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Agenzia SEO, perché utilizzarla?

Quando ho scelto di crescere la mia Società, ho deciso che mi sarei concentrata esclusivamente sul posizionamento organico, noi siamo un’Agenzia SEO e ci occupiamo solamente di trovare il modo migliore per avere un sito web che abbia un traffico organico che faccia fare soldi, perché a me di essere prima punto non è mai servito.

Perché utilizzarla? Sembra una domanda banale ma non lo è per niente. Noi abbiamo due tipologie di clientela:

  • le altre agenzie digital o di comunicazione che affidano a noi il reparto SEO con un contratto di partnership;
  • il cliente finale che ci chiama dicendo sempre le stesse paroline magiche “voglio migliorare il mio posizionamento”.

In ambo i casi, io credo che la verticalizzazione per alcune tematiche sia fondamentale e che le agenzie digital, per esempio, siano già molto abituate ad utilizzare agenzie SEO o altre verticalizzazioni, è che ancora si ha questa paura assurda di comunicarlo.

Susanna Martucci, creatrice di Perpetua, la matita prodotta con scarti di grafite, imprenditrice illuminata che mi ha insegnato il beneficio dell’economia circolare “se produco qualcosa grazie a qualcun altro, perché non dovrei portargli luce e, a quel punto, avere entrambi beneficio e leve commerciali più forti?“.

Ecco, noi ancora fatichiamo a dire al nostro cliente finale che non facciamo tutto internamente ma che utilizziamo un’agenzia SEO esterna che è specializzata solo in traffico organico.

Perdendo, in questo modo: la possibilità di dire al cliente che ci preoccupiamo di dare il meglio (la verticalità), rafforzando il rapporto con l’Agenzia SEO che, a quel punto, non si comporterà più da mero fornitore ma sarà un vero partner, evitando di abbattere il mercato ma usufruirne crescendo le expertise migliori, spendendo anche di meno (nel mio caso) perché l’agenzia digital di partenza mi fa da intermediario commerciale.

E oggi, ci concentriamo proprio sul rapporto B2B.

B2B: perché utilizzare un’agenzia SEO?

Io sono convinta che le agenzie digital e di comunicazione di oggi siano destinate a scomparire così come sono state pensate, per un semplice motivo: il gioco si fa sempre più duro, essere specializzati in tutto è davvero un gran casino.

Conosco ormai tantissime realtà che stanno acquisendo verticali, come la mia Agenzia SEO, per poter rafforzare il proprio know how senza assorbire figure interne e la trovo una mossa furba da una parte ma, dall’altra, funziona bene anche se ci si lega da un contratto di fornitura e partnership interessante, proprio come fa la nostra Susanna Martucci: è un contratto di co-brand, non si compra ogni volta la società che produce lo scarto con il quale produrrà successivamente (NdR usa scarti e rifiuti delle Aziende per creare nuovi prodotti, è davvero incredibile, sono persa di lei si capisce).

Io vedo un mondo in cui l’agenzia digital avrà poche figure super verticali in materia che coordineranno i rapporti con le Agenzie SEO esterne, in questo modo si potranno avere sempre più risultati sul cliente finale.

Allora cara agenzia digital e di comunicazione che mi stai leggendo perché dovresti avere rapporti con agenzie verticali?

1. Parliamo la stessa lingua

In un mondo in cui il tempo è davvero denaro, potersi capire al volo e confrontarsi arricchendosi dovrebbe essere entusiasmante. Dico dovrebbe perché capita ancora oggi di imbattersi, come agenzia SEO, con colleghi che non hanno ben chiaro un flusso di processo per la gestione del posizionamento organico. In linea di massima, però, è uno spettacolo confrontarsi con le persone che lavorano nelle altre agenzie.

Abbiamo così tante terminologie di lavoro che diventa complesso anche solo parlarsi tra colleghi, esempio veloce: la creazione del file con le URL per l’organizzazione del sito web, io la chiamo “alberatura SEO“, c’è chi la chiama “organizzazione tassonomica dei contenuti“, c’è chi è non può fare a meno e la chiama “site architetture“.

Per cui, pronti e via, noi abbiamo deciso di condividere fin da subito, con le Agenzie che ci contattano, il nostro Sistema di Gestione, con la terminologia comune, che ci permette di spiegare come parliamo, come funzioniamo e come faremo filare liscio il processo (o quantomeno ne abbiamo proprio quell’intenzione).

2. Abbiamo un unico pensiero: il posizionamento organico

Noi dobbiamo supportare nel mettere il sito web nelle condizioni di ottenere traffico organico attraverso:

  • SEO on site
  • SEO off site
  • Content Marketing
  • Social Marketing (ci credo ogni giorno di più che è una bella coppia e va tenuta vicina vicina)

Non abbiamo l’ansia da mockup della Home Page in due versioni, non dobbiamo occuparci di far andare nessuna campagna di nessun tipo, non siamo noi gli interlocutori dei clienti ai quali dover, giustamente, spiegare con pazienza, cosa andiamo a toccare a casa loro. Noi dobbiamo portare risultati per il nostro canale di acquisizione o come Agenzia SEO non contiamo nulla.

Ricordiamoci sempre che il traffico organico è uno dei canali di acquisizione più magico che ci sia per tanti buoni motivi:

  • avere un’organizzazione dei contenuti permette una miglior navigazione da parte dell’utente;
  • generare dei contenuti che parlino a chi deve comprare perché siano trovati permette di risparmiare sulla creazione di altri contenuti, basterebbe utilizzare bene quelli del sito web;
  • una volta iniziato ad avere dei buoni posizionamenti, senza mai mollare il pezzo, si vive anche di rendita (ci sono siti web online che galleggiano nelle prime posizioni da anni perché sono top e, quel galleggiamento, non lo paghi più);
  • se l’Agenzia SEO alla quale si è affidato il lavoro ha lavorato come si deve portare delle conversioni in termini di acquisti senza pari;
  • quando si ha a che fare con un’Agenzia SEO senza i paraocchi, supporta anche nel miglioramento degli altri canali di acquisizione (per esempio i vicini delle Google ADS) facendo risparmiare soldi del cliente e aumentando il ROI.

3. In proporzione, costa meno avere un’Agenzia SEO partner

Dico in proporzione perché se non si lavora con un contratto di partnership e non di becera fornitura, alla fine, forse forse tutto sto vantaggio non c’è. Ma, quando ci si confronta sui processi, sulla gestione delle offerte, sull’efficacia del rapporto, sull’efficienza tra figure interne ed esterne, non conviene per nulla portarsi a casa un reparto che deve avere (così come scritto nell’articolo in cui spiego tutte le figure SEO che ci sono) almeno:

  1. SEO strategist
  2. SEO developer
  3. Content Manager
  4. Esperto di link building
  5. SEO analyst

Fatevi due conti e ditemi se non vale la pena attivare un’agenzia SEO esterna a seconda del progetto. Ricordo che, all’inizio ho detto chiaro, sogno un mondo in cui le agenzie digital abbiano solo figure senior che coordinino partner esterni. Il che significa, che un SEO specialist interno saprà gestirsi in autonomia commesse semplici e il resto fuori.

Da Jobbydoo Stipendio dei SEO specialist

Non sono così giovane da non sapere l’incidenza dell’investimento sulla SEO in un progetto, per cui provate a pensare quanto può essere il costo/beneficio di avere un’Agenzia SEO come partner.

Eggià, ma guarda Giulia come si è sbizzarrita a metterci la pulce nell’orecchio portando acqua al suo mulino. In parte direi anche sì, pure al mulino di Alessandro Angelelli, che con la sua CuDriEc si occupa di digital e i risultati (basta vedere Moondo) ci sono eccome.

Dall’altra parte, ho sempre questa voglia di uscire dalla logica del competitor in un mondo così florido come il nostro, in cui potremmo davvero supportare le Aziende a crescere correttamente nel web e incrementare il PIL italiano, sfondando le barriere dell’internazionalità, generando network specializzati che non sfilano soldi dai portafogli dei clienti ma usano quei soldi per portarne degli altri mantenendosi il cliente e aumentando il proprio fatturato.

Ecco, noi come Agenzia SEO puntiamo tantissimo a questa opportunità, firmiamo NDA dalla mattina alla sera (che odio profondamente) perché non si deve sapere che lavoriamo insieme quando basterebbe un contratto di non concorrenza, collaboriamo con le altre realtà portando struttura, organizzazione e risultati. Ed è semplice il motivo: se resta in piedi l’Agenzia Digital di cui siamo Partner, noi campiamo alla grande, senza dover avere un commerciale che sia uno.

SEO specialist: cosa fa?

Primo articolo per Moondo, direi che parto dalle presentazioni: “Ciao, sono Giulia Bezzi e sono una SEO specialist“. È il mio modo di aprire ogni mio speech, ogni mio intervento ed è quello che ormai faccio da così tanto tempo che ho quasi voglia di tatuarmelo. Ma un SEO specialist chi è e cosa fa nello specifico?

Partiamo da una veloce sintesi e un assunto: è la persona che si preoccupa di farti apparire primo su Google per le parole di ricerca del tuo potenziale cliente. E non può farlo solo, deve essere supportato da più specialisti nella stessa area e deve poter strutturare la propria attività insieme agli altri esperti di altri canali di conversione per il sito web di cui si prende cura.

Il mio team è composto da:

  • SEO strategist, io praticamente, che sono chiamata a sviluppare la miglior strategia per il cliente, tenendo conto del mercato, delle community personas (ne parleremo), dei fattori diretti e indiretti, generando l’architettura informativa del sito;
  • SEO developer, vive di html, css, javascript e qualche altro bel codice, mette le mani in pasta nella parte tech;
  • Content Manager, data la mia strategia, una volta ricevuta l’architettura informativa del sito web, procede alla creazione dei contenuti con il team di web writer verificandone l’ottimizzazione;
  • Esperto di Link Building, si occupa di portare referenze il più naturali possibili al sito del cliente e le referenze sono date dai link provenienti da altri siti web;
  • SEO analyst, lavora ai risultati attraverso l’uso della suite di Google (GA4, Search Console in primis) producendo report che ci supporteranno per raddrizzare la nostra strategia e cresce i risultati di conversione da traffico organico.

Ma, allora, il SEO specialist non è uno!

No, tutte le figure sopra elencate sono SEO specialist ma ognuna di loro è specializzata in una parte specifica dell’attività SEO. Di sicuro, è possibile ricoprire più funzioni e avere un’infarinatura di tutto MA non si può davvero essere sul pezzo per ognuna delle mansioni raccontate.

Nel mio caso, sono una SEO specialist che fa sia la SEO strategist che la Content Manager, ho conoscenze di codice per poter parlare con gli sviluppatori, leggo perfettamente la Search Console (che è il vero strumento di analisi immancabile per un SEO specialist) ma mi avvalgo del SEO analyst per esplorare Google Analytics 4 e non sono in grado di gestire una strategia di link building per cui ho un partner verticale per questo.

Essere un SEO specialist oggi non permette in alcun modo di assorbire tutto quello che c’è da fare per portare a casa un traffico organico che faccia crescere il fatturato di chi seguiamo, bisogna assolutamente pensare di lavorare insieme e scegliere ciò che c’è più affine.

Per i San Tommaso del caso, elenco probabilmente non esaustivo di ciò che faccio io per essere un SEO specialist che si occupa di strategia e contenuti:

  1. se il sito non esiste, parto con lo studio dei competitor e degli intenti di ricerca dei servizi o prodotti. Quando, invece, c’è, parto dall’analisi tecnica e contenutistica, avvalendomi della consulenza del SEO specialist “developer”;
  2. verifico la strategia adottata anche per gli altri canali di conversione, specie quelli che più influiscono sulla SEO per cui la parte di pubblicità su Google (del resto la pagina di ricerca è costituita da risultati a pagamento e organici), social (che sono fattori indiretti ma mi aiutano a capire quanto il Brand è conosciuto, come ne parlano e se esiste una community attorno), email marketing (sapere se i nostri fedelissimi apprezzano i contenuti mi servirà moltissimo) e, infine, rete di referenze (link da altri blog);
  3. strutturo l’architettura dei contenuti attraverso la creazione delle URL una volta compreso appieno l’intento di ricerca e le parole utilizzate per definirlo;
  4. disegno i wireframe, che sono praticamente blocchi che permettono al web designer di accompagnare graficamente la navigazione che ho pensato a seconda dell’architettura dei miei contenuti;
  5. fornisco le indicazioni per i contenuti ai web writer o al content manager del cliente e verifico la bontà del lavoro effettuato;
  6. ogni giorno apro la Search Console e mi accerto che sia tutto in ordine, ogni settimana verifico l’andamento del posizionamento, ogni mese chiedo al SEO analyst un report aggiornato per valutare azioni correttive e migliorative;
  7. Ultimo ma non meno importante: parlo con il prospect prima per la creazione dell’offerte e divento referente del mio canale quando diventa cliente.

SEO specialist, tante figure per un obiettivo

Leggendo l’elenco sopra riportato come potrei anche essere specializzata nello sviluppo di un sito web, nel settaggio (come lo chiamiamo noi) di Google Analytics 4 per valutare correttamente l’andamento di tutti i canali di conversione, non solo il mio, al fine di comprendere come ce la stiamo cavando e ancora, come potrei saper impostare perfettamente una strategia di link building o scrivere in maniera persuasiva descrivendo realmente un prodotto o servizio?

Non credo basterebbe una vita per diventare un SEO specialist che fa tutto ciò che fa il mio team.

Per cui, se si vuole diventare SEO specialist e non si parte dall’essere developer il mio consiglio è quello di:

  • conoscere almeno le basi del codice utilizzato per la costruzione dei siti;
  • informarsi e formarsi su tutte le aree di lavoro del SEO specialist, fino a sentire la propria, tra corsi, webinar, eventi, content creator che ne parlano c’è solo l’imbarazzo della scelta;
  • leggere articoli che parlino di ogni canale digital, marketing automation compresa per dire, perché l’ispirazione per una strategia non sai mai da dove arriverà;
  • stimolare 3 soft skill fondamentali: curiosità, umiltà, perseveranza.

Se, invece, si ha necessità di chi supporta nel posizionamento organico della propria realtà per crescere di fatturato grazie alle prime posizioni su Google, consiglio di:

  • chiedere referenze, perché nessuno di noi dovrebbe dire “sono certa di poterti far arrivare qui…” ma può dire “finora ho raggiunto questi risultati…”;
  • avere chiaro che non è a buon mercato, nonostante questo sia un mondo in cui ci sono ancora i prezzi più disparati, il classico mercato immaturo, la realtà è semplicissima: siamo troppi sulla pagina di ricerca e troppo grande è il pubblico per poter pensare di avere risultati con poco tempo, risorse e impegno economico;
  • portare pazienza per i risultati da organico, supportandolo con una strategia digital omnichannel (lo ripetiamo da anni ma vedo così tanti scempi ancora), e il motivo è semplice, se si lavora bene la SEO ha circa il 20% di possibilità di traffico in più della pubblicità a pagamento (Sparktoro, 2019), converte in media 10 volte di più dei social (Ecommercetips, 2018) e la combo SEO e Advertising sulla pagina di ricerca ha circa il 25% di clic medi in più e il 27% di profitti in più di chi non lo fa (SEOtribunal, 2019).

Eccoci qui alla fine di questo primo articolo per Moondo, spero sia tutto chiaro, mi scuso nel caso si trovino errori di battitura o italiano, non sono una copywriter, sono una SEO specialist che fa quello che più le piace: divulgare cultura digitale.

Studio tanto semantica, sintassi e ortografia, ma prendo certe cantonate… vogliatemi bene così e ci vediamo al prossimo articolo, mi piacerebbe potervi far innamorare di questo mondo tanto quanto me, perché quando funziona, quando si lavora insieme al cliente, quando si porta la giusta pazienza i risultati arrivano e sono fantasmagorici!

Cos’è un prodotto per il cliente?

Secondo il vocabolario Treccani prodotto è: “ciò che si produce o che è il risultato di un’operazione, di un’attività manuale, fisica, chimica, fisiologica, intellettuale e simile”. Questa è la definizione che gli dà sicuramente un’azienda, o un professionista (comprendendovi anche il “servizio offerto”).

Ma quale significato ha un prodotto per il cliente finale? Apparentemente (e molto superficialmente, aggiungo io) potremmo dire lo stesso.

Ma se ci pensiamo un attimo il prodotto per un cliente non è nient’altro che: sensazioni, esperienza, emozioni.

Chi lo dice? La scienza.
Secondo gli studi condotti in materia l’impulso ad acquistare deriva per il 70% dall’emotività e dagli stimoli sensoriali.

Philip Kotler nel libro “Marketing Management” afferma che: “la percezione è il processo mediante il quale l’individuo seleziona, organizza e interpreta stimoli e informazioni per ottenere una visione organica del mondo. Le percezioni sono soggettive e possono variare ampiamente fra più individui esposti alla medesima realtà. Nel marketing le percezioni sono più importanti della realtà, perché influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori“.

Quindi?

Quindi dovremmo riconsiderare il “prodotto”, guardandolo con gli occhi del cliente e non con quelli dell’azienda. Bisognerebbe domandarsi:

  • Cosa prova il cliente quando conosce il nostro prodotto per la prima volta?
  • Cosa quando lo prova?
  • Cosa quando lo acquista?
  • Ed infine cosa quando lo usa?

L’idea di fare acquisti per soddisfare bisogni è tramontata da una vita. E l’avvento del digitale ha, se vogliamo, amplificato ulteriormente questo scollamento.

Non acquistiamo un prodotto perché ne abbiamo bisogno, ma perché riceviamo uno stimolo che colpisce i nostri sensi, perché vogliamo provare un’emozione, o vivere un’esperienza.

Se la tua azienda vende ancora “prodotti”, se non riesci a modificare la tua comunicazione ed il marketing… 🖋☎️ contattami, ci prendiamo un caffè e ne parliamo.

Siamo davvero convinti di aver bisogno delle “notifiche”?

Anni fa, per l’esattezza era agosto del 2014 (ecco la prima abitudine: siglo i libri con la data in cui li leggo) ho letto “La dittatura delle abitudini” di Charles Duhigg. Un libro davvero interessante, che consiglio vivamente di leggere, per capire meglio come la maggior parte delle scelte che compiamo ogni giorno non sono frutto di riflessioni consapevoli, bensì di abitudini.

Per chi si occupa di marketing (soprattutto per chi concorda con la mia definizione: “marketing è qualunque cosa fai per vendere“), un libro che apre la mente.

Il ciclo dell’abitudine in tre fasi

Ma torniamo a noi, e alle nostre abitudini. Di alcune siamo consapevoli (come il mio siglare i libri con la data), di altre no. Queste ultime sono gesti inconsapevoli che facciamo senza nemmeno rendercene più conto. Può essere l’accendere una sigaretta per un fumatore incallito, alzarsi a metà mattinata per il caffè con il collega. Tutte le abitudini hanno la stessa ciclicità, che si può descrivere in tre fasi:

  1. segnale
  2. routine
  3. gratificazione

Il segnale è l’interruttore che dice al nostro cervello di entrare in modalità “automatica” e quale abitudine usare. Hai presente il concetto di “trigger” nel marketing (una condizione che fa scaturire un certo evento, dall’inglese “innescare”), ecco quella roba lì.

Al segnale segue la routine, che può essere fisica (un’azione, un gesto), emotiva o mentale.

Infine c’è la gratificazione, in base alla quale il nostro cervello attribuisce un “punteggio” che rafforza o meno l’abitudine.

Se vogliamo continuare con l’esempio della dipendenza da tabacco possiamo dire che quando un fumatore vede il “suo” segnale (può essere il pacchetto di sigarette sul comodino la mattina, ma anche la tazzina di caffè) il suo cervello anticipa la gratificazione della nicotina, attivando la routine. Il fumatore prende la sigaretta e la accende senza nemmeno rendersene conto.

Le notifiche: il segnale che fa scattare la routine

Ed arriviamo quindi alle nostre care notifiche. Quando il pc ci avverte dell’arrivo di una mail, o peggio lo smartphone suona per avvisarci dell’arrivo di una notifica da un social network, il cervello anticipa la gratificazione del like sul nostro post ed attiva immediatamente la routine. Risultato: afferriamo immediatamente lo smartphone!

Ma siamo sicuri che in quel preciso momento abbiamo bisogno di quell’informazione? E’ davvero così importante da interrompere quello che stavamo facendo? E’ corretto dare a qualcun altro la possibilità di “decidere” quando io debba fare qualcosa?

E se la notifica non arriva? Peggio mi sento!

Pensa agli innamorati. “Gli ho mandato un messaggio WhatsApp un minuto fa e ancora non mi ha risposto…”. “Ho pubblicato una nostra foto e l’ho taggato ieri sera, ancora non ha messo Like, non mi venisse a dire che non l’ha vista?!”. Quante volte li vedete armeggiare con il cellulare, controllando un qualcosa che non c’è ancora, aspettando spasmodicamente una notifica (segnale), per aprire finalmente il social (routine) e godersi la crescita dei Like (gratificazione).

Ora di la verità, tanto siamo tra noi, non capita mica solo agli innamorati…

Il bel libro di Duhigg aiuta a riconoscere come si formano le abitudini, quanto ci condizionano, ma soprattutto come cambiarle. Ecco se non hai tempo o voglia di leggere il libro, ti do io una soluzione terra terra, come spesso mi capita, ma molto pratica: disattiva le notifiche del cellulare! 😅

Fallo almeno quando sei al lavoro. Al limite solo quando sei impegnato su qualcosa di complesso.
Dammi retta, il tuo cervello te ne sarà grato. Guadagnerai in produttività, qualità del lavoro e tempo impiegato per svolgerlo.

Fallo, nulla è impossibile se acquisisci l’abitudine corretta.

Novità LinkedIn: eventi e ricorrenze dei tuoi contatti

LinkedIn ha messo a disposizione (anche se per ora nel Profilo non è presente) un link in cui trovi raggruppate informazioni che riguardano la tua rete di contatti. Si chiama LinkedIn Celebrations (link nella foto). Cliccando su questo link si apre una pagina (vedi foto) in cui vedi elencati i cambiamenti di lavoro, i compleanni e gli anniversari lavorativi dei tuoi contatti di 1° livello in ordine cronologico.

In pratica anziché ricevere le notifiche (che a scelta si possono abilitare nelle Impostazioni) che ci informano di un momento significativo per un nostro contatto, le possiamo trovare tutte riepilogate in questa pagina.

Perché può essere utile? Queste informazioni sono dei “trigger” da sfruttare nei messaggi da inviare per riavviare una relazione, riallacciare dei rapporti professionali, entrare di nuovo in contatto con una persona.

Attenzione: per ora funziona solo da desktop, non da smartphone.

Pagamenti elettronici: non ce la facciamo proprio a crescere

Ne abbiamo combinata un’altra: nella bozza di manovra 2023 il Governo ha sospeso le sanzioni per alcuni adeguamenti dei mezzi di pagamento. Stop alle sanzioni per chi non accetta i pagamenti con Pos se inferiori a 30 euro. Non ce la facciamo proprio a crescere, la digitalizzazione e l’educazione all’utilizzo dei pagamenti elettronici passa proprio per piccoli importi: mi abituo a pagare il caffè, un pranzo, una piccola spesa e poi lo faccio anche per valori più rilevanti. Diventa una abitudine.

E invece niente. Ancora uno stop.

Imbarazzante.

“Ci sono ancora molti luoghi comuni su come i pagamenti con il pos siano sempre troppo costosi. Questo è, a mio avviso, un dibattito vecchio che non tiene conto delle grandi innovazioni che ci sono state, ci sono e ci saranno tra i più diversi sistemi di pagamento”. Lo ha detto ieri il presidente dell’ABI – Italian Banking Association Antonio Patuelli, intervenendo al Salone dei pagamenti a Milano. Guardava al futuro. Forse un po’ troppo in là, stavamo accelerando ma norme così innestano il freno a mano.

Nel mare magnum dei big data, l’unica scialuppa di salvataggio sono le domande

Quello della Data Analysis è sicuramente l’argomento principe del millennio. Il progresso tecnologico ci permette di raccogliere più dati di quelli che ci servono, ma nonostante ciò, alcune aziende non raccolgono nemmeno il minimo indispensabile. Ed allora ecco che, nel mare magnum del bigdata, l’unica scialuppa di salvataggio sono le DOMANDE.

Se si fanno le domande giuste, si possono estrapolare solo i dati necessari senza perdersi nella tentazione di analizzare tutto ciò che è analizzabile. Impossibile peraltro, data la mole a disposizione.

Alle domande giuste, segue l’utilizzo degli strumenti migliori.
Anche qui tanti e disparati per tutti gli usi e i costumi e anche qui, adatti relativamente allo use case.

Ho molto apprezzato questa “piccola”, ma molto qualitativa, preview di quello che è l’encomiabile progetto di Boolean Careers che da subito mi ha messo in condizione di inserire nuovi strumenti nella mia cassetta degli attrezzi.

Quella della Data Analysis è sicuramente una delle competenze che desidero verticalizzare nel breve periodo e credo di aver trovato il partner adatto per farlo.

Le 5 responsabilità di chi comunica

Chiunque comunichi – e chi non lo fa? – deve rendersi responsabile dell’impatto che genera, ovvero ha delle responsabilità.

Quali? Ne ho individuate 5 (basteranno?) e le ho spiegate nella mia nota vocale del lunedì su Telegram.
Te le anticipo in versione sintetica (ma vuoi mettere il gusto di sentirle raccontate con il mio accento veneto?):

  1. La responsabilità di scrivere cose vere e non dannose (per sé e per gli altri), a prova di decontestualizzazione per capirci e a supporto della relazione.
  2. La responsabilità di renderti leggibile e comprensibile: la semplicità è un valore ed è anche un gesto di cura verso chi legge o ascolta.
  3. La responsabilità di non incrementare dinamiche disfunzionali (es. mettere foto accattivanti e sessiste solo per attivare il cervello rettile di chi legge, che poi non si sa perché, ma è spesso il cervello rettile degli uomini).
  4. La responsabilità di scrivere e pubblicare per portare valore, non per esserci e basta.
  5. La responsabilità di prendere una posizione e di usare (anche) la comunicazione per contribuire alle cause in cui si crede, che il cambiamento è impregnato delle parole che scegliamo.

Nella nota vocale argomento ogni responsabilità, la trovi qui https://t.me/Personal_HR

Nuova Intelligenza Artificiale in città

Conosci la Chat GPT e sai cosa è in grado di fare?

Un nuovo algoritmo di intelligenza artificiale sta lasciando a bocca aperta gli esperti del settore e non. E’ stato creato dall’azienda OpenAI che ha come obiettivo quello di creare l’Intelligenza Artificiale definitiva.

Utilizzandolo si ha subito la sensazione di essere proiettati nel futuro, a metà strada tra Alexa e l’assistente personale di Ironman, J.A.R.V.I.S..

A differenza della superintelligenza della Marvel, non riesce a controllare le diverse armature del supereroe (per ora), ma è in grado di assistere il suo interlocutore su una miriade di attività.

Chat GPT: cos’è e come funziona

Conosciuto anche con il nome di chat Generative Pretrained Transformer, si tratta di uno strumento addestrato su una grande quantità di dati di testo, per riuscire e fargli formulare contenuti e risposte molto vicine al linguaggio umano.

Sono diversi i servizi che è in grado di offrire, dal servizio clienti, scrittura creativa e traduzione linguistica.

Alla base della Chat GPT vi è uno dei sistemi di Intelligenza Artificiale, ossia la tecnologia NLP (Natural Language Process), una elaborazione del linguaggio naturale che presta particolare attenzione alle interazioni tra linguaggio umano e computer.

Le persone rivolgendosi alla Chat GPT possono trovare risposte su tanti argomenti, così potendo agevolare il lavoro svolto in diversi settori e soprattutto ci sono delle operazioni che questa tecnologia è in grado di compiere direttamente così velocizzando molte attività lavorative e non.

Un aspetto da non sottovalutare è anche la sua semplicità d’utilizzo così come l’accesso che è possibile fare in versione gratuita registrandosi, oppure accedendo con account già esistente. Ora non vi resta che provare e guardare con i vostri occhi!

Vantaggi e svantaggi

La chat Generative Pretrained Transformer può portare a dei vantaggi come l’accesso a una vasta gamma di conoscenze, dato che è in grado di fornire informazioni su tanti argomenti, oppure dare accesso a degli approfondimenti così da poter aiutare nella presa di decisioni.

Inoltre, può permettere di migliorare il servizio clienti, gestendo le domande più comuni, migliorando così l’esperienza del cliente e l’interazione con la tecnologia, rendendola più coinvolgente.

Tuttavia, anche questa tecnologia presenta dei limiti e degli svantaggi. La Chat GPT, ad esempio ha difficoltà nel gestire domande riferite a concetti astratti o troppo generici e può anche portare problemi legati alla privacy dato che utilizza una grande quantità di dati.

Scenari futuri

La  CHAT – GPT è solo agli inizi e già rappresenta un grande potenziale che in futuro riceverà ulteriori miglioramenti così svolgendo una funzione importante nella vita delle persone.

Ad esempio può essere di grande aiuto ad uno studente, che utilizzandolo potrà approfondire diversi argomenti per lo svolgimento dei compiti, oppure uno scrittore lo potrà utilizzare per trarre spunto ai fini della scrittura e un programmatore informatico per generare in modo immediato un codice.

Il dibattito su quanto l’ IA possa sostituire o meno la conoscenza e il fare umano è sempre aperto. Anche se l’intelligenza artificiale dovesse riuscire in futuro ad avvicinarsi molto al saper fare dell’uomo, non dovremmo comunque mai perdere di vista il valore delle emozioni vere e delle azioni compiute per mano di una persona.

Su cryptovalute e Blockchain gravi errori tecnici in Legge di Bilancio

In questi giorni si sta trattando il tema della regolamentazione delle cryptovalute e della blockchain, ma buona parte dei testi non affronta il tema nel giusto modo sotto l’aspetto tecnico. Lo stesso sta avvenendo nella bozza di bilancio dove emergono falle e gravi errori che penalizzano tutto il settore, in particolare quello non direttamente legato alle criptovalute.

Giusto normare la materia ma questo sarebbe importante farlo con profili nazionali che da anni studiano ed approfondiscono il settore. Le novità inserite tendono infatti a penalizzare tutto il comparto, anche quello del metaverso e della Blockchain, nonché il mondo delle NFT, non necessariamente legato, come noto, al concetto di cryptovalute.

Il fatto che utilizziamo la tecnologia e crittografia delle cryptovalute per scopi diversi quali sicurezza e tracciabilità, non ne determina una connessione imprescindibile.

Penalizzare il settore significherebbe rallentare il progresso tecnologico. Le opportunità che questo mondo può offrire, sono molteplici.

Sono stati eliminati i pagamenti tramite pos sotto la soglia di determinati importi per via delle esose commissioni.

Approssimare e penalizzare il settore non risolve il problema ma alimenta solo l’evasione fiscale ed i reati ad essa connessi.

Sarebbe auspicabile che il Governo cambi la rotta in materia, aprendo ad audizioni presso Camera e Senato.