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Blog per ecommerce: come crearlo?

Un blog per ecommerce è necessario, il problema sta nel come crearlo perché supporti nella fidelizzazione e nella vendita dei prodotti, andando a spremerlo il più possibile per trarre benefici dai suoi contenuti. Già, perché spesso vedo blog buttati lì, con i soliti bruttissimi contenuti, magari adesso totalmente scritti da ChatGPT “così facciamo traffico” senza pensare che è la nostra voce, che è la nostra possibilità di evitare che i potenziali acquirenti si rivolgano ad altri negozi online, che è il luogo in cui possiamo colloquiare con chi già acquista da noi.

BigCommerce, dice che il 40% delle entrate di un’azienda di ecommerce proviene da clienti fedeli, per esempio, e di sicuro il blog è un ottimo modo per coccolarli, con contenuti studiati appositamente per stimolare, ispirare e approfondire.

Per cui vediamo insieme un blog per ecommerce come crearlo.

Layout per blog di ecommerce

Prima di pensare a qualsiasi contenuto è necessario pensare attentamente agli spazi: dobbiamo informare e stimolare all’acquisto e non dobbiamo lasciare che l’utente se ne vada senza aver compiuto un’azione, quantomeno l’iscrizione alla nostra newsletter.

Partiamo dal fatto che le persone scansionano un testo e non lo leggono (NN Group “How People read online“) e che se vogliamo si soffermino a compiere qualsiasi azione, sul nostro blog per ecommerce, dobbiamo solleticare parecchio l’attenzione e ricordare che le persone continuano a non voler sprecare tempo online o fare fatica.

Il risparmio cognitivo, studiato da E. Rosch in termini di linguaggio, resta ancora uno dei punti cardine della nostra capacità di cercare informazioni online: le migliori informazioni in meno tempo possibile. Conosco un motore di ricerca che è diventato il più usato al mondo proprio perché ha risposto a questa necessità, si chiama Google.

Il layout di un blog per ecommerce, quindi, deve avere queste caratteristiche:

  • contenuti fuori dal comune sugli intenti di ricerca informativi comuni, non ci dobbiamo limitare alla scrittura ma pensare ad arricchire la pagina di contenuti immediati come infografiche, immagini esplicative, video e audio;
  • blocchi grafici intuitivi per spingere alla vendita mentre scrolliamo il contenuto iper pertinenti a ciò che stiamo leggendo e più persuasivi possibile;
  • call to action, poche ma buone, qui stiamo informando le persone evitando lo facciano da un’altra parte, se vogliamo che vengano compiute informazioni differenti dalla mera lettura del contenuto, è il caso di evitare di indispettire con un parco giochi di clicca qui.

Se vogliamo il blog per ecommerce è paragonabile al commesso o commessa del negozio: ti accoglie, ti spinge alla vendita con delle informazioni di valore, aggiunge altri acquisti non pensati perché “come ti starebbe bene questo insieme a questo“. Con delicatezza, senza insistere e, alla cassa, ti chiede se vuoi la Fidelity Card.

Prediamo per esempio Actesso, blog del Regno Unito, per l’acquisto di supporti medici. Gli articoli hanno dei contenuti davvero utili e interessanti con immagini create ad hoc per accompagnare il testo.

Solo alla fine dell’articolo, vengono suggeriti i loro prodotti, ma prima è stato spiegato precisamente tutto ciò che ha a che fare con la fascite plantare, dal perché alla terapia, passando agli esercizi di fisioterapia precisamente descritti e solo alla fine si pensa alla vendita.

Contenuto di un blog per ecommerce

La tristezza infinita mista alla banalità è ciò che più mi viene da pensare nella stragrande maggioranza degli ecommerce nei quali vedo il blog e, mea culpa, in passato anche per causa mia perché, diciamoci la verità, il compito del SEO specialist era: portare traffico organico senza costare troppo. E, alla fine, non può essere: avere traffico e non farsene nulla dando anche quella sensazione di pochezza perché le informazioni sono tutte uguali non fa vendere, fa scappare.

E, secondo me, è anche uno dei motivi per cui ChatGPT e company mandano e manderanno a casa un sacco di copywriter. Brutto a dirsi ma, all’ennesimo contenuto identico, senza nulla di piacevole, differente, che faccia comprendere la famosa EEAT di Google (Esperienza, Competenza, Autorevolezza, Affidabilità) sta che i nostri clienti scelgano di farsi scrivere un contenuto da una macchina che pesca conoscenza dalla pochezza già presente online.

Basterebbe seguire le linee guida dei quality rater per evitare di raccontare a persone che dovrebbero comprare da noi inutilità e futilità banali senza fine.

Viene chiesto di verificare che ci sia:

  • impegno nella creazione del contenuto, anche se viene utilizzata una AI (lo dice nemmeno tanto tra le righe), per ottenere qualcosa di soddisfacente;
  • originalità, verificando che non siano contenuti copia e incolla di altri siti web, che ci sia unicità in ciò che proponiamo;
  • talento o abilità, misurando quanto ciò che viene letto renda l’esperienza soddisfacente all’utente;
  • accuratezza, specie su pagine YMYL (quei contenuti che hanno a che fare con la nostra salute e le nostre finanze), misurando se ciò che si legge è veritiero, sostenuto da riferimenti bibliografici, consolidato grazie al parere di esperti.

E, se la tentazione è scrivere un milione di articoli per stimolare il traffico, io consiglio: meno ma veramente spettacolari e da poter poi utilizzare in tutti gli altri canali di conversione. Con un post di blog si può:

  1. arricchire la newsletter smettendola di inviare solo sconti che ne abbiamo a pacchi;
  2. creare diversi post per i social, senza dover riscrivere la ruota;
  3. leggere il contenuto, magari utilizzando la voce dell’author, così da permettere di avere un simil podcast e permetterne la fruizione anche quando si è in movimento;
  4. trasformare il contenuto in un lead magnet da associare all’iscrizione della tua newsletter, insieme al solito meraviglioso sconto del 10% al primo acquisto;
  5. evitare di creare sempre qualcosa di nuovo se si è pensata bene l’architettura di contenuti, con evergreen e tendenze del momento insieme a contenuti facilmente aggiornabili, perché le persone non avranno mai ricordo, dopo tempo, di ciò che hanno letto e potranno trovarne giovamento anche se il contenuto viene nuovamente ricondiviso.

Potremmo parlarne all’infinito, e io sarei pronta a farlo, ma già iniziare a pensare che, nel 2023, possiamo ottimizzare dei tempi grazie alle AI e concentrarci nel creare davvero il nostro un blog per ecommerce di valore ed evitare che ci siano solo blogger a parlare di noi che, di sicuro, non sono interessati a vendere più prodotti e servizi nostri, non sarebbe male.

Tutto ciò che ho riportato sopra richiede tempo e denaro, senza se e e senza ma, è necessario valutare bene l’investimento, comprendere quanto può portare al nostro mercato e, a quel punto, farlo bene sul serio o un blog per ecommerce servirà solo per portare traffico organico sporco con cui pesare solo sui server.

Digitalizzazione: siamo in ritardo… e non vogliamo neanche recuperare

Se l’Italia è divenuta facilissimo bersaglio degli hacker, tanto da avere subito il 169% in più di attacchi nel 2022 (rapporto annuale del Clusit, condotto su 148 paesi). Se la dirigenza politica del Paese non ha ancora consapevolezza del ruolo nevralgico che il digitale ha nelle attività pubbliche e private della cittadinanza, mostrando più interesse per il solito vecchio clientelismo, piuttosto che a salvare il Paese da implosione certa.

Se in ambito scolastico è a tutt’oggi inesistente una formazione tecnica propedeutica allo studio diffuso delle discipline STEM,
come si può pensare di ridurre il gap, circa il grado di digitalizzazione, con gli altri Stati (vedi l’indice DESI) e rendere l’Italia una nazione moderna, competitiva e, soprattutto, protetta dagli “invasori cibernetici”?

Procrastinare ancora interventi di sicurezza risolutivi, date anche le recentissime dimissioni del direttore dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, Roberto Baldoni, significa esporre gli italiani a gravissimi rischi e pericoli.

Cosi come, procrastinare ancora un serissimo piano di digitalizzazione per il Paese, vuol dire perdere il treno della transizione digitale, che ha scadenza nel 2030, con deleteria ricaduta anche economica, non solo per la perdita dei fondi del PNRR, ma perché è ormai indissolubile il legame che unisce l’economia nazionale all’evoluzione tecnologica di ogni Paese.

Be Real: il social network della semplicità

È nata la prima applicazione anti – social che si pone come obiettivo quello di portare le persone a mostrarsi per come sono senza filtri e inganni. Stiamo parlando di Be Real, lanciata nel 2020 e ideata da Alexis Barreyat e Kevin Perreau. Il suo slogan Your friends are real (i tuoi amici sono reali), rispecchia fedelmente il desiderio di favorire la nascita di relazioni più vere, lontane da influencer e pubblicità.

Cos’è e come funziona

Si tratta di un social network che punta di più sull’autenticità dei contenuti. L’applicazione con una notifica indica il momento in cui è possibile scattare una fotografia nell’arco di due minuti, ovunque ci si trova e in qualsiasi situazione. Pubblicato il contenuto, resterà disponibile sul profilo per un giorno al termine del quale verrà cancellato in automatico.

Contrariamente ai social network più famosi, Be Real non presenta follower, like e neanche condivisioni (l’unica modalità di interazione è quella del commento sotto l’immagine), tuttavia, i contenuti autentici e sinceri rendono il tutto molto divertente e inusuale.

Si potrebbe definire come social della spontaneità, che pone dei vincoli agli utenti, come ad esempio quello di poter accedere solo una volta al giorno ed utilizzare foto scattate sul momento senza alcun filtro.

La presenza dei marchi su Be Real

Per i brand l’approccio con una realtà social come Be Real è del tutto nuovo e se vogliono essere presenti su questo social devono farlo con la stessa spontaneità che viene richiesta agli utenti.

Ad esempio, Mango, il marchio di moda Spagnolo ha deciso di essere presente e ha utilizzato Be Real per mostrare quello che realmente accade nel dietro le quinte del lavoro svolto ogni giorno.

Per diverse realtà aziendali, può essere un vantaggio utilizzare Be Real per mostrare la loro autenticità e spontaneità, mostrando ad esempio il lavoro quotidiano del Team, come si svolge uno shooting o scatti inaspettati così da stupire l’utente.

L’avvento di questo social network rappresenta un grande cambiamento, che spinge ad essere se stessi, regolare la quantità di contenuti pubblicati come a cercare di riportare la gente a vivere di più la vita reale e trascorrere meno tempo dietro al monitor di un cellulare per mostrare quello che più delle volte viene “romanzato” attraverso filtri e migliorie.

Agenzia SEO e clienti: panoramica riflessiva

Questo è un problema che abbiamo tutti e ne parliamo sempre molto poco: essere un’agenzia SEO e convincere i propri clienti affidarsi del nostro lavoro non è assolutamente una passeggiata in salute.

Oggi voglio strapparvi una riflessione, da ambo le parti, perché lo diceva pochi giorni fa l’illustre filosofo Luciano Floridi, su La Repubblica, parlando di ChatGPT e tutte le Intelligenze Artificiali a venire “L’evoluzione di queste tecnologie accelera. E accelera la sua accelerazione. In questo quadro bisogna capire cosa ne sarà della nostra società nel prossimo futuro“. Ecco, noi pensiamo proprio a questo: i lavori a ripetizione spariranno e sarà proprio la capacità di pensare a farci rimanere in piedi: non dobbiamo vendere tempo, ma competenza dichiarandola una volta per tutte.

1- Fare SEO non è una scienza esatta

Un’agenzia SEO a volte non riesce a raggiungere gli obiettivi che si è posta per tre motivi:

  1. mancanza di budget;
  2. mancanza di coordinamento con gli altri reparti;
  3. concorrenza spietata nel settore.

Ciò significa che quando si inizia un percorso SEO, si deve avere subito il coraggio di informare il cliente che abbiamo ottenuto dei buoni risultati con la nostra clientela, ma non è detto che, a parità di impegno, si avranno gli stessi risultati.

Se non si parte con le carte in tavola e la sincerità, senza paura di poter dire “Guardate, non sarà così semplice se questo è il budget che abbiamo, i tempi saranno più lunghi per ottenere risultati” o, semplicemente, “I vostri competitor e il settore in cui lavorate non permettono di avere risultati veloci se non utilizzando anche tutti gli altri canali“, il nostro cliente andrà in crisi e sarà sicuramente poco sereno nei nostri confronti.

Fare cultura significa aiutare i clienti che ci hanno scelto a comprendere precisamente in quale campo ci muoviamo, specie ora che andiamo incontro a modifiche velocissime del nostro modo di lavorare con l’avvento dell’intelligenza artificiale.

Per cui, il consiglio spassionato, quando ci troviamo di fronte all’opportunità di avere un nuovo cliente, è quello di chiarire immediatamente quali sono stati i nostri risultati, quali sono stati i nostri flop e perché lo sono stati.

Dobbiamo dichiarare subito che, come agenzia SEO, il nostro impegno è proporzionale al budget erogato e che non è più a buon mercato perché il canale è organico, è certo il miglior canale di conversione, ma è diventato anche il più difficile da raggiungere se non si veste adeguamente a seconda del settore e della competizione a parità di canali di conversione attivati.

Questo, non vuol dire che non ci si debba lavorare, ma che si deve da subito comprendere che il ROI è più lungo rispetto ad altri canali di conversione ma, una volta avviato, porta immense soddisfazioni in termini di conversione e fidelizzazione.

2 – Agenzia SEO e altre agenzie web come clienti

In questo caso, come Agenzia SEO, dobbiamo sempre è essere veri partner delle altre agenzie che ci contattano per supportarle. Le agenzie web o di comunicazione, spesso, non hanno un reparto interno per il posizionamento organico, ma utilizzano agenzie SEO come la mia, che sono specializzate per i progetti in cui è necessaria la nostra esperienza.

Collaboriamo da anni con diverse agenzie sul territorio io, in primis, adoro farlo e mi diverte moltissimo poter entrare nel flusso di processo di queste agenzie e vederle crescere accanto a noi.

In questo caso, portate il vostro processo all’interno dell’agenzia, condividetelo, applicatelo, siate presenti come foste colleghi, perché non potrete decidere direttamente come comportarvi con il loro cliente ma, sicuramente, potrete fornire un valido supporto per raggiungere i risultati attesi.

Per chi si occupa di SEO, poter lavorare con altre agenzie è un grande arricchimento. Ovviamente, si partecipa a molti più progetti, si conoscono molte più persone e, con esse, le loro expertise. Non dimentichiamoci che fare SEO significa dover conoscere davvero più mondi possibili e questo è sicuramente uno dei modi migliori.

Che cosa vi consiglio? Non scendete a compromessi con le attività che dovete svolgere per i loro clienti, perché magari c’è meno budget, perché non sanno stimare precisamente il vostro lavoro o perché credono di aver già dato supporto a quello che farete.

Agenzia SEO con agenzia web

Firmate fin da subito un patto di non concorrenza e una bella NDA, se l’agenzia lo ritiene necessario, si sentirà al sicuro. In fin dei conti, dovrebbe interessare il guadagno e non tanto il bollino da applicare sul sito alla voce: abbiamo lavorato per. Credo, anche, che nel 2023 non dovremmo più nasconderci dietro un dito, evitando di dire ai nostri clienti che ci affidiamo a partner verticali per fornire maggiori risultati, ma questo è un altro discorso.

Dichiarate fin da subito che siete disposti a creare offerte insieme a loro per supportarli nell’ottenere contratti che siano di valore. Portate il vostro know-how con altruismo: se l’agenzia impara da voi, ogni contratto sarà sempre più semplice da gestire e se l’agenzia è intelligente, non sostituirà il fornitore, ma ne stringerà una duplice alleanza.

Ripeto, portate il vostro flusso di processo per la parte alla quale lavorate e siate rigorosi nel farlo rispettare. Avrete una responsabilità in più: far andare bene il loro cliente perché loro abbiano un bilancio in attivo. Abbiate voglia di partecipare alle loro riunioni, di dire la vostra, di investire più tempo nella prima fase del vostro rapporto per allinearvi velocemente e costruire le basi di una partnership duratura.

3 – Il cliente non ha sempre ragione

Non è vero che il cliente ha sempre ragione. Un’agenzia SEO, con i propri clienti, deve avere il coraggio di dire: “Tu preoccupati di produrre ciò per cui mi paghi per promuoverlo. Io mi devo preoccupare di far sì che il tuo fatturato aumenti con il miglior margine“.

Abbiamo viziato questo mondo dicendo chiaramente che tutti abbiamo possibilità nel web. Non è vero.

Facciamo percepire ai nostri clienti che hanno il diritto di dire quasi ciò che vogliono perché anche loro usano il web. Non siamo stati onesti negli anni con loro.

Non abbiamo detto che ci vuole tempo, che possiamo sbagliarci, che dobbiamo avere contratti di lunga durata e dobbiamo essere misurati sul lungo periodo per poter realmente portare un beneficio.

Non diamo al nostro cliente il supporto necessario per comprendere ciò che stiamo per fare e che è doveroso fare. E alla fine, ci ritroviamo a doverlo sopportare perché frustrato dalla mancanza di informazioni specifiche riguardanti il proprio business online.

In un progetto SEO, il cliente, così come in tutto il flusso di processo di un’agenzia web, è perennemente presente e fa parte del team. Va stimolato a fare ciò che noi sappiamo essere corretto.

Non è lui a dire a noi che cosa bisogna fare per portare a casa business dal nostro canale di conversione, ma siamo noi che dobbiamo far capire bene a lui quali sono le sue responsabilità rispetto al progetto e limitare i blocchi, convinto di saperne più di un’agenzia SEO. Di sicuro, il suo mercato lo conosce benissimo, ma quello che conosciamo in più noi è come il mercato opera online e non sta a lui decidere come catturarlo, ma di sicuro deve capire perché prendiamo una determinata strada.

Consiglio spassionato: dichiarate subito al vostro cliente che volete portare business online, perché resti con voi e cresca di anno in anno le attività digitali. Perché questo è sano per entrambi. Un cliente nuovo, lo sappiamo tutti, costa molto di più di un cliente che va in up-selling e sono certa che lo sappia anche il nostro cliente.

Smettiamola di pensare al raggiungimento del risultato senza sottolineare che non siamo PAGATI per APPLICARE ciò che lui pensa sia giusto, ma per dimostrare che i risultati raggiunti con gli altri clienti li possiamo raggiungere anche con lui.

Giulia Bezzi

Io porto sempre due esempi.

Il primo. Caro cliente, entra in un concessionario e chiedi una Puma. [NdR. È la mia auto, ne sono iper convinta, la consiglio a tutti se volete eleganza, efficienza, risparmio e praticità]. Al momento dell’acquisto, prova a chiedere caratteristiche non presenti a listino. Ciò che ti verrà detto è che non è possibile, che forse conviene scegliere un’altra auto, ma di sicuro nessuno andrà in produzione a creare la Puma che vuoi tu, come la vuoi tu, che di mestiere non produci macchine tra l’altro.

Il secondo esempio che porto è quello del chirurgo, al quale spesso dobbiamo la nostra vita nel momento in cui ci opera. Nessuno di noi penserebbe di rimanere senza anestesia per poter dire al chirurgo come operarsi. Generalmente, veniamo avvisati di come avverrà l’operazione, che cosa accadrà e quali saranno i risultati e, successivamente, verremo addormentati senza sapere davvero cosa accadrà al nostro corpo. Fiducia massima.

Ecco quello che un’agenzia Seo dovrebbe riuscire a dire ai propri clienti, che siano B2C o B2B. E lo so, non è semplice, ma io continuo a sperare che sia possibile, perché è davvero l’unico modo per portare valore e non farsi lasciare per un’altra agenzia SEO.

p.s. questo articolo è stato dettato, poi passato a chatgpt per il controllo grammaticale e di punteggiatura (qualche errore lo facciamo ancora) e, mentre correggeva, ho cercato l’immagine da associarci e lo snippet migliore. Ah, ho dormito di più, un tempo mi sarei dovuta svegliare alle 4.30 per consegnare alle 7.15. Adesso ho puntato la sveglia alle 5.30. Evviva!

Festival di Sanremo: sempre più social e multicanale

La 73esima edizione del Festival di Sanremo che ha visto trionfare Marco Mengoni con “due vite“, presenta dietro un’apposita strategia che gli ha permesso di raggiungere quasi 2 milioni di spettatori e il 61,8 per cento di share.

Da qualche anno è stato progettata una versione di Sanremo multicanale, infatti, si è svolto anche su altri schermi e soprattutto in ambienti social e digitali.

La prima serata, si apre, con Amadeus che guidato da Chiara Ferragni apre in diretta un profilo Instagram personale, con una serie di selfie insieme ad ospiti e conduttori.

Presenza Digitale

Da qualche anno lo show del Festival di Sanremo non si ferma alla Televisione ma prosegue su Instagram, Twitter e TikoTok.

Una strategia per conquistare soprattutto il cuore della generazione z, così coinvolgendo i più giovani e sbarcare con lo spettacolo anche su altri schermi, confermando anche la forza di RaiPlay come piattaforma digitale.

La prima serata ha registrato 6,5 milioni di interazioni sui canali social Rai di Instagram, Facebook e Twitter con dati molto interessanti anche per RaiPlay, infatti, si è trattato dell’evento non sportivo più visto in diretta streaming.

Durante lo spettacolo sono state molte le gag fatte con Fiorello, che sono avvenute direttamente sul profilo Instagram creato a Amadeus in diretta. Infatti, nella seconda serata del Festival l’entrata di Amadeus è avvenuta contemporaneamente in Tv ma anche sui social.

Alla conquista della Generazione Z

Durante questa edizione del Festival, la presenza dell’influencer Chiara Ferragni come co-conduttrice aveva già preannunciato qualcosa.

I tempi sono cambiati e anche il mondo della televisione inizia ad evolversi per conquistare una fascia di pubblico più giovane con un intento concreto di creare uno spettacolo fruibile su diversi canali.

Inoltre, il famoso balconcino davanti all’Ariston, quest’anno ha accolto Generali Italia, per mostrare un punto di vista diverso con l’attrice Valentina Romani, protagonista della serie di successo Mare Fuori, che si è prestata a raccontare curiosità e notizie inedite.

Un’idea nata con l’intento di far avvicinare gli spettatori più giovani, attraverso l’utilizzo dei social media e con la presenza della protagonista di una serie tv in onda sulla piattaforma di RaiPlay.

Anche in FantaSanremo, gioco basato sul Festival, è nato con l’intenzione di creare maggiore engagement, sopratutto nel pubblico più giovane e conquistare attraverso il gioco e il piacere della sfida.

Una strategia messa  a punto per raggiungere un certo risultato che rende da qualche anno a questa parte il Festival delle canzone Italiana più coinvolgente e ricco di emozioni e sorprese.

Un radicale rinnovamento

Si è trattato, dunque, di un’edizione del Festival che ha seguito la scia di rinnovamento messa in atto già negli anni passati.

Un chiaro segnale da parte della produzione di voler rinnovare lo show della musica Italiana, dando peso e importanza ai messaggi lanciati, al tipo di fruizione e ai personaggi presenti, a partire dai cantanti in gara.

Un’attenzione davvero minuziosa ad ogni piccolo dettaglio, serata dopo serata, per riuscire a portare un calo dell’età media degli spettatori con una grande copertura social e una fruizione multicanale.

Quanto costa un progetto SEO?

La domanda giusta sarebbe: quanto devi investire per avere un sito web che ti permetta di guadagnare dall’online? Investire è assolutamente differente da costare. Nonostante siano anni che lavoro per questo settore, a qualsiasi livello, in qualsiasi Azienda la comprensione dell’investimento è ancora fumosa, tanto quanto le informazioni che noi esperti del settore divulghiamo.

Ecco, perché in questo rapido articolo “mordi e fuggi” a zero h2 e massima concentrazione di numeri, voglio sfatare i miti dei 500€ al mese di canone SEO, della possibilità di cavarsela con 3 mesi di lavori e della frustrazione di mancanza di risultati di quelli prima di me.

Un progetto SEO costa in maniera differente a seconda del KPI di riferimento e degli altri canali di conversione attivati.

Per quanto vogliamo raccontarcela i KPI per il traffico organico sono praticamente 2:

  1. Traffico organico generato
  2. Conversione da traffico organico

Ed è totalmente differente la cosa: il primo KPI richiede solamente di portare persone a visitare il nostro sito web, il più possibile, ovviamente in target. Il secondo, richiede di presiedere un canale andando ad impattare anche sugli altri e non solo, richiede di avere chiaro dove e come le persone trovano difficoltà nel comprare.

Un progetto SEO costa in maniera differente se siamo all’inizio della presenza web di un Brand o se il Brand è bello che affermato. Già, perché se nessuno mi conosce, se non ci sono evidenti fattori online della mia presenza, anche fossi primo nella pagina di ricerca per mancanza di fiducia dettata dalla mancanza di conoscenza, non ci sarebbe clic alla mia pagina.

Se ho appena iniziato a raccontarmi online, non ci sono link verso di me, nessun tipo di referenza, non c’è anzianità di contenuto che decreta la mia esperienza in materia, per cui farò più fatica ad essere tra i primi su Google.

Un progetto SEO costa, più o meno, a seconda della competitività del settore, bellissimo lavorare per il settore ambiente e bonifiche in cui si usano ancora le fiere per fare affari e basta, una prateria sconfinata di possibilità online, venite a lavorare con me per il settore beauty, per esempio, e poi ne parliamo. Non si può pensare di investire poco per poter avere un progetto SEO affermato in determinati settori e non si può nemmeno pensare di farlo in 10 minuti: il ROI non è immediato ma, quando si inizia a crescere, è duraturo e con una conversione spaziale.

Un progetto SEO costa di più se gli altri canali di conversione non lavorano di concerto: avere campagne pubblicitarie attive in cui si lavora insieme per occupare più posti nella pagina di ricerca rimanendo sempre ben visibili, avere una community curata tra social ed email marketing, curare le proprie PR, utilizzare Content Creator conosciuti per i nostri contenuti, rendono il nostro lavoro più facile e, quindi, meno oneroso.

Un progetto SEO non costa, è un investimento che richiede tempo, risorse, soldi e non dovrebbe mai essere quotato da solo, le offerte dovrebbero essere a corpo, dovrebbero chiamarsi esclusivamente “progetto di crescita di guadagno da web“, perché quando si è attivata una strategia SEO e di contenuti, se l’agenzia web è ben organizzata e noi ce la godiamo un sacco quando possiamo lavorarci, possiamo:

  • servirci dello stesso contenuto più volte nella condivisione social e nelle nostre newsletter, quantomeno, sia come post dei social (con un contenuto di 1.000 parole si possono tranquillamente creare 10 post social e, se ora come ora, viene chiesto alle AI saranno loro a gestirvi la declinazione del contenuto);
  • utilizzare la strategia degli intenti di ricerca per gli altri canali di conversione, non è che chi si occupa della parte alta della SERP usa parole differenti per impostare le campagne advertising eh?
  • dare conferma di un determinato comportamento dell’utente perché noi sappiamo cosa cerca e come lo cerca, migliorando anche la proposta di valore, la comunicazione per gli altri canali, le risposte al customer care;
  • avere un sito web a prova di usabilità, velocità e comprensione perché siamo noi a creare la struttura iniziale dei contenuti e siamo noi a gestire la navigazione dello stesso e preoccuparci che sia a prova di pagespeed;
  • aumentare la Brand Awareness con la link building e i contenuti rilasciati dai Content Creator ma controllati da noi.

Dobbiamo aiutare i nostri potenziali clienti, nella compilazione dell’offerta, a comprendere che non può esistere un sito web che non sia SEO oriented, che non stimoli la ricerca intenzionale, che non abbia contenuti creati per informare, scaldare, fidelizzare chi verrà a leggerci.

Per cui quanto costa un progetto SEO? Dipende, ma assicuro che con 500€/mese di attività SEO non si fa nulla tranne perdere soldi e devastare il mercato perché non si ha il coraggio di dire: il web non è più per tutti, a meno che non ci sia nessuna fretta e non è nemmeno detto.

Sono d’accordo su investimenti bassi se con i nostri clienti siamo limpidi e cristallini, dichiarando che un basso investimento, forse, porterà qualche risultato a babbo morto, o che può essere un lavoro preparatorio ma che non si può pretendere di convertire e fare business così.

E ultima cosa, dobbiamo trovare il coraggio di dire sempre a chi vuole lavorare con noi “tu vai a produrre le tue cose, che alla tua attività web ci penso io” perché nessuno di noi entrerebbe nel concessionario della Ford a disquisire di come va costruita una Puma: si entra, si vede, si scelgono le caratteristiche e si attiva il finanziamento. Punto.

Smettiamola di far pensare che si possa fare nel nostro mondo: sta a noi educare i nostri clienti a lasciarci lavorare in pace senza dirci come dobbiamo lavorare solo perché hanno uno smartphone in mano. Ben venga la condivisione e il confronto ma, alla fine della fiera, il lavoro lo dobbiamo svolgere noi senza scendere a nessun compromesso se sappiamo che lede sul risultato finale.

L’educazione digitale, care Web Agency, sta a noi: è nostra responsabilità descrivere precisamente cosa ci si deve aspettare e quali sono i limiti oltre ai quali noi si lavora senza interferenze.

Faber  Castell: immagini o disegni?

Per le strade di San Paolo in Brasile, dei disegni iperrealisti hanno dato vita a una campagna di sponsorizzazione del grande marchio di matite colorate, Faber Castell.

Disegni talmente belli che sembrano reali. Realizzati da diversi illustratori per spiegare il grande potenziale delle matite, catturare l’attenzione dei passanti e coinvolgerli con un indovinello. Una campagna pubblicitaria, che lascia tutti a bocca aperta sottolineando il grande potere che può avere una pubblicità nel catturare attenzione e coinvolgimento.

Disegni o realtà

1. Chi si cela dietro questa pubblicità

Per la realizzazione di questa campagna sono stati coinvolti cinque artisti, Pedro Lopes, Jader Ferreira, Will Costa, Sâmia Escorcio e Gustavo Assarian che hanno prodotto in totale dieci dipinti, confondendo la mente dei passanti nel capire se si tratta di disegni o di immagini reali.

La campagna pubblicitaria ha preso il nome di “Picture or Drawing” ed è frutto dell’agenzia  DAVID São Paulo pubblicitaria. La campagna include anche un video, in cui ai passanti viene chiesto di dire se le immagini sono foto o disegni.

2. Il grande potenziale del quiz

L’indovinello è presente anche nei  cartelloni affissi nelle strade, creando così un sondaggio per chiedere a un campione di persone di riconoscere le foto reali dai disegni.

Una campagna pubblicitaria per dimostrare il potere delle matite colorate della linea EcoLápis di Faber-Castell.

Per l’occasione, è anche stato creato un sito web dove le persone possono condividere le loro ipotesi. Inoltre, i risultati condivisi sui social media, creano dialogo e scambio di opinione.

Risultati ottenuti

I risultati della campagna pubblicitaria realizzata, hanno dimostrato che i passanti hanno scambiato le immagini presenti nei cartelloni per delle reali fotografie, dimostrazione dell’ottima qualità delle matite sponsorizzate.

Un’iniziativa stupenda, quella di Faber Castell che ha messo in evidenza la qualità del prodotto, spirito di iniziativa e voglia di coinvolgere i consumatori, cercando di conoscere la loro opinione.

L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel settore Creativo

L’utilizzo dell’AI nel settore artistico desta molta polemica, soprattutto per il timore di vedere molte figure professionali sostituite, ma allo stesso tempo suscita anche curiosità e attenzione.

Ad esempio Dall-E di Open AI, dal 2021 consente di generare immagini in alta risoluzione a partire da descrizioni testuali, oppure fornendo un’immagine è in grado di generare immagini simili ispirate all’immagine di partenza.

Timore o entusiasmo?

Ancora non è possibile sapere se l’intelligenza artificiale potrà sostituire o meno i professionisti del settore creativo, tuttavia, alcuni artisti hanno deciso di sfruttare al meglio l’IA. Ad esempio Noah Bradley, un artista digitale che attraverso dei tutorial su YouTube cerca di spiegare il miglior utilizzo che si può fare dell’intelligenza artificiale.

Secondo Bradley, infatti, l’ia può aiutare nello sviluppo del prodotto creativo ma fare è arte è altamente complesso ed è ancora necessario un intervento dell’uomo per un perfezionamento finale dell’opera.

Molti artisti che utilizzano l’intelligenza artificiale per creare contenuti creativi la definiscono un supporto, una specie di assistente che fornisce aiuto nella creazione e nello sviluppo.

Tuttavia, anche se molti passi in avanti sono stati fatti, è ancora presto per sapere a che livelli l’ia riuscirà ad arrivare e quale sarà il suo ruolo nel settore creativo.

L’IA Art di Mulino Bianco

Un esempio dal mondo pubblicitario arriva da Mulino Bianco, la famosa azienda di prodotti da forno.

In occasione del nuovo anno ha creato una pubblicità utilizzando l’intelligenza artificiale, per la sponsorizzazione dei suoi pancake ambientandola in diversi luoghi.

Si tratta di un’ ambientazione generata dall’intelligenza artificiale, per immaginare di viaggiare ovunque nel mondo e sentirsi sempre a casa condividendo degli ottimi pancake con le persone più care.

Il risultato prodotto sono delle immagini molto belle che sono state fin da subito diffuse sui social network. Hanno ricevuto consensi ma anche molte polemiche da parte del pubblico che ha voluto evidenziare i limiti e i difetti dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la creazione di un prodotto pubblicitario.

Infatti, l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale, soprattutto nel settore creativo, genera opinioni diverse e contrastanti.

Potenziali e limiti

Aspetto, sicuramente da considerare è l’utilizzo da parte delle piattaforme di IA di immagini protette da copyright, che suscita polemica e protesta da parte di tanti artisti. Un argomento certamente da approfondire per evitare di calpestare i diritti di chi produce immagini.

Inoltre, replicando spesso immagini provenienti dal web può succedere di riprodurre i pregiudizi della società come ad esempio quelli che si fanno tra uomo e donna nel mondo del lavoro.

Tuttavia, l’ia può essere vista anche come una grande occasione per il futuro. Negli ultimi tempi, infatti, l’intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante, basti pensare al grande potenziale di Chat GPT e chissà fin dove riuscirà a spingersi, creando in noi aspettative e pensieri.

Copywriter, SEO e AI: cosa accadrà?

L’ho chiesto direttamente a ChatGPT che tanto ormai, come dice il mio Socio, è diventato un motore di risposte più semplice di Google, cosa ne pensa: descrivi cosa accadrà ai copywriter con l’avvento di OpenAI e come evolverà il mercato del content marketing.

È difficile prevedere con certezza come l’avvento di OpenAI influirà sulla figura del copywriter e sul mercato del content marketing in generale. OpenAI è una società che sviluppa tecnologie di intelligenza artificiale avanzata, quindi è probabile che queste tecnologie possano essere utilizzate per automatizzare alcuni aspetti del lavoro dei copywriter, come la generazione di contenuti o la ricerca di parole chiave.

Tuttavia, il lavoro dei copywriter richiede anche creatività e capacità di scrittura persuasiva, che sono difficili da automatizzare. Inoltre, molti clienti cercano ancora contenuti personalizzati e originali, il che significa che ci sarà sempre bisogno di professionisti che siano in grado di creare contenuti di qualità.

Inoltre, anche se OpenAI potrebbe rendere alcuni aspetti del lavoro dei copywriter più efficienti, potrebbe anche creare nuove opportunità di lavoro per gli esperti di intelligenza artificiale e di marketing. In sintesi, è difficile prevedere esattamente come l’avvento di OpenAI influirà sul mercato del content marketing e sulla figura del copywriter, ma è probabile che entrambi continueranno ad evolversi nel tempo.

Il tutto con un html pulito pulito, da copia incolla diretto.

Copywriter e AI: come conviverci?

Ora che OpenAI ha risposto diplomaticamente alla domanda, risparmiandomi delle belle righe di testo e lasciandomi il tempo di pensare a cosa voglio consigliare, grazie anche ai suoi suggerimenti, dico senza tanti fronzoli cosa accade ora e come penso al futuro.

In SeoSpirito, è già da tempo che studiamo come utilizzare il lavoro delle AI per aumentare il tempo in cui ci concentriamo sul fattore conversione della nostra strategia di posizionamento organico e content marketing. Ci si può convivere solamente utilizzandola e lavorando tantissimo all’allenamento del muscolo cervello in primis e al proprio personal branding successivamente.

Finora, abbiamo vissuto un mondo a cottimo: numero testi per soldi guadagnati. I copywriter quelli veri, quelli che sanno affascinare con i loro scritti, che creano claim senza fine e che, per far tutto ciò, hanno necessità di tempo sono pagati profumatamente e sono pochi. In compenso, abbiamo sviluppato un mercato di web writer un tanto al chilo, nascosti dietro la loro scrivania, con un italiano opinabile tra le dita, che hanno scritto parole su parole di informazioni generaliste e senza esperienza per il posizionamento organico e non solo.

Bruttina da leggere così ma è la verità tutta la verità dica lo giuro. La dico ancora peggio e chiedo scusa a chi sta soffrendo ora questa situazione.

Tutta questa marea di testi ha permesso alle Intelligenze Artificiali di crearsi un bellissimo bagaglio di informazioni, più o meno interessanti, andando a sostituire, ed è inutile pensarla differentemente, finte professionalità che come skill dovevano avere velocità di esecuzione e capacità di reperire informazioni veritiere da saper comporre in un testo senza scopiazzare troppo per non produrre un contenuto clonato.

Allora ho chiesto a OpenAI “Mi fornisci un bullet point che spieghi precisamente come un copywriter può usare ChatGPT?“. Vi copio e incollo la risposta, così com’è, ho solo sistemato qualcosina per la sintassi e la leggibilità.

Ecco alcuni modi in cui un copywriter può utilizzare ChatGPT per:

  • generare idee di contenuto: ChatGPT può essere utilizzato per generare idee di contenuto e titoli accattivanti, sfruttando la sua capacità di comprendere il linguaggio umano e di formulare frasi coerenti.
  • creare contenuti: ChatGPT può essere utilizzato per creare contenuti di base, come ad esempio articoli di blog o descrizioni di prodotto, sfruttando la sua capacità di comporre testi coerenti e di seguire una struttura specifica.
  • fare ricerca di parole chiave: ChatGPT può essere utilizzato per fare ricerca di parole chiave e frasi pertinenti, sfruttando la sua capacità di comprendere il contesto e di suggerire termini correlati.
  • ottimizzare i contenuti per i motori di ricerca: ChatGPT può essere utilizzato per ottimizzare i contenuti per i motori di ricerca, sfruttando la sua capacità di identificare le parole chiave più appropriate e di incorporarle in modo naturale nei testi.
  • revisionare e correggere i contenuti: ChatGPT può essere utilizzato per revisionare e correggere i contenuti, sfruttando la sua capacità di rilevare errori grammaticali e di sintassi e di suggerire modifiche appropriate.

SEO specialist e AI, cosa mi succederà?

Gli amanuensi benedettini sono stati spazzati via con l’avvento della stampa e ora andiamo ad aprire la bocca estasiati alle mostre in cui vediamo questi scritti meravigliosi, frutto di mani uniche. I copywriter che non hanno mani uniche faranno la stessa fine, dovranno fare i conti con un nuovo mercato in cui la capacità di essere veloci e scopiazzare sarà sostituita con la capacità di strutturare la strategia iniziale corretta al fine di far produrre i migliori testi nel minor tempo possibile dalle AI.

E vale anche per i SEO specialist che finora quando dicevo “smettetela di fidarvi esclusivamente dell’output dei tool di analisi delle parole chiave e interrogatevi sul perché si sceglie di cercare in un modo piuttosto che in un altro” mi guardavano come fossi una marziana fessa che voleva spendere del tempo a fare cose che le macchine sapevano fare meglio.

Nel bullet point che ho riportato per i copywriter le ultime 3 attività sono legate alla SEO: la ricerca per parole chiave la facciamo noi SEO strategist, l’ottimizzazione è frutto delle nostre istruzioni ai web writer e, negli ultimi 15 anni, ho revisionato e corretto qualcosa come 10.000 contenuti anno di svariato tipo.

Come SEO strategist ho chiesto, sempre alla nostra OpenAI che è sorprendente, se sa dirmi come si sviluppa una site architecture per un ecommerce che vende cibo per cani. Mi ha appena fornito le informazioni da utilizzare nei prossimi speech quando vorrò sintetizzare, superficialmente forse, cosa c’è da fare. Ripeto: copia e incolla diretto, html pulito pulito, tempo di esecuzione 16 secondi, mentre io scrivevo le righe “come SEO strategist, bla bla bla…”.

Creare una site architecture per un ecommerce che vende cibo per cani richiede alcuni passaggi specifici:

  1. Identificare le categorie di prodotto: la prima cosa da fare è identificare le categorie di prodotto che l’ecommerce offre. Ad esempio, potrebbero esserci categorie come “crocchette per cani”, “snack per cani”, “alimenti umidi per cani”, ecc.
  2. Suddividere i prodotti per categoria: una volta identificate le categorie di prodotto, è necessario suddividere i prodotti in base a queste categorie. Ad esempio, tutti i prodotti appartenenti alla categoria “crocchette per cani” dovrebbero essere raggruppati in una sottosezione dedicata a questa categoria.
  3. Creare una struttura di navigazione: la site architecture dovrebbe includere una struttura di navigazione chiara e intuitiva, che permetta agli utenti di accedere facilmente ai prodotti desiderati. Ad esempio, potrebbe essere utile creare un menu a tendina o una barra di navigazione laterale per consentire agli utenti di accedere alle varie categorie di prodotto.
  4. Creare pagine di destinazione per ogni categoria: per ogni categoria di prodotto, dovrebbe essere creata una pagina di destinazione che presenti tutti i prodotti appartenenti a quella categoria. Queste pagine dovrebbero essere ben organizzate e facili da navigare, con immagini e descrizioni dettagliate dei prodotti.
  5. Creare pagine di dettaglio prodotto: ogni prodotto dovrebbe avere una propria pagina di dettaglio, che presenti informazioni dettagliate sulla composizione, le caratteristiche e i benefici del prodotto. Inoltre, questa pagina dovrebbe includere immagini di alta qualità e opzioni per acquistare il prodotto.
  6. Includere funzionalità di ricerca e filtraggio: per rendere più facile per gli utenti trovare i prodotti desiderati, è importante includere funzionalità di ricerca e filtraggio, come ad esempio la possibilità di cercare prodotti per nome o per categoria, o di filtrare i risultati in base a caratteristiche specifiche.

Ecco, per sommi capi lo sa già, quello che, invece, verrà richiesto a me SEO strategist da oggi in poi spero sarà:

  • fornire gli input (prompt) corretti per la generazione dell’architettura dei contenuti che sia ricerca della mia buyer personas;
  • definire gli input corretti per la generazione dei testi categoria e prodotti da far revisionare da web writer no amanuensi al fine di conquistare chi legge;
  • lavorare alla navigazione migliore dato lo studio dei competitor, delle mode del momento, delle tecnologie emergenti o meno, al fine di far scansionare il sito web nel minor tempo possibile trovando la miglior informazione per comprare;
  • coinvolgere content creator esperti del settore che umanamente si rivolgono al loro pubblico creando parte dei contenuti con le AI e parte con il loro essere persuasivi, creativi, empatici, umani. A queste persone dovranno essere dati brief precisi sullo svolgimento dei loro piani editoriali nel nostro sito web e nei loro canali di conversione;
  • studiare strategie di crescita di Brand Awareness mediante l’uso dei canali social, di PR e Link Building;
  • analizzare l’andamento del traffico vs conversione, rispetto a risorse e tempo speso, valutando ROI e margine nel tempo;
  • modificare velocemente la strategia se gli obiettivi non vengono raggiunti.
Cosa ne pensa OpenAI del lavoro del SEO specialist diplomaticamente

Copywriter e SEO Specialist: non ci chiameremo più così

Quello che vi ho descritto sopra è smetterla di vivere con i paraocchi, cari copywriter e SEO specialist che state leggendo, cari prospect e clienti che state già pensando a come arrangiarvi a crearvi testi artificiali per risparmiare il costo della scrittura dei contenuti, leggete bene queste ultime righe.

OpenAI e tutta la famiglia di AI che stanno spuntando come funghi, dal silenzio in cui si trovavano mentre generavano sostituiti di amanuensi benedettini, porterà il mio settore (e non solo il mio) a perdere una fetta di mercato a basso valore aggiunto per restituire professionalità liquide che dovranno investire molto tempo nella strategia, più tempo nel controllo e tantissimo utilizzo di neuroni addormentati dalla mediocrità dettata dalla pigrizia che ci ha visti attori principali dalla nascita di Google.

Ho smesso di farmi chiamare SEO specialist anni fa, ho dovuto usarlo per la ricerca sui miei siti web ma mi definisco una SEO strategist perché voglio sia chiaro che è sulla strategia che punto, voglio sia chiaro che ciò che ho descritto sopra per sommi capi ora viene imputato al Digital Strategist come ruolo, voglio faccia riflettere chi finora ha lavorato per compartimenti stagni, pensando che il proprio lavoro fosse:

  • scrivere un contenuto con un senso
  • posizionarsi per le migliori parole chiave.

Ecco cosa accadrà alla SEO e al mondo del content marketing con l’avvento della AI. Avremo un rumore di fondo di gente furbissima che vorrà scriversi i contenuti in autonomia dato un prompt senza studio alcuno della realtà, dovremo farci strada nel mare di mediocrità che ne deriverà perché i clienti faranno fatica a capire e noi saremo bravi a scendere ai prezzi già visti 3 euro per 1.000 parole perché tanto ci fa tutto ChatGPT e investiremo il nostro tempo per vedere come fare prima, vendere a più alto margine, generare squadroni di correttori di cose delle AI in fase di tirocinio o apprendistato.

Sono pessimista? No, sono realista. Questo è quello che vedo nel breve periodo: viviamo nel mondo delle PMI, un mondo che con il digital fa spesso ancora a cazzotti, dove copywriter e SEO specialist hanno viaggiato con il minimo della pena per 15 anni, in cui gli addetti ai lavori non hanno mostrato preventivi pari al 15-20% circa del fatturato per ottenere vendite da questo canale con un incremento annuo corretto, anzi, hanno portato avanti l’idea che il web sia a buon mercato.

Io che voglio fare? La mia Agenzia SEO ha già fatto entrare nei propri processi le AI perché vogliamo concentrarci sulla pianificazione strategica e l’analisi dei risultati ancora di più, modificando l’assetto aziendale e incrementando le ore di studio per allenare il cervello a portare conversione in termini di fatturato alle Aziende che vorranno lavorare con noi sapendo di avere accanto chi pensa e non esegue.

[Disclaimer: l’immagine di anteprima è frutto del generatore di immagini di CanvaPro, ho chiesto “Voglio vedere una donna in tailleur davanti al pc con attorno un ufficio ultramoderno“]

Il futuro della formazione personalizzata? LinkedIn Learning

LinkedIn ha miliardi di dati elaborati sui professionisti di tutto il mondo, con le skill più diverse e con le attitudini più disparate: con tutto questo ha costruito la più completa piattaforma formativa del pianeta. Ma come funziona?

Ho avuto l’onore di passare un’intera giornata alla sede di LinkedIn Italia a Milano per parlare proprio di questo, ovvero di erogazione di contenuto formativo intelligente, su misura per ognuno di noi.

In pratica attraverso un algoritmo, LinkedIn è in grado di analizzare le nostre competenze e costruire la mappa delle nostre relazioni, restituendo di fatto della formazione perfetta sia per il professionista che vuole crescere, sia per l’azienda che vuole adottare Linkedin Learning per tutte le risorse che vogliono formarsi.

Come funziona il sistema è prodigioso ma una cosa ve la devo dire, perché personalmente ci tengo: la formazione è SOTTOTITOLATA in italiano!

Per uno che ha l’inglese arrugginito, come il mio, è una grandissima opportunità di crescita: formazione su misura, on demand, di alta qualità, proveniente da tutto il mondo e sottotitolata nella nostra lingua.

Sono fiero e felice di questa collaborazione e di poter essere un portavoce dell’evoluzione di LinkedIn Learning perché la formazione continua è, e sarà sempre di più, fondamentale nella vita delle nostre aziende e di ognuno di noi.