Da qualche ora WhatsApp down e con esso i siti dei principali social network del magnate americano Zuckerberg sembrano avere grossi problemi: Instagram e Facebook, tutti e tre down!
Whatsapp, Instagram, Facebook down
Cosa è successo lo scopriremo nelle prossime ore, per il momento tanti i dubbi, compresi anche ipotesi di sabotaggio ed hackeraggio.
lunedì 4 ottobre 2021, ci risiamo…
Lo stesso disservizio si è ripetuto dalle ore 17.40 circa a poco prima della mezzanotte di lunedì 4 ottobre 2021.
Una figuraccia a livello planetario, dato che si è registrato un down simultaneo di WhatsApp, Facebook e Instagram, con l’app di messaggistica ed i social network che risultavano non funzionanti sul territorio nazionale italiano e a livello globale.
Non proprio un disservizio, ma un vero e proprio blackout di sei ore, con gli utenti di tutto il mondo terrorizzati di aver perso i dati e bloccati da “ansia di comunicazione”.
Migliaia le segnalazioni giunte al sito web specializzato Downdetector. Oltre a WhatsApp e Instagram, anche Facebook e Messenger sono stati colpiti. La stessa Downdetector aveva aggiunto un banner in cime alla pagina per segnalare “un’interruzione diffusa presso Twitter, che potrebbe avere un impatto sul tuo servizio“.
A proposito di Twitter, per segnalare il disservizio e continuare a comunicare tutti hanno iniziato a “cinguettare”.
Viviamo immersi nella tecnologia, sempre di più sempre più moderna, sempre più nuova… e se non fosse proprio così?
Per una volta sento il bisogno di scrivere una nota solo a me stesso e per me stesso. Poi, se nessuno avrà il coraggio di pubblicarla, la leggerò a me stesso. Pazienza!
Devo riavvolgere il filo logico che mi passa per la mente in questi giorni mentre lavoro ad un progetto centrato sulla ricerca e le tecnologie per i beni culturali. Sono giorni che vivo tra avatar, sistemi di intelligenza artificiale, sistemi esperti capaci di suggerire tutto a tutti: cosa vedere, cosa fare, dove andare, che mezzo prendere, cosa guardare e perchè. Questi sistemi sono in grado di elaborare, sulla base di quello che hai fatto, quello che ti piacerebbe fare e guidarti fino lì. Questo mi spaventa un po’ e, se devo dire la verità, mi condiziona visto che, per piacere o per lavoro, sono uno che con i monumenti ha spesso a che fare.
Perchè mi condiziona? Vi faccio un esempio. Io quando cammino per strada non guardo quasi mai il culo a una signora. Non lo faccio perchè ho avuto una educazione borghese e non lo faccio perchè non si fa. Oggi a maggior ragione non lo farei. Con quei sistemi attivi si rischia. Si rischia molto.
Supponete
che per un paio di volte lo fate, magari solo perchè non ne potete fare a meno.
Succede che lo smartphone, per via della elaborazione intelligente di quei
dati, quando gli chiederete di andare a visitare la Basilica di Santa Maria
Maggiore vi manderà dritto dritto verso la facciata posteriore che è chiusa da
anni.
Con questo
tipo di angoscia parlavo, anche se non in questi termini, con un amico
ingegnere molto bravo e attivo nel settore delle tecnologie informatiche per i
beni culturali. Ci sono rimasto male quando, suggerendo l’uso di un attore per
rappresentare drammaturgicamente il pensiero Greco nell’area a sud di Salerno
mi ha detto: no! Se lo fa un avatar c’è la tecnologia, se lo fa un attore so
cose vecchie, già viste, chi le vuole! Ci vuole la tecnologia!
Allora, se produco narrazioni con un sistema automatico è tecnologia, se le scrivo avendo studiato il teatro no. Ci deve essere qualche cosa che non funziona, mi sono detto. Quello che cercavo di far passare come utile al settore della cultura è esattamente quello che sto facendo in questo momento: scrivere, cercare di farmi capire al meglio e, nei limiti del possibile, suscitare una emozione.
No, No,
NO! Questa non è una tecnologia. Punto e basta.
Cosa è oggi la “tecnologia”?
Ora, poichè non ho l’intelligenza artificiale di un sistema esperto, ma solo quella naturale e debole tipica di un uomo di sessantasei anni cocciuto come un mulo, ho aperto il dizionario Treccani della lingua italiana alla voce “tecnologia”.
Leggo: L’applicazione e l’uso degli strumenti tecnici in senso lato, ossia di tutto ciò che può essere applicato alla soluzione di problemi pratici, all’ottimizzazione delle procedure, alla presa di decisioni, alla scelta di strategie finalizzate a determinati obiettivi…
Strumenti tecnici in senso lato è proprio “téchnè” in Greco che in latino diventa “ars”, arte pur con le dovute differenze di interpretazione filosofica che esulano questa riflessione, è quello che faccio anch’io.
Ma è nel periodo successivo che il dizionario porta acqua al mio mulino, dove parla di soluzione di problemi pratici. Il principale problema pratico di chi voglia avvicinare il maggior numero di persone alla funzione sociale della cultura è darle un senso ed un significato che sia interpretabile, sia pure a livelli diversi, da chi ci si accosti costruendo gli strumenti intellettuali per questo scopo. È proprio quello che facciamo tutti i giorni da anni.
Se scrivo una sceneggiatura, scelgo una scenografia ed un attore per rappresentare la metafora di un periodo storico non sarò certo Shakespeare, questo lo so, ma le reazioni del pubblico in tanti anni ho imparato a gestirle attraverso le emozioni. Almeno ho imparato a provarci. Mi avvalgo di stumenti tecnici per la soluzione di un problema pratico proprio come dice il dizionario. Quanto all’ottimizzazione delle procedure, alla presa di decisioni, alla scelta di strategie finalizzate a determinati obiettivi se volete rendervene conto venite in un museo quando si prepara una mostra o in teatro di posa quando si gira un film.
Mi sento
ringalluzzito. Se Treccani mi sostiene forse anche loro si convinceranno. Continuiamo
a leggere il dizionario.
(La tecnologia) …si riferisce… più in generale, ad un insieme di elaborazioni teoriche e sistematiche, applicabili globalmente alla pianificazione e alla razionalizzazione dell’intervento produttivo. Per Bacco! È quasi fatta, elaborazioni teoriche e sistematiche, ma parla di noi! Costruire e rappresentare ciò che è necessario alla interpretazione del significato che un artista ha dato alla sua opera in un altro tempo. Quanto alla razionalizzazione dell’intervento produttivo è il nostro pane quotidiano. Si riferisce certamente ai conti nelle produzioni che più sono culturali e meno pane ti danno. Comunque sono contento. Vuoi vedere che piano piano mi avvicino alla meta.
Leggiamo ancora la Treccani: La
ricerca connessa alla tecnologia incide tanto sulla conoscenza teorica della
realtà e della natura
costitutiva dei materiali quanto sul loro uso e sulle loro proprietà con influenze dirette
sull’organizzazione sociale e politica.
Qui il dubbio sta solo nella interpretazione della natura dei materiali da elaborare. Certo non può essere letterale e riduttiva, non puo essere tecnologico solo quello che attiene alla materia propriamente detta, altrimenti tutti gli ingegneri che elaborano “bit”, entità immateriali per antonomasia, non farebbero tecnologia. No! Occorre includere anche loro. L’immateriale manipolabile con algoritmi, procedure e metodologie deve essere incluso tra le tecnologie. Ma allora è fatta! Noi che elaboriamo suoni per produrre musica, noi che elaboriamo parole per produrre versi, noi che elaboriamo luce ed immagini per dare forma ad una emozione siamo uguali a loro. Il nostro lavoro è una continua ricerca tecnologica dedicata alla costruzione di una identità sociale costruita intorno alla nostra Storia ed alla comunità stretta intorno a quella stessa identità: la polis. Appunto.
Trasformare luce, gesti e parole in emozioni è una ricerca ed una tecnologia
Possiamo
a testa alta chiedere di operare all’interno del sistema della cultura e
continuare la nostra opera di modesti cantastorie, la Treccani certifica che il
nostro lavoro è una tecnologia e non perchè usiamo apparati compiuterizzati, ma
perchè il nostro pensiero e la nostra opera trasformando luce, gesti e parole
in emozioni è una ricerca ed una tecnologia.
Resta un fatto che mi cruccia. A Minturno, splendida città – porto romano, poco nota, ma di grandissimo fascino e significato storico, Il turista troverà lungo il percorso la seguente spiegazione per la verità estremamente sintetica ed esaustiva:”Imponente struttura ipogea, scandita in senso longitudinale da file di pilastri che suddividono l’ambiente in quattro navate coperte da volte a pseudo-crociera”.
Se invece di essere un cartello fosse un avatar
assistito da intelligenza artificiale o la frase fosse proposta attraverso un
sistema cocleare che appositi sensori intercettano per dare informazioni alle
persone con sordità profonda come cambierebbe il significato?
Una mia amica, valente archeologa, mi ha fatto notare un caso ancora più interessante all’interno della stazione Termini di Roma dove una parte delle antiche mura Serviane sono state inglobate nello shopping center del piano inferiore. Le mura sfiorano l’ambiente occupato da Mc Donald dove è facile vedere gruppi di bimbi consumare il loro pasto preferito o festeggiare un compleanno circondati da palloncini colorati. Ecco l’occasione giusta per raccontare ai piccoli che sono di fronte alla prima cinta muraria della loro città, ecco l’occasione per stare dentro o fuori della città romana solo spostandosi ad un altro tavolo. La spiegazione messa a loro disposizione dice: “Muro di controscarpa dell’aggere Serviano“.
Mura serviane stazione Termini
Se fossero più tecnologiche le due informazioni resterebbero solo quello che sono: uno stupido esempio di estromissione calcolata e volontaria della comunità dei cittadini dalla propria storia e dalla propria cultura.
Meno male che il digitale c’è, direbbe il partito della tecnologia. Io mi sono iscritto a quel partito fin dalla prima ora perchè digitale per me significa manipolazione totale ed assoluta di una immagine e del suo movimento, per me significa creazione di una illusione percettiva che metta in moto aree e sistemi cognitivi diversi, per me significa abbandonare la realtà per rappresentare la verità.
Il digitale, come cultura, non come tecnologia, l’ha inventato Leonardo da Vinci. È lui che ci ha insegnato a tenere insieme due elementi congiunti… l’uomo e il concetto nella mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perchè si ha a figurare i movimenti appropriati agli accidenti mentali di ciascun animale, cioè desiderio, sprezzamento, ira, pietà e simili.
Il nostro lavoro di ricerca e di sperimentazione nei linguaggi delle immagini e dei suoni applicati alla comunicazione culturale è proprio questo, non si tratta di riprodurre la realtà in modo che sia riconoscibile e identificabile, si tratta si rappresentare qualcosa che venga scambiato per vero. Lo stesso Leonardo usa verbi e di conseguenza pensa a strumenti diversi nel descrivere i due processi: “copiare” nel primo caso “simulare” nel secondo. Ah! Se avesse avuto il digitale.
Ho finito. Chissà se qualcuno accettasse mai di
pubblicare questo sproloquio, certo è che nell’interesse di tutti quelli che
producono tecnologie per la valorizzazione dei beni culturali, mi piacerebbe un
titolo Pascoliano: “C’è qualcosa di nuovo oggi nelle tecnologie, anzi d’antico”.
Come procede il processo di digitalizzazione in Italia? Male stando a quanto riportato dall’indice dell’economia e della società digitale (Digital Economy and Society Index – DESI). Si tratta di un indice composito che riassume alcuni indicatori utili a registrare il livello di digitalizzazione dei 28 paesi dell’Unione Europea.
Indice di digitalizzazione in Europa 2019 – Fonte European Commission – DESI
L’Italia, stando all’Indice DESI, si piazza al ventiquattresimo posto sui 28 paesi UE (sotto la media Europea). Fanno peggio solo Polonia, Grecia, Romania e Bulgaria, mentre compongono il podio Finlandia, Svezia, Paesi Bassi (in ordine dal primo al terzo posto).
Questi gli indicatori che compongono il DESI e la performance italiana riscontrata per ognuno di essi:
Connettività
In questa sezione l’Italia fa registrare una delle performance migliori (siamo al diciannovesimo posto). Con un grado di preparazione alle reti 5G che ci vede secondi alle spalle della Finlandia.
Risorse umane
Soltanto il 44% degli italiani tra i 16 e i 74 anni ha una alfabetizzazione digitale minima (media UE al 57%). Il 24% delle scuole non presenta corsi di programmazione all’interno dell’offerta d’insegnamento.
Internet
Un preoccupante 19% dei nostri connazionali non ha mai utilizzato internet (media Ue 11%). I giovani tra i 16 ed i 24 anni risultano essere gli utilizzatori meno assidui di internet. Con solo il 92% che si può considerare un fruitore regolare rispetto alla media europea del 97%.
Integrazione tecnologie digitali
Le imprese italiane, soprattutto le medio-piccole, ancora non riescono a trarre vantaggio ed approfittare della digitalizzazione per aumentare i propri mercati e con essi vendite e fatturato. Solo il 10% delle PMI italiane ha un ecommerce attivo e funzionante (media UE 17%). Con un misero 6% capace di vendere oltre i confini nazionali.
Servizi pubblici digitali
Grazie agli open data ed ai servizi digitali dedicati alla salute l’Italia è in diciottesima posizione nell’indice che registra le performance dei servizi pubblici digitali (migliore posizione in assoluto tra i 5 indicatori). Fa riflettere come solo il 37% degli utenti italiani che devono inviare un modulo lo faccia online, rispetto al 64% della media UE.
Il quadro non è dunque roseo per l’Italia. Il processo di digitalizzazione deve subire un forte impulso per accrescere le possibilità di nascita e sviluppo di nuove aziende che basano sull’economia digitale il loro business. Si può fare, ma occorre muoversi subito.
Partecipando al concorso Vere Imprese di GoDaddy hai l’opportunità di raccontarci la storia della tua impresa e di aumentarne la visibilità.
Il premio
Il premio finale in palio? Tre piani di comunicazione professionale del valore di 20.000 € ciascuno gestiti da Alkemy per far conoscere la tua attività online e per dare slancio al tuo business. Non perdere questa occasione e scopri qui di seguito chi è GoDaddy e come partecipare al concorso Vere Imprese.
GoDaddy
GoDaddy, azienda che gestisce la più grande piattaforma cloud del mondo, lancia il concorso Vere Imprese: il concorso è rivolto a Piccole e Medie Imprese (PMI), Tech startup e Imprese individuali. GoDaddy vanta oggi oltre 18 milioni di clienti in tutto il mondo ed oltre 77 milioni di nomi di dominio in gestione, il posto giusto per dare un nome alle proprie idee, creare un sito web professionale, attrarre clienti e gestire il proprio lavoro.
Puoi partecipare se …
Il concorso Vere Imprese è rivolto a Piccole e Medie Imprese (PMI), Tech startup e Imprese individuali che rispecchiano i seguenti requisiti:
● hanno sede legale o stabile organizzazione nel territorio italiano
● hanno registrato un dominio sul sito it.Godaddy.com
● si sono registrate al concorso sul sito Vereimprese.it entro il 31/07/2019
Al momento della registrazione sul sito Vereimprese.it, ogni partecipante dovrà rilasciare alcune informazioni necessarie alla creazione della propria storia, ossia la scheda dedicata alla propria impresa con cui parteciperà alla votazione online.
I premi in palio
Il concorso Vere Imprese mette in palio 3 premi finali del valore di 20.000€ ognuno, che saranno assegnati ad ognuna delle categorie in corsa. Ognuno di questi premi consiste in un piano di comunicazione professionale realizzato da GoDaddy ed Alkemy, per il sito web collegato al dominio candidato al concorso Vere Imprese. I 3 premi finali saranno assegnati in questo modo:
1 premio per la categoria Piccole e Medie Imprese
1 premio per la categoria Tech startup
1 premio per la categoria Imprese individuali
Come partecipare al concorso?
Iscriviti e aderisci al contest a partire dal 1° aprile e fino al 31 luglio 2019. Condizione fondamentale è avere registrato un dominio su GoDaddy. Per iscriverti al concorso Vere Imprese e avere la possibilità di vincere il premio finale devi avere registrato un dominio su GoDaddy. Se non ne hai ancora uno puoi sempre registrarne uno nuovo. Puoi iscriverti solamente se appartieni ad una di queste tre categorie: Piccole e Medie Imprese, Imprese individuali e Tech startup. Per partecipare al concorso dovrai compilare una scheda sul sito vereimprese.it e raccontare la storia della tua impresa, inserendo alcune informazioni, immagini e video, quando e dove è nata l’idea per il tuo business? Com’è la tua impresa ora e quali sono i tuoi sogni per il futuro? Raccontacelo e crea una storia dedicata alla tua impresa.
Come si svolge il concorso Vere Imprese?
Votazione
Uan volta eseguita la registrazione, fai conoscere la tua storia a più persone possibili e raccogli voti. Le più votate parteciperanno alla fase finale del concorso Vere Imprese. Potrai votare e farti votare a partire dal 2 settembre, fino al 4 ottobre 2019. Le 9 storie che avranno ottenuto più voti (3 per la categoria PMI, 3 per quella Imprese individuali e 3 per la categoria Tech startup) saranno ammesse all’ultima fase del concorso Vere Imprese.
Vincitori
La fase finale del concorso si svolgerà a Milano, nel corso del grande evento finale. A novembre, durante l’evento organizzato da GoDaddy a Milano, una giuria tecnica sceglierà la storia di impresa più interessante per ciascuna delle categorie individuate (PMI, Imprese individuali e Tech Startup) e assegnerà i tre premi finali del valore di 20.000 euro.
Il GoTour
A partire da maggio, il GoTeam di GoDaddy visiterà 10 città italiane per incontrare diversi imprenditori. Potrai farti intervistare durante le tappe del GoTour da un influencer importante. Questa fase non è obbligatoria per partecipare al concorso (è sufficiente iscriversi online) ma è un’ottima occasione per farti conoscere.
Con il termine banda larga wireless (in lingua inglese broadband), nel campo informatico e delle telecomunicazioni, si indicano le modalità di invio di informazioni, impulsi e segnali codificati, su un canale di comunicazione da un mittente ad uno o più destinatari nel tempo più rapido possibile.
Questo tipo di trasmissione è possibile grazie al sistema di telecomunicazioni definito da apparecchiature elettroniche. Normalmente un trasmettitore e un ricevitore, poste agli estremi del canale di comunicazione. Il trasporto di questo tipo di informazione avviene attraverso l’alterazione (segnale portante e modulazione) dell’informazione trasmessa (con parametri precisi e definiti).
Tipologia di connessioni (trasmissioni)
Le connessioni permettono ad una qualsiasi informazione di essere trasmessa a distanza. Si distinguono due grandi tipologie di trasmissioni a banda larga:
banda larga cablata suddivisa a sua volta in trasmissioni elettriche e trasmissioni ottiche.
banda larga wireless suddivisa a sua volta in ottiche e radiocomunicazioni le quali possono essere terrestri o satellitari.
Questa tipologia di trasmissioni permettono fondamentalmente tre tipologie di servizi dedicate agli utenti finali: Fonia, Audio-Video, Dati testuali.
La grande differenza tra le due tipologie principali di connessione a banda larga è data dalla possibilità o meno di essere raggiunti dalla connessione. Il cablaggio necessita fisicamente di oggetti fisici (cavi e centrali). Mentre le soluzioni wireless possono raggiungere anche luoghi in cui non arrivano i tradizionali cablaggi o non sono efficienti.
banda larga wireless
Linkem, leader in Italia nella banda larga wireless
Linkem S.P.A. è l’operatore di telecomunicazioni leader in Italia nel settore della banda larga wireless. Fondata nel 2001, si propone di offrire il servizio di connessione internet senza fili, senza linea fissa, senza barriere e senza ostacoli. In modo che tutti noi possiamo godere di un’interazione semplice e alla portata di tutti, anche nelle aree in cui non arrivano i tradizionali operatori.
Linkem è presente in tutte le regioni italiane con una rete proprietaria e lavora ogni giorno per garantire l’accesso ad internet ad un numero sempre maggiore di famiglie e aziende. Garantendo condizioni economiche sempre accessibili.
Con Linkem puoi navigare senza linea fissa, senza limiti, senza sorprese in bolletta, fino a 30 Mega a soli 24,90 euro al mese per sempre. E puoi connettere in Wi-Fi e in contemporanea tutti i tuoi dispositivi come lo smartphone, il tablet e il PC.
Offerta Linkem banda larga wireless
Fino al 3 Giugno 2019 Linkem propone ai nuovi clienti un’incredibile offerta. Questa offerta (ad link) è riservata a chi sottoscrive un abbonamento e sulla prepagata. Per chi sottoscrive un abbonamento, l’incentivo di €40 verrà riconosciuto in fattura. Mentre per le ricaricabili ci sarà uno sconto sul prezzo di attivazione: 59 invece che 99 e 109 invece che 149.
Rottama la tua vecchia connessione: la Iena Matteo Viviani ti spiegherà tutti i dettagli dell’offerta.
Sapete cosa sono DNS e web hosting? Avete pensato di creare il vostro sito web? Bene allora non potete fare a meno dei due elementi fondamentali, il nome di dominio e lo spazio web per ospitare i vostri file.
Nome di dominio, i DNS
Iniziamo con lo scoprire cosa è il nome di dominio che tecnicamente si chiama DNS (Domain Name System). Il DNS è un sistema che risolve la conversione di nomi a dominio in indirizzi IP e viceversa. Le persone in modo semplice riescono a memorizzare un nome di senso compiuto (Nome di dominio). A differenza di un computer che invece riesce ad interpretare i numeri (indirizzi IP) in modo univoco e più rapidamente, da qui l’esigenza di mettere in comunicazione i due mondi attraverso i DNS.
Se ad esempio volessimo raggiungere il sito dell’enciclopedia più famosa al mondo dovremmo scrivere la Url sotto forma di nome ovvero www.wikipedia.org. A questa nostra richiesta i DNS tradurranno il nome digitato nell’indirizzo IP corrispondente. E ci restituiranno all’interno del nostro browser la pagina web che abbiamo richiesto.
Web hosting, lo spazio in internet
Traducendo letteralmente la parola web hosting otterremmo “ospitando sul web”. Ovvero un servizio svolto da una società che ospita e gestisce sui suoi server i siti dei clienti che hanno richiesto la loro prestazione.
Spesso si tende a generalizzare la definizione di un web hosting definendolo come la presenza di una azienda o di un sito personale su internet. Questa definizione è parzialmente corretta. Perchè non tiene conto di tutta una serie di tecnologie hardware e di personale esperto che deve esserci all’interno della struttura.
Bene, ora sappiamo cosa sono dns e web hosting.
Hosting provider
Le aziende che possono offrire questi servizi, ovvero la vendita dei nomi a dominio e gli spazi web, sono definite “Hosting Provider” che si occuperanno di predisporre tutto il necessario per poter offrire questo servizio: Connettività, Sede fisica (server farm), Protezioni, antincendio, anti-blackout, servizi di Backup, gestione mail ecc.
Uno degli aspetti più importanti degli hosting provider sono le server farm (luogo fisico dove vengono localizzati gli hardware e le tecnologie) dove la sofisticazione tecnologica deve essere altamente sicura ed il funzionamento costante e perenne per la visibilità dei siti web che non conoscono pause e funzionano 24 ore su 24.
GoDaddy, la piattaforma cloud più grande del mondo
La scelta degli Hosting provider non è mai semplice. Ma se siamo esigenti in termini di prestazioni ed assistenza una delle nostre scelte non può che essere GoDaddy.
GoDaddy con 18 milioni di clienti, 8000 dipendenti, 77 milioni di domini in gestione e con la presenza di 14 sedi in tutto il mondo è ad oggi la più grande piattaforma cloud del mondo. Dedicata ad aziende indipendenti di piccole dimensioni.
GoDaddy logo
Offre ai suoi clineti ben 4 pacchetti web hosting differenti, adatti per qualsiasi esigenza: Starter, Economy, Deluxe e Ultimate. Trovate a questo link tutte le soluzioni hosting proposte (ad link) da GoDaddy.
Inoltre GoDaddy offre ai suoi clienti un servizio assistenza molto efficace. Il supporto tecnico telefonico dedicato è fornito da agenti italiani e si può richiedere assistenza in lingua ed ottenere un aiuto anche attraverso i canali social di Facebook e Twitter.
Per cui, per rendere visibile il sito sul Web è necessario scegliere ed acquistare (tra quelli ancora diponibili) un nome di dominio che meglio rappresenti la vostra attività e sia potenzialmente mnemonico per i potenziali utenti ed un piano Hosting adeguato alle esigenze del sito.
Qual è il valore dei dati? Perchè i dati sono diventati il petrolio della nostra società digitalizzata? Siamo pronti a gestirli e soprattutto siamo in gradi di percepirne la mole?
I conquistadores a caccia di nuove ricchezze
Un tempo c’erano i sumeri, fenici, greci, ma soprattutto i romani. Antichi conquistatori alla spasmodica ricerca di espandere l’Impero.
La cavalleria romana travolge i Persiani nel bassorilievo che decora l’Arco di Galerio a Salonicco (Foto L. Marisaldi).
Poi è stato il tempo dei conquistadores spagnoli e portoghesi. Soldati, esploratori, avventurieri che portarono gran parte delle Americhe sotto il controllo dell’impero coloniale spagnolo tra il XV e il XVII secolo. Tutti sappiamo come andarono quelle spedizioni. La colonizzazione fu caratterizzata dalla violenza dei conquistatori che sterminarono i conquistati. Le popolazioni locali furono spazzate via, distrussero intere civiltà e si avviò lo sfruttamento economico dei nuovi territori.
Theodore de Bry in 1592 formed part of his America Series and showed Christopher Columbus landing on the Caribbean island of Hispaniola in 1492
Conquistadores digitali, a caccia di dati
A distanza di 500 anni assistiamo ad una nuova conquista, una nuova forma di colonialismo, con i padroni della Rete che sono i moderni conquistadores. E’ vero, non si conquistano territori reali (per definizione la Rete è virtuale), ma popoli e dati: i conquistati stavolta siamo noi, tutti.
Noi, con tutti i nostri dati, siamo i nuovi conquistati dai padroni della Rete?
“In pochi altri momenti della storia le persone sono diventate prodotti. Abbiamo avuto la tratta degli schiavi, la prostituzione, ed oggi il mercato dei dati”. E’ quanto scrive Christopher Wylie, ex direttore della ricerca di Cambridge Analytica. Che prosegue il suo ragionamento proprio con un parallelismo tra colonialismo e neo-colonialismo.
“Penso che il colonialismo sia un esempio storico efficace per spiegare cosa succede quando lungo il cammino dell’umanità scatta una corsa ad appropriarsi delle risorse e delle persone in una terra di frontiera […]. I colonizzatori venivano spesso considerati figure divine. Avevano la polvere da sparo, le corazze, le navi. Erano portatori di una tecnologia superiore, ma non erano altro che conquistatori. Il parallelo con quanto sta avvenendo nel mondo del digitale è evidente. Abbiamo cominciato a considerare come semidei coloro che hanno rivoluzionato questa industria. Ma in realtà sono solo persone che stanno entrando in questa nuova terra. Esattamente come fecero i conquistadores con la popolazione indigena. Solo che questa volta gli indigeni (e la risorsa da sfruttare) siamo noi”.
Il valore dei dati
Proprio dopo lo scandalo Facebook / Cambridge Analytica (l’uso scorretto di un’enorme quantità di dati prelevati da Facebook, da parte di un’azienda di consulenza e per il marketing online, appunto Cambridge Analytica, che avrebbe favorito l’elezione di Donald Trump, condizionato il referendum sulla Brexit e tessuto relazioni “pericolose” con la Russia di Putin) qualcosa si è mosso a livello di opinione pubblica. Nel frattempo è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo sulla privacy (noto come GDPR).
Resta il fatto che nessuno sa dire con certezza quanti e quali dei nostri dati personali sono in possesso dei grandi player mondiali di Internet (Facebook, Amazon, Google, per citarne solo alcuni). Dati digitalizzati che non vengono più considerati “data as oil” (dati come petrolio) da raffinare per “estrarre” informazioni, (ed essere rivendute). Ma “data as currency” (dati come moneta), essi stessa moneta.
La prossima rivoluzione capitalistica vedrà il dato come “capitale”, in sostituzione del denaro. Secondo Viktor Mayer-Schonberger, professore all’Università di Oxford e tra i massimi studiosi di big data, siamo alla vigilia di una nuova rivoluzione industriale. Tanto epocale quanto la prima, che reinventerà il capitalismo.
Scrive Mayer-Schonberger: “Oggi un numero limitato di aziende gestisce i dati, quindi guida i mercati, rendendo il capitalismo più simile ad un’economia pianificata che ad una economia di mercato. Grandi aziende ci consigliano non solo dove e come, ma anche cosa comprare […]. Una soluzione (per contrastare questi monopoli ndr) potrebbe essere quello che io chiamo progressive data sharing […]. Una condivisione progressiva dei dati cui si potrà arrivare solo previa regolamentazione, da parte dei governi, delle modalità in cui i dati sono raccolti, controllati e resi accessibili in maniera equa e condivisa da parte di tutti gli attori economici interessati”.
Data as currency
Interessanti esperimenti in proposito si iniziano ad intravedere all’orizzonte (molti basati su tecnologia Blockchain). Uno molto interessante prevede ad esempio la possibilità per gli editori online di concedere la possibilità agli utenti mobile di scegliere se pagare l’accesso a contenuti con i propri dati anziché con la moneta tradizionale. Il cerchio si chiude: data as currency diventa realtà.
Soluzioni che riconoscano pari valore al dato rispetto alla moneta sono forse il futuro del marketplace digitale. Una opzione che permette di scegliere se pagare un prezzo equo in cambio di un’esperienza che non richiede la condivisione dei dati dà valore al dato e ripristina e rafforza la fiducia degli utenti nel player che la propone.
Questo è un frame di una campagna pubblicitaria del 2018 di una famosa azienda automobilistica giapponese pubblicato su Twitter, il video mostra scene di guida quotidiane di un pilota con una gigantesca emoji al posto della testa.
E tu. che emoji usi? (technicavita.org)
A sostituire le espressioni di un attore una ben più efficace facciona gialla per poter far immedesimare più persone possibile. Non proprio.
Di questo stesso spot sono state pubblicate 83 versioni differenti.
Ogni versione ha un attore con un’emoji diversa e un contesto emotivo differente. Poiché ogni versione è indirizzata ad utenti vari e specifici. Selezionati secondo criteri differenti dalle solite campagne di marketing.
Non più elementi come età, sesso, area di residenza, gusti ed interessi. Ma sono state le emoji stesse a determinare la distribuzione di questi spot per i differenti “target”. A Toyota infatti è bastato collezionare giusto alcuni dati sull’utilizzo delle faccine digitali nel social di Twitter per capire a quali utenti indirizzare ciascuno spot.
Tutto inizia nel 2016, quando il social dei cinguettii introduce la possibilità di accedere ai dati sull’uso delle emoji dei propri utenti. Proprio in procinto del primo World Emoji Day. Già allora dal 2014 erano state twittate 110 miliardi faccine e il famoso e rinomato Oxford Dictionary ne aveva scelta una in particolare come “parola” del 2015. Ciò le elevava ufficialmente a moderno geroglifico, in grado di contenere al loro interno un significato ben definito che non necessita di spiegazioni.
Oxford Dictionary, Word of the Year, 2015 (pixabay.com by Conmongt)
Emoji che usi = bisogni che hai
Emozioni, oggetti, animali, sport, azioni, abbigliamento, architettura, arte, meteo e cibo, soprattutto cibo, pensando a tutto ciò che si può dire con un’emoji non è difficile concepire quale potere guadagna chi è in grado di sapere quali emoji usiamo.
Una nota azienda che produce pizza non avrà più bisogno di geni del marketing. Le basterà sapere chi ha usato l’emoji della pizza ultimamente per sponsorizzazioni mirate.
Questo ha sicuramente rivoluzionato le pubblicità ed ha affilato l’arma delle sponsorizzazioni targetizzate (pubblicità mirate ad uno specifico pubblico di consumatori, che secondo determinati criteri di selezione, sono più propensi a comprare e/o interagire con un bene di consumo).
Dando alle aziende un vantaggio incredibile rispetto al passato, che non limita a profilare i propri possibili consumatori secondo le loro personalità. Ma estende la classificazione ad emozioni momentanee ed immediate. Questo succedeva ormai due anni fa ed è molto probabile che già altri social facciano lo stesso. Tenendo sotto controllo le corde dei nostri cuori per aiutarci ad avere una better user experience (una migliore “esperienza per l’utente”). E così che quando navighiamo nei siti troviamo proprio ciò che stavamo desiderando quel giorno, o pochi istanti prima!
Questo articolo non vuole evocare atmosfere Orwelliane (poiché l’autore ci tiene a specificare che i servizi gratuiti online non sono mai veramente omaggi ma vengono pagati dagli utenti tramite i loro dati). Semplicemente vuole chiedere ai propri lettori di riflettere sull’utilizzo che essi fanno della rete e fare una domanda. Pensate che sia invadente e inopportuno catalogare tra i vostri dati anche le vostre emozioni?
La stampa 3D in cucina? Sembra proprio di si. E presto potremmo trovarci nella condizione di sentirci dire da nostro figlio: “Mamma, stasera per cena mi stampi la pizza?”.
Solitamente in Italia, quando si parla di innovazione nel mondo alimentare, tutti si mettono sulla difensiva e gridano “Eresia!”. A quanto pare non più. Già da qualche anno infatti il settore del “food printing” sta vivendo un periodo di grazia, vedendo il fiorire di un mercato totalmente nuovo che abbraccia ormai gli alimenti più disparati. Passando dalla cioccolata alla pizza 3D appunto.
Per quest’ultimo alimento poi si guarda già all’alta qualità, con collaborazioni come quella fra BeeHex e lo chef internazionale Pasquale Cozzolino, che ha contribuito al progetto di una macchina in grado di stampare pizze 3D. Mantenendo caratteristiche importanti come l’utilizzo del lievito madre.
Stampa 3D in cucina: il cibo diventa tecnologico
Il motivo è piuttosto semplice, come per la normale produzione industriale, con la stampa 3D si ha modo di abbattere fortemente i costi di produzione. Mantenendo uno standard qualitativo estremamente omogeneo sui prodotti.
Per quanto riguarda poi i prodotti, e non solo gli alimenti, composti da miscugli, quindi da miscele di polveri e solventi, come potrebbe essere il cemento, il processo risulta particolarmente favorevole. Riducendo al minimo la perdita di qualità rispetto alle tecniche realizzative tradizionali ed ottimizzando tempi e costi di produzioni.
La dimostrazione è la nascita delle prime società in grado di stampare case in 3D. Ovviamente la stampa riguarda solo lo scheletro e le parti in muratura. Tutti gli altri lavori vengono eseguiti con tecniche tradizionali. Ma a guardar bene non manca molto prima che si possa dire di avere una casa interamente stampata in 3D, arredi compresi.
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La prima abitazione di questo tipo costruita in Europa si trova a Milano, in piazza Beccaria, ad opera di Massimiliano Locatelli di Cls Architetti. Realizzato nel 2018, si tratta di un edificio di 100 mq distribuiti su un solo piano. Sono attualmente in corso gli studi per la realizzazione del secondo piano. Segno evidente che non sono ancora pienamente note le possibilità tecniche di questo sistema costruttivo. Ma l’entusiasmo generale è motivato dai promettenti risultati finora raggiunti.
Ad oggi le stampanti 3D iniziano a farsi largo nel mercato di massa, raggiungendo così prezzi abbordabili e prestazioni elevate. Ma purtroppo la gamma si limita ai modelli in grado di stampare polimeri plastici o vegetali. Materiali utilizzati principalmente per gadgettistica ed elementi d’arredo, in quanto ovviamente ogni modello è predisposto per stampare solo una limitata qualità di materiali.
Manca ancora del tempo quindi prima di frasi tipo “Te le ricordi le lasagne di nonna?! Come le stampava lei…”
Tutti conoscete l’animazione digitale, ma vi siete mai chiesti come si realizza un cartone animato? Le tecniche di animazione digitale hanno subito qualche variazione nel tempo. Più che altro si tratta di facilitazioni, in effetti. Ma i metodi rimangono all’incirca identici. In particolare se parliamo di animazione 2D.
L’animazione tradizionale
Il sistema più conosciuto è quello a cui ci ha abituati la Disney con i suoi grandi classici, come “la Sirenetta” o “Il Re Leone”, tanto che viene chiamata “animazione tradizionale”.
In sostanza si tratta di disegnare ogni singolo fotogramma dell’animazione. Che verrà poi riprodotto come se fosse un normale fotogramma in pellicola, con qualche possibilità di variazione sugli fps [Nda: fotogrammi per secondo]. Di solito sono 24, anche se un valore più alto fornisce una maggiore fluidità di movimento. E di solito viene percepito come una maggiore qualità nella realizzazione.
Alcuni videogames, per esempio, raggiungono picchi di anche 200 fps per mantenere la fluidità necessaria ad alcuni movimenti particolarmente veloci. I giocatori più incalliti sapranno bene quanto è importante avere una buona visione della scena in questi momenti!
Animazione digitale, quanto è cambiata dagli inizi? (pixabay.com by DG-RA)
Il supporto del digitale all’animazione
Questa tecnica ovviamente comporta la necessità di ridisegnare moltissime volte gli stessi soggetti. E proprio come quando il Sig. Disney fondò il suo impero, ancora oggi questa necessità è viva e vegeta. Perché il software non è in grado di creare elementi dal nulla. Può solo aiutare a modificare o muovere cose che il disegnatore ha inserito a mano, alla vecchia maniera. Avendo anzi la difficoltà aggiuntiva di dover lavorare su un supporto che spesso non è confortevole come la carta.
Sicuramente poter cancellare senza rovinare il foglio è un grande aiuto. Così come l’automazione di moltissimi processi, la possibilità di suddividere i piani di profondità, come il soggetto o lo sfondo, senza doverli disegnare tutti ogni volta (un tempo si sarebbero utilizzati dei fogli trasparenti. Oggi si chiamano livelli, ma sono la stessa cosa. Ma da qui a dire che “tanto il lavoro lo fa il pc”, ovviamente ce ne passa.
Una cassetta degli attrezzi, ma molto più fornita
Questo per dire, purtroppo, che verso la creazione di contenuti digitali, si tratti di musica, di video o di immagini, c’è ancora molto mistero. Quindi, cose che potrebbero sembrare facili, in realtà si dimostrano ben più complesse. Si pensi ad esempio ai titoli di coda di un film di animazione. La lista dei nomi è lunghissima per una ragione specifica. Ognuna di quelle persone ha curato un aspetto specifico del progetto, così da ottenere il risultato migliore in ogni singola componente.
I software sono come della cassette degli attrezzi, spesso permettono di svolgere più agilmente un compito. Ma difficilmente possono rimuoverlo del tutto. La difficoltà è inoltre costantemente aumentata dalla richiesta del pubblico che, abituandosi in fretta, chiede di continuo prodotti migliori e più spettacolari.
Lucas vs Lucas
Un buon esempio per il confronto è la saga di Star Wars, considerando i primi sei film. Non per gusto ma perché i film a produzione Disney ed i primi tre capitoli della saga, cioè gli ultimi prodotti prima dell’acquisizione della società, sfruttano tecnologie molto simili, semplicemente aggiornate.
Mentre i film recenti sfruttano totalmente tecnologie digitali come ricostruzioni 3d ed effetti di post-produzione video, i vecchi film come quelli del ‘77 sfruttavano sistemi analogici. Per quanto la logica sia identica.
Nonostante stavolta non si tratti di animazione 2D ma 3D, il caso risulta ugualmente calzante.
Per le esplosioni delle navette, ad esempio, Lucas costruì dei modellini che posizionò davanti ad uno sfondo dipinto dello spazio. Iniziò poi a romperli seguendo i criteri di un’esplosione, simulando le fiamme con dell’ovatta colorata, scattando 24 foto al secondo. Così da poterle inserire come fotogrammi, secondo una tecnica chiamata “passo uno”.
Per i film più recenti invece, sono stati ricostruiti tutti i modelli, stavolta in un software 3d. Sono state inserite le luci, le texture per simulare i materiali, effetti particellari per simulare fumi, grane, combustioni e altri disturbi. Così da ottenere un’immagine meno pulita, più realistica. Poi è stata inserita una camera 3d per filmare la scena e tutti i modelli, camera inclusa, sono stati animati. Ovvero gli sono stati impartiti i comandi, dopo aver inserito un’ossatura (ad esempio per i “walkers”) a cui associarli.
Ovviamente, poi c’è la post produzione [Nda: fase terminale dei lavori di ripresa o animazione, durante la quale si aggiungono effetti, filtri, correzioni cromatiche e similari]. Nei film degli anni ‘80 si coloravano i laser sulle pellicole, fotogramma per fotogramma. Adesso si disegnano i laser in digitale, spesso fotogramma per fotogramma.
Star Wars – Animazione digitale, quanto è cambiata dagli inizi? (pixabay.com by Patrice_Audet)
Analogie e differenze
Analogie e differenze risultano evidenti, anche a chi non è allenato. I processi di creazione della medesima tipologia di prodotti si vanno raffinando nel tempo. Affilando gli strumenti grazie alla traduzione in digitale di moltissimi processi, mantenendosi invece pressoché inalterati nella struttura. La fotografia, allo stesso modo, si è resa più accessibile, meno severa nella realizzazione. Adesso le possibilità di fotoritocco sono estreme, così come le possibilità di scatto, grazie a nuovi sensori, nuove batterie, nuove ottiche. D’altra parte la pressione del mercato sull’abbattimento dei costi rimarrà sempre la voce dominante, per cui i Simpson li animano in Korea.