimo di quello che poteva estrarre dalla sua forma, dalla sua applicabilità sul terreno, ma anche perché in quel modo è il sistema stesso che tende a collassare, al proprio interno cominciano ad emergere delle strutture di produzione del valore di nuova generazione.

L’avvento della società digitale

Vi faccio una sintesi brevissima di quello che potrebbe essere un’analisi della crisi sistemica che stiamo vivendo. La curva 1 è la curva della società agricola-aristocratica. La curva 2 è la società industriale-borghese. L, la curva 3 è l’inizio della società digitale.

le crisi sistemiche e l'avvento della società digitale
Le crisi sistemiche e l’avvento della società digitale

C’è una data, il 2006, che segna uno spartiacque. La data in cui viene raggiunto il “passaggio di non comprensione”, si passa cioè dai trilioni di dati ai quintilioni. E l’uomo non riesce più  a comprendere la “grandezza” con cui si trova ad operare. Si tratta di una rottura storica che si produce nella storia dell’umanità.

Per capirci, Eric Schmidt (ex- CEO Google) scrive nel suo ultimo saggio che dall’inizio della storia dell’uomo (circa 10.000 a.c) al 2003 l’uomo ha prodotto 5 exabyte di dati… cioè 5×1018 (l’equivalente di 5 milioni di terabyte di informazioni). Oggi produciamo 5 exabyte di dati in… 2 giorni!

Ogni due giorni produciamo tanta informazione quanta quella prodotta dal 10.000 a.c. ad oggi. Ci sono tante fotografie di gattini dentro questi exabyte, non è tutta conoscenza. Ma ci sono anche una quantità di informazioni potentissime e di conoscenza che viene accumulata con una velocità gigantesca. Al punto che alcune grandi aziende del mondo stanno sostituendo i loro centri di Ricerca e Sviluppo con analisti del Web, che devono andare a ricercare le notizie dove stanno. Perché tanto quello che loro vorrebbero ricercare qualcuno, da qualche parte, l’ha già fatto, lo sta facendo o vorrebbe iniziare a farlo, ed allora basta comprarlo, ad una cifra molto più bassa. Siamo di fronte ad una crisi sistemica.

Quali sono le transizioni che si stanno determinando dalla crisi sistemica causata dall‘economia digitale? Vediamo in rapida rassegna tutti i principali tipi di transizione.

TRANSIZIONE ECONOMICA

  1. A livello economico ovviamente l’autonomia della moneta della moneta. La generazione e regolazione della circolazione delle monete è una cosa che è uscita fuori dagli schemi che erano previsti all’interno della democrazia liberale. Perché in realtà la democrazia liberale si basava sulla divisione di tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Mentre ad un certo punto si è autorizzata la produzione di moneta e si è esternalizzata dalle funzioni della democrazia. Ma il regolamento ed il funzionamento della moneta è il fulcro  dell‘economia capitalistica. Se togliamo alla democrazia liberale la possibilità di legiferare e di regolamentare la moneta. Praticamente eliminiamo la potenza dei tre poteri che formalmente sono stati codificati dentro le costituzioni democratiche e, quindi, di fatto facciamo implodere l’intero sistema.
  2. A ciò aggiungiamo che siamo passati da un sistema di produzione capitalistico D-M-D (denaro-merce-denaro), ad uno D-D-D (denaro che produce denaro per mezzo di denaro), che connota un’economia tipicamente finanziaria. Cioè abbiamo preso un pezzo delle attività umane e le abbiamo tolte da tutti i processi decisionali collettivi, con un’autonomizzazione totale delle regole.
  3. La nascita del ciclo immateriale che il digitale ha prodotto: alla fine del ciclo (della transizione produttiva: dalla materia prima al consumo) il pezzo finale è maggiore della materia prima, quindi non c’è distruzione e c’è un‘antagonismo addirittura sul tema della proprietà, perché se io metto un vincolo su questo ciclo impedisco al ciclo immateriale di produrre tutto quello che potrebbe produrre.
  4. Il superamento della centralità del lavoro: passando dal taylorismo fordista al taylorismo digitale, al lavoro implicito (lavoro che ognuno di noi fa in maniera inconsapevole per le piattaforme digitali globali e produce valore attraverso un tempo di vita completamente diverso e sussunto dal capitale digitale) ed al lavoro operoso.

TRANSIZIONE TECNOLOGICA

  1. Non stiamo calcolando l’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sulla dimensione delle professione e sulla quantità di lavoro umano necessario per produrre le merci da qui a poco.
  2. Il fatto che stiamo andando verso l’estrazione di valore dalle forme relazionali che ha portato ad essere oggi le prime 10 aziende capitalizzate nel mondo aziende che estraggono valore dal lavoro implicito. Se vuoi prendete le aziende più capitalizzate del mondo nel 2005 e prendete quelle di oggi quelle di oggi basano la loro estrazione di valore sul lavoro implicito. Cioè sul lavoro che è distribuito nei 3,5 miliardi e mezzo di individui che sono connessi alla Rete.

TRANSIZIONE SOCIALE

Altra transizione è quella che io individuo con la nascita dell’ “industria di senso” come settore economico centrale. Che cos’è l’industria di senso?  Per la prima volta nella storia umana il senso della vita, che era affidato alle relazioni interpersonali che si producevano all’interno di un singolo territorio attraverso la vita delle persone, si è messo sotto produzione industriale.

Praticamente l’industria di senso lavora e fa profitti nella costruzione del senso e quel senso necessità di un consenso politico che è il substrato nel quale costruisce la propria struttura. Questa cosa è importantissima nella storia umana, perché noi siamo stati immersi in strutture religiose e poi strutture ideologiche che costruivano il senso della vita.

Mentre oggi ci troviamo improvvisamente con un’industria che compete con le religioni e con le ideologie e fa di questo l’ideologia di fondo sul quale vive il nostro sistema. Capite come ciò rappresenti una novità assoluta.

TRANSIZIONE POLITICA

Assistiamo certamente ad una transizione sul piano politico, con il mancato riconoscimento del superamento della democrazia liberale. La crisi dei modelli democratici istituzionali è figlia di questo elemento. Il digitale produce forme di partecipazione completamente diverse e nuovi modelli di organizzazione. Pensiamo ai gilet gialli adesso, ma anche alle primavere arabe qualche tempo fa. Stiamo sperimentando il fatto che gli eventi vanno alla stessa velocità del flusso comunicativo.

Quando gli eventi vanno alla stessa velocità del flusso comunicativo non si può produrre una struttura organizzativa pensata e ragionata, come era nell’era precedente. Perché va tutto fuori controllo: pensate che i bot (software automatici) che nei social come Twitter o Facebook rilanciano le informazioni, impiegano 6 secondi a inondare la rete attraverso il meccanismo delle “bolle informative”, a riempire cioè quelle bolle che sono culturalmente orientate verso quel contenuto informativo, annullando di fatto quello che prima era demandato a capacità relazionale. Una potenza di fuoco assolutamente unica.

TRANSIZIONE EPISTEMOLOGICA

Stiamo passando dalla scienza galileiana, che abbiamo conosciuto per qualche secolo, da qualche decennio alla tecnoscienza basata sulla simulazione. Ed oggi a nuovi paradigmi conoscitivi basati sui big data.

TRANSIZIONE ANTROPOLOGICA

Ne ha parlato approfonditamente il Prof. Gino Roncaglia nella sua relazione al Digital Day dal titolo “Il digitale tra frammentazione e complessità”. In questa mia analisi mi soffermo solo a sottolineare come il passaggio dal testo all’ipertesto produce una rottura delle strutture cognitive.

Se l’uomo basa il proprio sistema di conoscenza sulla modalità con cui scambia informazioni il passaggio dal testo all’ipertesto costruisce un’altra struttura cognitiva.

TRANSIZIONE SISTEMICA

Viviamo costantemente con l’incubo della crescita del PIL, ma perché noi pensiamo che il PIL debba aumentare ogni anno? Da dove nasce quest’idea? Considerato che l’uomo è vissuto per millenni delle cose che produceva, nella stessa quantità e con la stessa forma.

C’è un momento preciso dal quale la crescita del PIL diviene “necessaria”, l’obbligo della crescita nasce dalla struttura finanziaria che si è imposta sulla nostra società contemporanea e sul fatto che a fine anno c’è una capitalizzazione degli interessi dovuti, per cui c’è bisogno di un aumento della produzione per coprire quel fabbisogno.

Le società antiche conoscevano perfettamente questo meccanismo. Ed infatti avevano messo delle regole (basta leggere la Bibbia, in cui si scrive che ogni tot anni quei debiti andavano cancellati, o il Padre Nostro, ugualmente fondato su questo elemento, noi lo recitiamo ma non sappiamo più applicarlo, perché perché la finanza ha imposto altre regole).

Ma questo nuovo modus operandi non è sostenibile matematicamente, non è possibile pensare uno sviluppo che insegue il processo di capitalizzazione degli interessi. C’è una curva esponenziale che non è colmabile. Semplicemente perché il mondo è uno: le risorse a disposizione sono finite e quel processo non può essere portato all’infinito.

Stiamo vivendo esattamente questa crisi, non siamo in grado di inseguire questo modello all’infinito, perchè siamo già arrivati al punto di rottura. E siamo arrivati al punto di rottura anche perché l’alterazione degli equilibri sistemici di vita (clima, temperatura, innalzamento dei mari, acqua, rottura della biodiversità, riduzione delle specie viventi) ci ha portato ad un punto di non ritorno. Il punto di stabilità non c’è.

Il digitale rappresenta un bivio:

  • se non cambiamo registro questa società è destinata necessariamente alla implosione, con danni e guerre sociali (forse anche fisiche e purtroppo anche guerre globali) che sono scontate;
  • in alternativa possiamo utilizzare questo livello di conoscenze enorme, che l’umanità non aveva mai conosciuto prima, per imboccare una strada nuova, che noi individuiamo come:
    • produzione diretta di valore d’uso: la rottura con lo schema della produzione capitalistica così come è stata pensata in questi due secoli;
    • la costruzione di un modello di welfare completamente diversa, che noi chiamiamo “welfare delle relazioni”.

Dipendenza da smartphone: i consigli pratici per combatterla

Che lo smartphone fosse diventato uno strumento praticamente indispensabile per qualsiasi settore della nostra vita è cosa piuttosto nota. Che questo, però, potesse provocare dipendenza da smartphone, probabilmente neanche gli esperti lo avevano previsto. Eppure, secondo una ricerca condotta in Gran Bretagna, il 53% di chi ne possiede uno manifesta stati d’ansia quando non può usarlo (ad esempio a causa della batteria scarica o del credito in rosso oppure in assenza della copertura di rete). A soffrire di questa nuova forma di psicopatologia sono per il 58% uomini e per il 42% donne.

Per non parlare del consumo di contenuti da mobile. Sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni non vanno a letto senza il proprio dispositivo. Inoltre, c’è chi parla di ringxiety (termine che nasce dalla fusione di “ring” e “anxiety”), cioè il disturbo di cui soffre chi crede di avvertire, con grande frequenza, notifiche inesistenti provenienti dal proprio cellulare; queste persone accuserebbero, quindi, di stati d’ansia dovuti a squilli o una vibrazioni che in realtà non esistono.

Insomma, il problema dipendenza da smartphone esiste eccome. Ecco, però, sette consigli per combatterla.

dipendenza da smartphone
dipendenza da smartphone

Come combattere la dipendenza da Smartphone?
Stop ai social network

I social network occupano gran parte delle ore che trascorriamo allo smartphone. Per questo il primo punto per combattere la dipendenza da smartphone è quello di limitarne l’utilizzo. Il primo consiglio? Disattivare le notifiche dei social network. Avete davvero bisogno di essere allertati ogni volta che qualcuno commenta un vostro post o mette ‘like’ a un commento che state seguendo? Probabilmente no. Disattivate le notifiche e ritroverete un po’ di pace.

Nascondere le app più utilizzate

Lo smartphone è pieno di app che utilizziamo con una certa frequenza. Facebook, Instagram, Twitter etc. Quante volte li avete consultati solo perché le icone erano in home? Spostate le icone nelle schermate successive o interne e diminuirete il tempo che dedicate a queste app. Naturalmente quando si parla di smartphone non si può non parlare di giochi. Rappresentano in assoluto una delle attività preferite dagli utenti. Questo perché grazie agli smartphone possiamo giocare in qualsiasi ora della giornata, in qualsiasi luogo. Si può anche in questo caso limitare questa attività, stabilendo degli orari per divertirsi, sia che si tratti di giochi come quelli presenti su casino.netbet.it (adlink) o su Facebook, ma senza rinunciare allo svago.

Dipendenza da Smartphone cosa fare:
Lo sfondo

Per utilizzare meno lo smartphone esistono alcuni trucchetti. Potete, ad esempio, impostare come immagine di sfondo dello smartphone la scritta ‘Perché mi stai utilizzando?’. Ogni volta che prenderete in mano il telefonino ci penserete un istante di più prima di accedere ai social.

Creare time zone senza smartphone

Altro consiglio utilissimo è quello di creare delle time zone senza smartphone. Questo significa che per almeno 2 ore al giorno o nei momenti in cui vogliamo restare focalizzati dovremo spegnere il cellulare e restare concentrati sul lavoro che abbiamo di fronte.

Come descritto nel libro “Sleeping with your smartphone”, l’autrice Leslie Perlow e il suo gruppo di ricerca hanno trovato che prendersi delle pause prefissate dal proprio cellulare dava come effetti un aumento di efficienza, maggior soddisfazione sul lavoro e miglior equilibrio lavoro-vita.

dipendenza da smartphone
dipendenza da smartphone

Dipendenza da Smartphone: Preferire la vita reale

Può sembrare una banalità, ma non lo è. A causa degli smartphone siamo continuamente distratti e non riusciamo a focalizzarci per più di pochi secondi. Non riuscire a concentrarci quando dobbiamo seguire una lezione universitaria o realizzare un lavoro creativo è molto grave, ma è ancor peggio quando ci troviamo a parlare con qualcuno. Per evitare ciò, durante le azioni quotidiane che implicano un rapporto sociale è bene dimenticare lo smartphone e preferire sempre il faccia a faccia. Una bella chiacchierata, uno scambio di idee, ci aiuteranno ad essere più precisi e concentrati, in tutto.

Nascondere lo smartphone

Non serve chiudere il cellulare in un cassetto per non abusarne: quando lavorate è sufficiente, ad esempio, metterlo dietro il laptop in modalità silenziosa. Il solo fatto di non averlo in vista vi farà passare la voglia di consultarlo. Allo stesso tempo è bene allontanare lo smartphone dalla camera da letto. Vedere lo smartphone come ultima cosa prima di addormentarvi non fa solo male agli occhi e al sonno, ma può rendervi nervosi e ritardare il momento in cui vi addormenterete. Quando andate a dormire lasciate il telefonino (magari in carica) in un’altra stanza. Semplice ed efficace.

Con questi consigli sarà possibile disintossicarsi in breve tempo dalla dipendenza da smartphone che, come abbiamo visto, può essere pericolosa in molti ambiti della nostra vita. Un corretto utilizzo dello smartphone ci consentirà di essere più produttivi e più presenti nei momenti che contano.

Leggi anche “Pagamenti digitale: il futuro è senza banca e senza carte

Il potere dei mercati finanziari: da Montesquieu alla Blockchain

Qual è oggi il potere dei mercati finanziari? Per capirlo dobbiamo partire da Montesquieu. Vissuto tra il 1689 e il 1755, Montesquieu è considerato il fondatore della economica politica.

Ai suoi tempi si assisteva al rischio di una sovrapposizione totale della politica sull’economia, dovuta all’uso spregiudicato della banca pubblica e delle concessioni monopolistiche.

Per Montesquieu erano quindi le ricchezze finanziarie, capaci per loro natura di superare ogni frontiera, le uniche forze che potevano contrapporsi alla tirannia.

Dall’epoca di Montesquieu tante cose sono cambiate. Numerose innovazioni tecnologiche hanno condizionato l’evoluzione della società. La finanza ne ha beneficiato prima della politica, tanto da diventare il vero “quarto potere” dei nostri tempi.

L’attenzione da parte di tutti i recenti governi italiani ed europei all’evoluzione dei tassi di interessi sui titoli dei loro debiti pubblici, l’attenzione costante dei media allo spread, le difficoltà del nuovo governo giallo-verde a “mettere a terra” una manovra economica che non è piaciuta ai mercati finanziari sono tutte manifestazioni di questo primato della finanza sulla politica.

La deregolamentazione dei mercati

Da quando negli anni Ottanta del secolo scorso, i politici hanno sposato la deregolamentazione dei mercati economici tramite la globalizzazione, la liberalizzazione dell’attività finanziaria, il passaggio da una vigilanza diretta a una indiretta (per cui tutto ciò che non è espressamente vietato è possibile), le trasformazioni sul sistema economico e nei mercati finanziari sono state rilevanti e non necessariamente tutte positive.

Nel sistema economico la vita per alcune grandi società della old economy è diventata troppo confortevole. Mentre alcune società della new economy hanno rapidamente conquistato quote di mercato diventato leader mondiali per capitalizzazione (es. Google, Facebook, Apple, Microsoft). Nei settori industriali dei principali paesi le prime 4/5 aziende controllano oltre i due terzi del mercato totale. La loro quota di mercato dal 2000 è cresciuta al ritmo del 3% all’anno e conseguentemente i profitti sono saliti del 76%. Oltre la loro media degli ultimi 50 anni relativa al PIL. The Economist ha calcolato che il totale dei profitti abnormi ammonti a livello mondo a 660 Miliardi di dollari. Più di 2/3 dei quali sono prodotti da società USA, 1/3 da società tecnologiche.

potere dei mercati finanziari nel mondo
Centri economici e finanziari nel mondo

La crescita ed il potere dei mercati finanziari

I mercati finanziari invece sono cresciuti in modo abnorme ed hanno iniziato a condizionare oltre misura le strategie delle società. Le scelte di politica fiscale delle istituzioni politiche, i processi di crescita delle nazioni, la sostenibilità delle politiche dei loro governi, condizionando da ultimo le posizioni dei partiti e dei leader politici.

Nel 2015, il valore delle attività finanziarie mondiali a fine anno aveva raggiunto 741 trilioni di dollari. Il Prodotto Interno Lordo mondiale i 77 trilioni. Un terzo circa di questa massa finanziaria (249 trilioni) era costituito da attività riferibili alla produzione di beni e servizi (azioni, obbligazioni, prestiti bancari).

Mentre 492 trilioni erano rappresentati da strumenti derivati. A fine 2017 il valore totale delle borse quotate aveva raggiunto il valore del PIL totale. Ma ancora peggio secondo recenti dati ESMA il valore nozionale dei derivati avrebbe raggiunto al 2018 i 660 trillioni di dollari. Ben oltre i livelli pre-crisi del 2007.

Si è creata una società polarizzata, dove convivono ricchezza e diseguaglianza. Principalmente a causa di un processo tecnologico che favorisce una redistribuzione del reddito senza precedenti, riducendo i salari reali, sganciandoli dalla produttività e mettendo a rischio la sopravvivenza della classe media, vera componente distintiva delle società capitalistiche avanzate.

Dall’inizio del secolo – al contrario di quanto accaduto nella seconda metà del Novecento – il reddito di impresa viene allocato per circa il 35% al lavoro e il 65% al capitale. La Banca Mondiale ha stimato che, se l’uguaglianza tra nazioni è cresciuta, è anche di molto aumentata la diseguaglianza all’interno dei singoli paesi.

Lo spread e la percezione dei mercati

L’attuale livello di attenzione che dobbiamo riservare allo spread è una rappresentazione chiara di quanto una finanza sviluppatasi oltre misura non sia utile allo sviluppo di politiche economiche alternative rispetto alle dottrine dominanti.

Come abbiamo visto in questi ultimi mesi, è bastato che il nuovo governo italiano proponesse una manovra non conforme all’opinione corrente affinché si incrementasse in modo significativo lo spread tra il rendimento dei nostri titoli di stato e quello dei titoli tedeschi. L’incremento del rendimento dei titoli di stato italiani ha aumentato la pressione sulle banche. Facendo crescere il rischio di una mancanza di capitale. Mentre sono all’orizzonte scadenze impegnative quali il rimborso dei finanziamenti BCE e il rinnovo delle obbligazioni bancarie in scadenza (entro il 2020 ce ne sono circa 267 Miliardi).

I titoli di stato rappresentano il 10% degli attivi delle banche italiane. L’aumento dei tassi di interesse, diminuisce il valore di tali titoli obbligando le banche, grazie al nuovo principio contabile IFRS9, a contabilizzare delle perdite. E’ stato calcolato che in caso di aumento dello spread oltre 400 punti base numerose banche italiane sarebbero costrette ad attivare nuovi aumenti di capitale.

Nel frattempo la tensione sui mercati finanziari ha determinato per le banche anche un aumento del costo del finanziamento. Così se ISP e UCG (le nostre banche più grandi e solide) ad inizio anno emettevano obbligazioni a tassi intorno al 1,8% annuo, al momento sulle nuove emissioni devono riconoscere interessi nell’ordine del 3,5% annuo.

potere dei mercati finanziari
Come l’aumento dello spread incide sull’economia

Nell’attuale contesto insomma, ciò che conta è la percezione e la risposta dei mercati finanziari alle dichiarazioni dei manager di aziende private o pubbliche più che la sostanza delle manovre adottate.

Questo principio vale sia per l’azione dei CEO delle grandi società quotate, che hanno oramai compreso sulla loro pelle quanto sia importante “gestire le aspettative e le percezioni dei mercati”. Sia per i governi, soprattutto quelli dei paesi maggiormente indebitati.

Il futuro delle democrazie e del capitalismo

Abbiamo affrontato 4 crisi negli ultimi 10 anni:

  • quella finanziaria dei mutui subprime, che ha riguardato soprattutto gli USA;
  • una crisi economica, che dagli USA si è riflessa in Europa;
  • la crisi dei crediti inesigibili, che ha riguardato soprattutto l’Italia essendo un paese con sistema industriale banco-centrico;
  • ed infine la crisi del sistema capitalistico e del ruolo degli operatori finanziari.

Le prime 3 sono state risolte, la 4° crisi è ancora in corso e dovremo trovare le ricette nel futuro.

Nell’editoriale di copertina di The Economist del 23 novembre 2018 si prevede una prossima rivoluzione nel modello di capitalismo. Il settimanale sostiene che è necessaria una vera e propria rivoluzione. Che riduca i profitti abnormi di oggi delle grandi società e dei grandi capitalisti, ripristini sui mercati condizioni di sana competitività e consenta ad una nuova classe imprenditoriale di creare attraverso l’innovazione una nuova forma di capitalismo.

Per rendere possibile questa missione servono alcuni interventi di natura strutturale. In particolare viene proposta una ricetta in 3 fasi che potrebbero riportare i profitti delle aziende USA a livelli fisiologici. E far beneficiare della crescita dei ricavi anche i lavoratori nella misura stimata di un incremento dei salari del 6%.

Primo, le norme sulla proprietà intellettuale andrebbero riviste per favorire l’innovazione e non proteggere gli incumbents. Ciò significa dare la possibilità a nuovi imprenditori dell’area tech di potere usare i dati e le informazioni oggi a disposizione solo delle big companies dell’informatica.

Secondo, i governi dovrebbero ridurre le barriere all’ingresso. Eliminando i vincoli sviluppati dalle lobby delle grandi aziende, quali clausole di non concorrenza, autorizzazioni all’esercizio di nuove attività e regolamentazione complesse.

Terzo, le norme antitrust andrebbero riviste per il 21° secolo.

Le riforme necessarie

A quanto previsto dal The Economist andrebbero aggiunti interventi di riforma anche sul funzionamento dei mercati e degli intermediari finanziari. Quali ad esempio la revisione degli incentivi per i manager delle aziende, in modo che siano maggiormente premiati sulla creazione di valore e lavoro più che sulla remunerazione del capitale. L’introduzione di imposte sulle transazioni tese a ridurre la dimensione dei mercati finanziari. E da ultimo la specializzazione degli intermediari in diversi ambiti della finanza: gestione degli investimenti per conto terzi, corporate ed investment banking, finanziamento dei privati, etc.

Ma chi potrebbe realizzare un pacchetto così ampio di riforme? Gran Bretagna ed Unione Europea non hanno più la forza di un tempo. Mentre le sorti economiche della Russia sono quasi esclusivamente legate al business del gas. Di conseguenza le uniche due super-potenze che potrebbero riuscire in tale impresa sono gli USA e la Cina.

Gli USA sono stati i padri fondatori delle attuali normative sul funzionamento della globalizzazione e dei mercati finanziari. Ma hanno recentemente visto crescere principalmente l’economia cinese e stanno progressivamente perdendo il primato nella finanza.

La Cina ha beneficiato a lungo della globalizzazione, ma recentemente ha subito le nuove politiche protezionistiche dell’amministrazione Trump. Mentre sul fronte della finanza ha una regolamentazione ancora in fase embrionale e il fenomeno dei derivati nei bilanci delle sue banche che sta crescendo a ritmi significativi.

Esistono le condizioni affinché proprio sul terreno della riforma del sistema capitalistico e dei mercati finanziari si possa costruire una nuova alleanza. Tra queste due superpotenze che possa segnare in senso positivo il destino delle nuove generazioni.

E’ bastato che sabato 1 dicembre a Buenos Aires il presidente USA Trump e quello cinese Xi Jin Ping trovassero un accordo di tregua sui dazi per riattivare, lunedì 3 dicembre i mercati finanziari di tutto il mondo. E la nostra borsa è quella che ne ha beneficiato di più. Forse il futuro del capitalismo potrebbe passare proprio da loro.

potere dei mercati finanziari
Cina e Usa

Come effettuare una corretta archiviazione digitale

Il mondo è cambiato profondamente: questa frase la si potrebbe dire in ogni epoca della storia, e sarebbe sempre vera. Non c’è stato un solo periodo dell’evoluzione umana in cui questo non sia accaduto.

L’uomo impara da ciò che vede, inventa nuove soluzioni, migliora le proprie conoscenze e modifica, di conseguenza, il contesto che lo circonda. Oggi più che in passato questo concetto è presente nel nostro quotidiano ma con una velocità decisamente superiore rispetto al passato. Al punto che ci sembra di faticare a rimanere al passo coi tempi.

Come tutti i cambiamenti che arrivano nella nostra vita, si può far fatica ad accettarli. Poiché ogni cambiamento porta con sé tanti benefici ma anche degli aspetti negativi. Nuove realtà a cui siamo costretti ad adattarci imparando a gestirle nel modo più giusto.

L’era digitale e la dematerializzazione

Con l’avvento della tecnologia e la diffusione ormai capillare della connessione ad internet il mondo cartaceo sta progressivamente cedendo il passo alla documentazione digitale.

Il processo di dematerializzazione è ormai avviato in modo irreversibile in ogni settore. Anche semplicemente nel nostro quotidiano spesso non riceviamo più le bollette dei nostri fornitori di energia elettrica, di gas o delle compagnie telefoniche nella nostra buca delle lettere, ma ci viene inviata una email. Questo cambiamento ha ovviamente un impatto ancora più importante in ambito lavorativo. I rapporti con i nostri fornitori, i nostri clienti, i dipendenti, sono per la maggior parte gestiti e testimoniati dallo scambio telematico, i documenti di lavoro sono informatici, e sono tutti all’interno dei nostri computer, degli smartphone e dei tablet. Possiamo dire addio alle cataste di carte sulla scrivania, ai raccoglitori suddivisi per anno o in ordine alfabetico nelle librerie. Tutto questo ci fa sicuramente recuperare spazio. Ma dobbiamo imparare ad archiviare i nostri file con un metodo corretto, per non ritrovarci poi in futuro con un elenco disordinato di documenti che non saremo in grado di reperire quando ne avremo bisogno.

La corretta archiviazione digitale

Non è un lavoro semplice, occorre metodo e disciplina costante per avere una corretta gestione dell’archiviazione digitale. I nostri file, di qualsiasi natura siano, vanno catalogati seguendo un criterio logico che ci permetta in modo estremamente semplice e veloce di effettuare ricerche. Ritrovare documenti e poterli aprire, condividere o modificare in pochissimo tempo. Per questo è necessario rivolgersi a dei professionisti. Quali ad esempio https://www.gruppocmtrading.it/ (ad link), in grado di fornirci le soluzioni migliori e più efficaci per ottenere un risultato ottimale.

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GoDaddy webinar: le potenzialità di Google My Business per le attività locali

Vuoi promuovere la tua azienda nel mondo digitale? Vuoi essere più visibile sui motori di ricerca? Vuoi accrescere il tuo business? GoDaddy per questo 2020 lancia una serie di webinar dedicati a chi vuole dare una svolta alla propria azienda.

GoWebinar, l’iniziativa di formazione firmata GoDaddy

GoDaddy, leader nel settore della vendita di domini, sa quanto è importante avere una buona presenza online per ogni attività che vuole migliorarsi. Creare un sito web, dargli visibilità, attrare i clienti e gestire il lavoro, questo è quello che l’azienda esperta del digitale offre ai suoi clienti.

GoDaddy, in accordo con i massimi esperti di digital marketing italiani, dedica una serie di webinar per la formazione di startupper, imprenditori di piccole e medie imprese che vogliono lanciare i loro progetti sul web. L’iniziativa mira a creare una community dove poter scambiare idee per la realizzazione di nuovi progetti e possibilità.

Google My Business per le attività locali: il sesto webinar con Luca Bove

GoWebinar (ad link) arriva al suo sesto appuntamento che si terrà in esclusiva gratuita e live mercoledì 22 Luglio, alle ore 13:00 sul blog ufficiale di GoDaddy.
A condurre il webinar ci sarà Luca Bove, esperto di Google My Business e Local Search Marketing nonché fondatore di Local Strategy. “Come sfruttare al meglio Google My Business per le attività locali” è il titolo dell’intervento di Luca Bove che spiegherà l’importanza di questo strumento di Google come canale di marketing e mezzo di vendita. Analizzerà il tema sotto ogni aspetto a partire dalla creazione e dall’ottimizzazione delle schede, categorie, foto e recensioni, ricerche dirette e indirette, fino agli attributi di consegna e ritiro. Illustrerà come le piccole imprese possono farsi trovare sui sistemi di mappe e attrarre clienti nelle vicinanze.

Non perdere l’occasione di accrescere la tua formazione riguardo al mondo digitale e migliorare le prestazioni del tuo sito online e quindi del tuo business. Appuntamento il 22 luglio alle 13:00, sul blog ufficiale di GoDaddy, con Luca Bove per scoprire tutte le potenzialità di Google My Business!

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Nasce alla Luiss, finanziata da Maire Tecnimont, la cattedra di Open Innovation

Maire Tecnimont è un gruppo societario italiano attivo nel settore ingegneristico, tecnologico ed energetico. Vanta competenze specifiche nell’impiantistica (in particolare nel settore degli idrocarburi), nella chimica verde e nello sviluppo di tecnologie per la transizione energetica.

Il suo contributo è fondamentale alla trasformazione delle risorse naturali in prodotti innovativi. Oggi il Gruppo opera in tutto il mondo con 50 società in 45 paesi, con un fatturato 2019 pari a oltre 3,3 miliardi di euro. Inoltre, vanta più di 1.500 brevetti specifici e applicazioni di brevetti.

Con la convinzione che il segreto del successo di un’industria sia racchiuso nell’innovazione continua, Fabrizio Di Amato, Presidente e azionista di maggioranza di Maire Tecnimont ha finanziato con il suo gruppo la cattedra di Open Innovation presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma.

Open Innovation, il progetto finanziato da Maire Tecnimont

Il binomio Maire Tecnimont-Luiss rappresenta un legame imprescindibile tra impresa e ricerca. Un impulso reciproco per rinnovare il settore con figure professionali pronte ad affrontare le nuove sfide della globalizzazione. Come anticipato, Fabrizio Di Amato ha finanziato con il suo gruppo Maire Tecnimont la cattedra di Open Innovation. Frutto della sinergia con il Rettore della Luiss Guido Carli di Roma, Andrea Prencipe, l’insegnamento è stato affidato ad Henry Chesbrough. Padre intellettuale della disciplina, nonché direttore del Garwood Centre for Corporate Innovation dell’università della California a Berkeley.

L’innovazione aperta è un nuovo approccio strategico e culturale in base al quale le imprese, per creare più valore e competere meglio sul mercato, scelgono di ricorrere non più e non soltanto a idee e risorse interne. Ma anche a idee, soluzioni, strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, in particolare da startup, università, istituti di ricerca, fornitori, inventori, programmatori e consulenti.

L’open innovation, una vera rivoluzione

L’inaugurazione di questa cattedra rappresenta un ulteriore passo avanti verso la Open Innovation. Una vera e propria Rivoluzione Copernicana per le industrie di ogni settore”, ha dichiarato il presidente di Maire Tecnimont Di Amato. “Credo, infatti, che oggi più che mai sia necessario un approccio open-minded che porti a un’evoluzione delle società da organizzazioni ‘chiuse’ ad organizzazioni ‘aperte’”.

Un metodo di sviluppo aziendale che con questa unione di risorse mira a promuovere idee innovative con il supporto della tecnologia. La differenza rispetto al passato è il coinvolgimento attivo del team di interni ed esterni nel processo di sviluppo che, con questa contaminazione continua tra diverse realtà professionali, riesce a dar vita a progetti di successo. “L’elemento di differenziazione fondamentale tra l’Open Innovation e altre forme di collaborazione per l’innovazione” ha evidenziato il Rettore della Luiss Prencipe all’inaugurazione della cattedra “risiede nella ricerca di partnership non ovvie che possano quindi offrire conoscenze, idee, competenze, informazioni non convenzionali, inaspettate, impensate ed a volte impensabili”.

Corso di Open Innovation: Master inter-ateneo di II livello in ‘Open innovation & Intellectual property

Il corso di Open Innovation (adlink) è integrato nell’offerta formativa dell’ateneo sotto forma di Master. L’obiettivo è quello di “Fornire una formazione mirata a manager, imprenditori, professionisti che desiderano acquisire nuove competenze per essere più competitivi nel mondo del lavoro”.

Il corso di studi si intitola “Master inter-ateneo di II livello in ‘Open innovation & Intellectual property’” ed è indirizzato a diverse figure professionali. Manager e imprenditori attivi nel settore della ricerca e dello sviluppo, funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione, responsabili di uffici legali di aziende, esperti di trasferimento tecnologico, ricercatori e ingegneri impiegati in Università e Politecnici, laureati in discipline economiche e giuridiche.

L’offerta formativa consente di fornire una formazione mirata a manager, imprenditori, professionisti che desiderano acquisire nuove competenze per essere più competitivi nel mondo del lavoro.

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L’importanza della sicurezza informatica: come regolarsi

Il tema della sicurezza sul web è sempre più centrale nella nostra società. Un tema ancor più importante se si pensa all’utilizzo della rete nel mondo del lavoro ed anche per quanto riguarda la sfera privata.

Secondo una indagine nel 2019 in Italia, tra aziende pubbliche e private, al Garante della privacy sono arrivate 1.443 segnalazioni di incidenti informatici che hanno messo a rischio la sicurezza delle informazioni personali.

Sempre nel 2019 sono state ordinate 147 ispezioni, svolte anche con il contributo del Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza. Dalle banche, per proteggere i flussi di dati verso l’anagrafe dei conti correnti, ad aziende di marketing, per verificare abusi nella profilazione dei clienti.

Sul tema della cybersecurity è intervenuta anche l’Unione Europea che ha destinato 38 milioni di euro per finanziare progetti innovativi per la protezione delle infrastrutture critiche all’interno dell’Unione da attacchi informatici. Tra questi progetti tre studieranno come prevenire, individuare e contrastare gli attacchi informatici e fisici all’interno delle reti metropolitane e ferroviarie. Oltre che nelle infrastrutture terrestri e satellitari e nei servizi di e-commerce e di consegne a domicilio. Si tratta di Safety4rails, Ensurec e 7shield, quest’ultima coordinata dall’italiana Fair Dynamic Consulting e con la partecipazione anche di Serco Italia, Rensil Tech, e il Centro regionale per la comunicazione, l’informazione e la tecnologia.

Il primo corso di laurea sulla sicurezza informatica

In Italia si è sempre più attenti al tema della sicurezza informatica, soprattutto per quanto riguarda le applicazioni quotidiane. Un conto è navigare su siti che garantiscono la massima privacy e sicurezza come https://casino.netbet.it/ ed un altro è farlo su siti di dubbia provenienza.

Un tema molto caro agli italiani, a tal punto che all’Università di Pisa a settembre il primo corso di laurea in Italia in “Cybersecurity”, che offrirà una formazione completa non solo sui classici aspetti legati al software, come la sicurezza di dati, i programmi e i sistemi operativi, ma anche su quelli che riguardano l’hardware, come dispositivi elettronici, propagazione del segnale e i sistemi biometrici.

Il corso di laurea magistrale sarà gestito congiuntamente dai dipartimenti di Ingegneria dell’Informazione e di Informatica dell’Ateneo pisano e punta a inquadrare la sicurezza informatica sia nel contesto delle organizzazioni e delle aziende che devono proteggersi dal rischio informatico, sia in quello degli aspetti legali e giuridici.

Un corso di laurea figlio della lunga tradizione dell’Università di Pisa nel settore dell’informatica e delle tecnologie digitali: qui è stato costruito il primo calcolatore, è stato creato il primo corso di laurea italiano in Informatica più di 50 anni fa e attivato il primo collegamento a Internet in Italia nel 1986.

Nel settore specifico della cybersecurity sono attivi diversi progetti, anche internazionali, e da anni è attivo un master in sicurezza informatica in collaborazione con il Cnr.

Come proteggersi dai rischi della rete

Per stare alla larga dai rischi della rete è possibile seguire una serie di consigli che possono rivelarsi molto utili. Il primo è quello di mantenere sempre aggiornato il proprio sistema operativo, poiché gli hacker accedono attraverso i punti deboli nel software.

Una di queste misure è anche l’eliminazione di vecchi sistemi operativi come Windows XP, poiché non ricevono più alcun aggiornamento. Inoltre, è utile creare un inventario di tutti i computer e di tutte le applicazioni dell’azienda.

È sempre utile, per le aziende, verificare i diritti utente e i cambi di funzione. In questo modo potete impedire che ad esempio degli ex collaboratori accedano alla rete. Installare programmi antivirus che riconoscano e blocchino i malware e utilizzare un firewall che impedisca gli accessi non consentiti.

E le password? Queste devono essere “intelligenti”, e non banali. È importante utilizzare password che contengano ad esempio caratteri speciali, combinino cifre e lettere, abbiano almeno otto caratteri e nelle quali non compaia il proprio nome.

Per proteggere i propri dati ed i file dei vari dispositivi è molto importante eseguire backup regolari dei dati, anche quotidianamente a seconda dell’importanza. L’ultimo backup non dovrebbe sovrascrivere quello precedente, poiché i dati storici potrebbero andar perduti.

Banale, ma importante: il backup dovrebbe essere sempre staccato dalla rete, in modo da evitare che diventi vittima di un virus. E occorre testare regolarmente se il backup dei dati ha funzionato.

Nel campo lavorativo, infine, è fondamentale sensibilizzare i propri dipendenti e ad esempio istruirli sul phishing. I collaboratori sono infatti la porta di ingresso per quasi tutti gli attacchi informatici. Consigli che se seguiti possono metterci al riparo da molti rischi che corrono sulla rete.

Articolo realizzato con la collaborazione di NetBet

Perché la negoziazione nel business è sempre più importante?

Sempre più spesso sentiamo parlare dell’importanza della negoziazione nel business. Non che sia una grande novità, non esiste un business senza “negoziazione”, ma perchè questo aspetto nel mondo digitale sta assumendo sempre maggiore rilevanza?

La negoziazione nel business

Negoziare è un comportamento insito dell’uomo. Può coinvolge due o più individui (o più gruppi di persone) che comunicano ed interagiscono attivamente con lo scopo di raggiungere un accordo in merito a qualcosa. In termini pratici la negoziazione (ad link) si fonda su un’attività di scambio, al fine di generare un accordo che appaghi più possibile i soggetti coinvolti.

Può essere utilizzata per sedare prontamente ogni tipo di conflitto nella vita quotidiana. O per la corretta gestione delle relazioni interpersonali sul posto di lavoro. Come ad esempio portare a termine con successo una trattativa commerciale. O gestire clienti “difficili”, o anche per la corretta gestione dei rapporti tra azienda e sindacato. In ogni caso la conoscenza di strumenti e tecniche negoziali si rivela determinante per la conclusione positiva dell’accordo.

Negoziazione e corsi e tecniche
Negoziazione, corsi e tecniche. Photo credit: Pixabay

L’ambizione personale (o professionale), il numero di soggetti coinvolti, il livello di problematicità affrontata, sono solo alcuni dei parametri che possono influenzare una negoziazione. E che possono portare ad incappare in una serie di ostacoli a livello realizzativo. Conseguentemente in situazioni conflittuali. Il modo per aggirare questi ostacoli ed arrivare rapidamente, in modo efficace ed efficiente, al risultato finale è applicare le regole di una buona negoziazione.

Perché è utile migliorare le proprie capacità seguendo un buon corso di negoziazione?

Come ogni dote umana vi sarà certamente chi è più o meno portato alla negoziazione: talento, istinto, esperienza, uniti ad un carattere particolarmente empatico e doti di leadership, aiutano a “governare” situazioni difficili.

Ma a volte le qualità personali non bastano e devono essere affiancate da competenze e conoscenza che possano rendere una strategia efficace e produttiva. La scelta di migliorare queste competenze fondamentali si rivela spesso vincente e per diventare abili negoziatori si deve puntare sulla frequenza di un buon corso di negoziazione. Un corso che garantisca una specifica formazione e preparazione per arrivare al tavolo negoziale avendo le capacità richieste per affrontare situazioni sempre diverse e gestire i conflitti.

I corsi di negoziazione di Scotwork Italia

Scotwork Italia offre corsi di negoziazione (ad link) che mirano a fornire una strategia direzionale per accrescere il proprio business. Ogni anno l’azienda individua, nei 105 Paesi in cui opera, le pratiche negoziali che incidono in maniera determinante sui top influencer. Si tratta di Imprenditori, Manager di Vendita, Manager degli Acquisti, Manager di Marketing.

A fronte di lamentele, disservizi e difficoltà ad ottenere prezzi e volumi migliori, cambi improvvisi delle condizioni richieste e del personale, che intaccano negativamente il business. Scotwork si impegna a trasformare i punti deboli in punti forza così che si possa puntare ad una crescita proficua.

Il programma avanzato Scotwork Advancing Negotiation Skills è accreditato CPD Standard Office (Continuing professional development). I corsi sono rivolti a imprenditori di piccole imprese e a middle Manager: acquisti, vendite,business development.

Il corso dura 28 ore divise in 3 giornate che alternato attività pratica all’attività teorica. L’azienda ha formato oltre 300.000 persone in 6 Continenti con rapporto one to one,. Offrendo i migliori tool di diagnostica, planning ed e-learning digitali con i quali potersi aggiornare e trovare soluzioni a problemi che sembrano apparentemente insormontabili.

Molto utile ed apprezzato dai corsisti il servizio di hotline che rimane a disposizione del cliente che potrà contattare il proprio tutor e ricevere suggerimenti alternativi ai problemi concreti.

Concorso Vere Imprese di GoDaddy: scopri i finalisti e il programma della fase finale

Il concorso Vere Imprese di GoDaddy è giunto alla terza ed ultima fase. Dopo aver decretato le 9 imprese più votate, 3 per la categoria PMI, 3 per quella delle Tech Startup e 3 per la categoria Imprese Individuali. Prima di conoscere le imprese finaliste e di scoprire il programma completo del 22 novembre, giorno in cui verranno decretati i vincitori facciamo un breve riassunto del concorso. Il contest pensato da GoDaddy per dare la possibilità alle tipologie di imprese sopracitate di farsi conoscere online.

GoDaddy logo
GoDaddy

Il concorso Vere Imprese di GoDaddy

Grazie al concorso Vere Imprese (ad link), rivolto a Piccole e Medie Imprese (PMI), Tech startup e Imprese individuali, le aziende partecipanti hanno avuto la possibilità di raccontare la loro storia sul web.

Superata la prima fase della registrazione conclusa ormai il 31 luglio, le aziende si sono impegnate a far conoscere la storia della loro impresa, a più persone possibili per ottenere il maggior numero di voti possibili.

Questa fase di votazione si è conclusa il 4 ottobre ed ora i 9 finalisti concorreranno alla terza ed ultima fase che si svolgerà il 22 novembre a Milano nel corso del grande evento finale.

A decretare il vincitore assoluto sarà una giuria composta da sei esperti del settore business e marketing che sceglierà la storia di impresa più interessante. Una storia per ciascuna delle categorie (PMI, Imprese individuali e Tech Startup) e assegnerà i tre premi finali del valore di 20.000 euro. Ciascuno consiste in un piano di comunicazione professionale realizzato da GoDaddy ed Alkemy, per il sito web collegato al dominio candidato al concorso Vere Imprese.

Chi sono i finalisti del concorso Vere Imprese?

Conosciamo ora le 9 aziende finaliste: chi si aggiudicherà i 3 piani di comunicazione professionale dal valore di € 20.000?

concorso Vere Imprese
Chi saranno i vincitori finali del concorso Vere Imprese?

I 3 finalisti del settore PMI sono:

  • Ragū, un piccolo laboratorio di cucina a Bologna che propone le ricette tipiche della tradizione culinaria bolognese in modo non convenzionale e a prezzi accessibili,
  • BLOOM: un progetto che ha l’obiettivo di fondere in un unico ambiente accogliente e di design il coworking. La ristorazione di alto livello, la sostenibilità ambientale e le attività culturali.
  • BusForFun.com srl, una Mobility Company che offre un servizio di trasporto con autobus a basse emissioni verso eventi che si svolgono in Europa.

I 3 finalisti del settore Imprese Individuali sono:

  • Imprendo.io, un’impresa individuale che si occupa di consulenza digitale nell’ambito del marketing. Fornisce un servizio basato sulla conoscenza diretta e profonda delle esigenze del cliente.
  • AYANA EVENTS, un’impresa tutta al femminile che si occupa di organizzazione di eventi, di spettacolo e intrattenimento,
  • Trevimage, un laboratorio situato a Roma che si occupa di fotografia, progettazione grafica e soluzioni di stampa.

I 3 finalisti del settore Tech Startup sono:

  • ENZIMIX SRL, una startup che si occupa di produrre biotecnologie enzimatiche. Che poi vende sotto forma di polveri ad uso cosmetico e contenenti componenti come l’argilla verde ventilata.
  • Medere, una tech startup che offre soluzioni innovative per salute e benessere.
  • Negoco, da questa realtà è nata Quigo, piattaforma dedicata agli smart worker e che ha l’obiettivo di facilitare la ricerca di postazioni di lavoro e spazi in cui svolgere meeting o eventi.

22 novembre 2019, fase finale del concorso Vere Imprese: programma completo

Si svolgerà a Milano il prossimo 22 novembre la fase finale del concorso Vere Imprese di GoDaddy, a decretare il vincitore assoluto sarà una giuria composta da sei esperti del settore business e marketing così composta:

  • Carlo Robiglio – Presidente Piccola Industria e Vice Presidente Confindustria
  • Gianluca Stamerra – Regional Director GoDaddy Italia
  • Fabio Grattagliano – Il Sole 24 Ore
  • Roberto Calculli – CEO & Founder di The Digital Box
  • Duccio Vitali – CEO di Alkemy
  • Mirko Pallera – Fondatore di Ninja Marketing

Ecco il programma della giornata

Dalle ore 15.00 alle ore 17.00 si svolgerà una Masterclass introdotta da Cosmano Lombardo, CEO & Founder di Search On Media Group e ideatore del Web Marketing Festival, e presentata da Marco Quadrella, Chief Operating Officer del reparto Consulenze di Search On Media Group.

A seguire, ognuna delle 9 imprese racconterà la propria storia alla giuria, rispondendo alle sue domande. Infine i giurati decreteranno a quale PMI, Impresa Individuale e Tech Startup assegnare il piano di comunicazione dal valore di € 20.000 per promuovere la propria attività online.

Congratulazioni e un grande “In Bocca al Lupo” ai 9 finalisti!

Cos’è la stampa 3D e perché è importante?

L’influenza sulle possibilità produttive e sulla percezione del mondo virtuale. Da qualche anno a questa parte si sta facendo largo a spintoni la tecnologia della stampa 3D. I festival di elettronica e tecnologia brulicano di nuovi modelli. Apparentemente identici, che promettono di essere più performanti, più precisi, più veloci, oppure di poter stampare su PLA, PPS, PET,… e per chi non è pratico questo può creare un po’di confusione, per cui è meglio partire dalle basi.

Stampa 3D: Cos’è una stampante 3D?

Si tratta appunto di una stampante, con la differenza che, invece di riprodurre un’immagine bidimensionale e quindi un disegno, su un foglio, questa utilizza delle polveri o filamenti per costruire un oggetto solido, fisico.

stampa 3d
Stampante 3D (unsplash.com)

Come fa la stampante in 3D a stampare un oggetto reale?

Nel dettaglio questo dipende dal tipo di macchina e di materiale che si usa per stampare, ogni macchina è leggermente diversa dall’altra. In linea di massima però si costruisce l’oggetto in 3D tramite software specifici. Lo si prepara per la stampa 3D, costruendo sostegni se necessari o dividendolo in parti da incollare successivamente. Poi si stampa l’oggetto o le singole parti.

Tipologie di Stampa 3D

Esistono diversi tipologie di stampa 3d. Principalmente per due motivi: il primo è che diversi materiali hanno caratteristiche diverse, per quanto possano sembrare simili. Ad esempio le fibre vegetali come il PLA (ricavato dall’amido del mais) potrebbe somigliare al PC (policarbonato). Avendo però caratteristiche fisiche ed origine totalmente differenti. Il primo infatti è un prodotto organico mentre il secondo è sintetico. Esistono inoltre stampanti in grado di stampare cemento, vetro e addirittura cibo, ma ne parleremo un’altra volta.

Risulta quindi evidente che, con la possibilità di stampare qualsiasi cosa, molti processi potrebbero essere perfezionati, sostituiti o addirittura rimossi. Portando grandi sconvolgimenti nei processi produttivi e quindi nella struttura del mercato. Al pari di quelle che furono le rivoluzioni industriali, è probabile che qualcosa andrà a perdersi nell’evolversi di questa tecnologia. Le conoscenze richieste saranno sempre più tecniche e specifiche. L’automazione prenderà piede attraverso sempre più processi, si rischia di perdere il contatto diretto che definisce il processo artigianale. Riaffiorano le parole del manifesto del Bauhaus, scuola di arte, architettura e design della Germania del primo ‘900. “Lo scopo di tutta l’attività plastica è la costruzione […]. Tutti noi architetti, scultori, pittori dobbiamo rivolgerci al mestiere. L’arte non è una professione. Non c’è alcuna differenza essenziale tra l’artista e l’artigiano […]. Formiamo, dunque, una sola corporazione di artigiani senza la distinzione di classe che alza un’arrogante barriera tra l’artigiano e l’artista. Insieme creiamo il nuovo edificio del futuro che sarà alzato un giorno verso il cielo dalle mani di milioni di lavoratori. Come il simbolo di cristallo di una nuova fede.”

La scuola del Bauhaus

La scuola del Bauhaus rimase celebre sia per la qualità degli insegnamenti e delle produzioni, sia per lo spessore morale manifestato dagli insegnanti nel corso del tempo. Tanto da portare il regima nazista a chiuderla appena preso il potere.

Ciò che Walter Gropius volle sottolineare nel manifesto fu proprio la rilevanza del ruolo di chi è in grado di prendere le decisioni e realizzare, come architetti ed artisti. Tradotto alle circostanze personalmente non esalterei la macchina né chi l’ha costruita, ma chi è in grado di farne buon uso.

L’incremento dei ritmi dei processi produttivi non è sicuramente ciò di cui ha bisogno l’occidente, per cui trovo sciatta l’euforia manifestata per la stampa 3D in sé. Eppure le frontiere e le possibilità che apre, se oculatamente rivolte, non possono che strappare una scintilla di entusiasmo.

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