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Copywriter, SEO e AI: cosa accadrà?

L’ho chiesto direttamente a ChatGPT che tanto ormai, come dice il mio Socio, è diventato un motore di risposte più semplice di Google, cosa ne pensa: descrivi cosa accadrà ai copywriter con l’avvento di OpenAI e come evolverà il mercato del content marketing.

È difficile prevedere con certezza come l’avvento di OpenAI influirà sulla figura del copywriter e sul mercato del content marketing in generale. OpenAI è una società che sviluppa tecnologie di intelligenza artificiale avanzata, quindi è probabile che queste tecnologie possano essere utilizzate per automatizzare alcuni aspetti del lavoro dei copywriter, come la generazione di contenuti o la ricerca di parole chiave.

Tuttavia, il lavoro dei copywriter richiede anche creatività e capacità di scrittura persuasiva, che sono difficili da automatizzare. Inoltre, molti clienti cercano ancora contenuti personalizzati e originali, il che significa che ci sarà sempre bisogno di professionisti che siano in grado di creare contenuti di qualità.

Inoltre, anche se OpenAI potrebbe rendere alcuni aspetti del lavoro dei copywriter più efficienti, potrebbe anche creare nuove opportunità di lavoro per gli esperti di intelligenza artificiale e di marketing. In sintesi, è difficile prevedere esattamente come l’avvento di OpenAI influirà sul mercato del content marketing e sulla figura del copywriter, ma è probabile che entrambi continueranno ad evolversi nel tempo.

Il tutto con un html pulito pulito, da copia incolla diretto.

Copywriter e AI: come conviverci?

Ora che OpenAI ha risposto diplomaticamente alla domanda, risparmiandomi delle belle righe di testo e lasciandomi il tempo di pensare a cosa voglio consigliare, grazie anche ai suoi suggerimenti, dico senza tanti fronzoli cosa accade ora e come penso al futuro.

In SeoSpirito, è già da tempo che studiamo come utilizzare il lavoro delle AI per aumentare il tempo in cui ci concentriamo sul fattore conversione della nostra strategia di posizionamento organico e content marketing. Ci si può convivere solamente utilizzandola e lavorando tantissimo all’allenamento del muscolo cervello in primis e al proprio personal branding successivamente.

Finora, abbiamo vissuto un mondo a cottimo: numero testi per soldi guadagnati. I copywriter quelli veri, quelli che sanno affascinare con i loro scritti, che creano claim senza fine e che, per far tutto ciò, hanno necessità di tempo sono pagati profumatamente e sono pochi. In compenso, abbiamo sviluppato un mercato di web writer un tanto al chilo, nascosti dietro la loro scrivania, con un italiano opinabile tra le dita, che hanno scritto parole su parole di informazioni generaliste e senza esperienza per il posizionamento organico e non solo.

Bruttina da leggere così ma è la verità tutta la verità dica lo giuro. La dico ancora peggio e chiedo scusa a chi sta soffrendo ora questa situazione.

Tutta questa marea di testi ha permesso alle Intelligenze Artificiali di crearsi un bellissimo bagaglio di informazioni, più o meno interessanti, andando a sostituire, ed è inutile pensarla differentemente, finte professionalità che come skill dovevano avere velocità di esecuzione e capacità di reperire informazioni veritiere da saper comporre in un testo senza scopiazzare troppo per non produrre un contenuto clonato.

Allora ho chiesto a OpenAI “Mi fornisci un bullet point che spieghi precisamente come un copywriter può usare ChatGPT?“. Vi copio e incollo la risposta, così com’è, ho solo sistemato qualcosina per la sintassi e la leggibilità.

Ecco alcuni modi in cui un copywriter può utilizzare ChatGPT per:

  • generare idee di contenuto: ChatGPT può essere utilizzato per generare idee di contenuto e titoli accattivanti, sfruttando la sua capacità di comprendere il linguaggio umano e di formulare frasi coerenti.
  • creare contenuti: ChatGPT può essere utilizzato per creare contenuti di base, come ad esempio articoli di blog o descrizioni di prodotto, sfruttando la sua capacità di comporre testi coerenti e di seguire una struttura specifica.
  • fare ricerca di parole chiave: ChatGPT può essere utilizzato per fare ricerca di parole chiave e frasi pertinenti, sfruttando la sua capacità di comprendere il contesto e di suggerire termini correlati.
  • ottimizzare i contenuti per i motori di ricerca: ChatGPT può essere utilizzato per ottimizzare i contenuti per i motori di ricerca, sfruttando la sua capacità di identificare le parole chiave più appropriate e di incorporarle in modo naturale nei testi.
  • revisionare e correggere i contenuti: ChatGPT può essere utilizzato per revisionare e correggere i contenuti, sfruttando la sua capacità di rilevare errori grammaticali e di sintassi e di suggerire modifiche appropriate.

SEO specialist e AI, cosa mi succederà?

Gli amanuensi benedettini sono stati spazzati via con l’avvento della stampa e ora andiamo ad aprire la bocca estasiati alle mostre in cui vediamo questi scritti meravigliosi, frutto di mani uniche. I copywriter che non hanno mani uniche faranno la stessa fine, dovranno fare i conti con un nuovo mercato in cui la capacità di essere veloci e scopiazzare sarà sostituita con la capacità di strutturare la strategia iniziale corretta al fine di far produrre i migliori testi nel minor tempo possibile dalle AI.

E vale anche per i SEO specialist che finora quando dicevo “smettetela di fidarvi esclusivamente dell’output dei tool di analisi delle parole chiave e interrogatevi sul perché si sceglie di cercare in un modo piuttosto che in un altro” mi guardavano come fossi una marziana fessa che voleva spendere del tempo a fare cose che le macchine sapevano fare meglio.

Nel bullet point che ho riportato per i copywriter le ultime 3 attività sono legate alla SEO: la ricerca per parole chiave la facciamo noi SEO strategist, l’ottimizzazione è frutto delle nostre istruzioni ai web writer e, negli ultimi 15 anni, ho revisionato e corretto qualcosa come 10.000 contenuti anno di svariato tipo.

Come SEO strategist ho chiesto, sempre alla nostra OpenAI che è sorprendente, se sa dirmi come si sviluppa una site architecture per un ecommerce che vende cibo per cani. Mi ha appena fornito le informazioni da utilizzare nei prossimi speech quando vorrò sintetizzare, superficialmente forse, cosa c’è da fare. Ripeto: copia e incolla diretto, html pulito pulito, tempo di esecuzione 16 secondi, mentre io scrivevo le righe “come SEO strategist, bla bla bla…”.

Creare una site architecture per un ecommerce che vende cibo per cani richiede alcuni passaggi specifici:

  1. Identificare le categorie di prodotto: la prima cosa da fare è identificare le categorie di prodotto che l’ecommerce offre. Ad esempio, potrebbero esserci categorie come “crocchette per cani”, “snack per cani”, “alimenti umidi per cani”, ecc.
  2. Suddividere i prodotti per categoria: una volta identificate le categorie di prodotto, è necessario suddividere i prodotti in base a queste categorie. Ad esempio, tutti i prodotti appartenenti alla categoria “crocchette per cani” dovrebbero essere raggruppati in una sottosezione dedicata a questa categoria.
  3. Creare una struttura di navigazione: la site architecture dovrebbe includere una struttura di navigazione chiara e intuitiva, che permetta agli utenti di accedere facilmente ai prodotti desiderati. Ad esempio, potrebbe essere utile creare un menu a tendina o una barra di navigazione laterale per consentire agli utenti di accedere alle varie categorie di prodotto.
  4. Creare pagine di destinazione per ogni categoria: per ogni categoria di prodotto, dovrebbe essere creata una pagina di destinazione che presenti tutti i prodotti appartenenti a quella categoria. Queste pagine dovrebbero essere ben organizzate e facili da navigare, con immagini e descrizioni dettagliate dei prodotti.
  5. Creare pagine di dettaglio prodotto: ogni prodotto dovrebbe avere una propria pagina di dettaglio, che presenti informazioni dettagliate sulla composizione, le caratteristiche e i benefici del prodotto. Inoltre, questa pagina dovrebbe includere immagini di alta qualità e opzioni per acquistare il prodotto.
  6. Includere funzionalità di ricerca e filtraggio: per rendere più facile per gli utenti trovare i prodotti desiderati, è importante includere funzionalità di ricerca e filtraggio, come ad esempio la possibilità di cercare prodotti per nome o per categoria, o di filtrare i risultati in base a caratteristiche specifiche.

Ecco, per sommi capi lo sa già, quello che, invece, verrà richiesto a me SEO strategist da oggi in poi spero sarà:

  • fornire gli input (prompt) corretti per la generazione dell’architettura dei contenuti che sia ricerca della mia buyer personas;
  • definire gli input corretti per la generazione dei testi categoria e prodotti da far revisionare da web writer no amanuensi al fine di conquistare chi legge;
  • lavorare alla navigazione migliore dato lo studio dei competitor, delle mode del momento, delle tecnologie emergenti o meno, al fine di far scansionare il sito web nel minor tempo possibile trovando la miglior informazione per comprare;
  • coinvolgere content creator esperti del settore che umanamente si rivolgono al loro pubblico creando parte dei contenuti con le AI e parte con il loro essere persuasivi, creativi, empatici, umani. A queste persone dovranno essere dati brief precisi sullo svolgimento dei loro piani editoriali nel nostro sito web e nei loro canali di conversione;
  • studiare strategie di crescita di Brand Awareness mediante l’uso dei canali social, di PR e Link Building;
  • analizzare l’andamento del traffico vs conversione, rispetto a risorse e tempo speso, valutando ROI e margine nel tempo;
  • modificare velocemente la strategia se gli obiettivi non vengono raggiunti.
Cosa ne pensa OpenAI del lavoro del SEO specialist diplomaticamente

Copywriter e SEO Specialist: non ci chiameremo più così

Quello che vi ho descritto sopra è smetterla di vivere con i paraocchi, cari copywriter e SEO specialist che state leggendo, cari prospect e clienti che state già pensando a come arrangiarvi a crearvi testi artificiali per risparmiare il costo della scrittura dei contenuti, leggete bene queste ultime righe.

OpenAI e tutta la famiglia di AI che stanno spuntando come funghi, dal silenzio in cui si trovavano mentre generavano sostituiti di amanuensi benedettini, porterà il mio settore (e non solo il mio) a perdere una fetta di mercato a basso valore aggiunto per restituire professionalità liquide che dovranno investire molto tempo nella strategia, più tempo nel controllo e tantissimo utilizzo di neuroni addormentati dalla mediocrità dettata dalla pigrizia che ci ha visti attori principali dalla nascita di Google.

Ho smesso di farmi chiamare SEO specialist anni fa, ho dovuto usarlo per la ricerca sui miei siti web ma mi definisco una SEO strategist perché voglio sia chiaro che è sulla strategia che punto, voglio sia chiaro che ciò che ho descritto sopra per sommi capi ora viene imputato al Digital Strategist come ruolo, voglio faccia riflettere chi finora ha lavorato per compartimenti stagni, pensando che il proprio lavoro fosse:

  • scrivere un contenuto con un senso
  • posizionarsi per le migliori parole chiave.

Ecco cosa accadrà alla SEO e al mondo del content marketing con l’avvento della AI. Avremo un rumore di fondo di gente furbissima che vorrà scriversi i contenuti in autonomia dato un prompt senza studio alcuno della realtà, dovremo farci strada nel mare di mediocrità che ne deriverà perché i clienti faranno fatica a capire e noi saremo bravi a scendere ai prezzi già visti 3 euro per 1.000 parole perché tanto ci fa tutto ChatGPT e investiremo il nostro tempo per vedere come fare prima, vendere a più alto margine, generare squadroni di correttori di cose delle AI in fase di tirocinio o apprendistato.

Sono pessimista? No, sono realista. Questo è quello che vedo nel breve periodo: viviamo nel mondo delle PMI, un mondo che con il digital fa spesso ancora a cazzotti, dove copywriter e SEO specialist hanno viaggiato con il minimo della pena per 15 anni, in cui gli addetti ai lavori non hanno mostrato preventivi pari al 15-20% circa del fatturato per ottenere vendite da questo canale con un incremento annuo corretto, anzi, hanno portato avanti l’idea che il web sia a buon mercato.

Io che voglio fare? La mia Agenzia SEO ha già fatto entrare nei propri processi le AI perché vogliamo concentrarci sulla pianificazione strategica e l’analisi dei risultati ancora di più, modificando l’assetto aziendale e incrementando le ore di studio per allenare il cervello a portare conversione in termini di fatturato alle Aziende che vorranno lavorare con noi sapendo di avere accanto chi pensa e non esegue.

[Disclaimer: l’immagine di anteprima è frutto del generatore di immagini di CanvaPro, ho chiesto “Voglio vedere una donna in tailleur davanti al pc con attorno un ufficio ultramoderno“]

Il futuro della formazione personalizzata? LinkedIn Learning

LinkedIn ha miliardi di dati elaborati sui professionisti di tutto il mondo, con le skill più diverse e con le attitudini più disparate: con tutto questo ha costruito la più completa piattaforma formativa del pianeta. Ma come funziona?

Ho avuto l’onore di passare un’intera giornata alla sede di LinkedIn Italia a Milano per parlare proprio di questo, ovvero di erogazione di contenuto formativo intelligente, su misura per ognuno di noi.

In pratica attraverso un algoritmo, LinkedIn è in grado di analizzare le nostre competenze e costruire la mappa delle nostre relazioni, restituendo di fatto della formazione perfetta sia per il professionista che vuole crescere, sia per l’azienda che vuole adottare Linkedin Learning per tutte le risorse che vogliono formarsi.

Come funziona il sistema è prodigioso ma una cosa ve la devo dire, perché personalmente ci tengo: la formazione è SOTTOTITOLATA in italiano!

Per uno che ha l’inglese arrugginito, come il mio, è una grandissima opportunità di crescita: formazione su misura, on demand, di alta qualità, proveniente da tutto il mondo e sottotitolata nella nostra lingua.

Sono fiero e felice di questa collaborazione e di poter essere un portavoce dell’evoluzione di LinkedIn Learning perché la formazione continua è, e sarà sempre di più, fondamentale nella vita delle nostre aziende e di ognuno di noi.

Agenzia SEO, perché utilizzarla?

Quando ho scelto di crescere la mia Società, ho deciso che mi sarei concentrata esclusivamente sul posizionamento organico, noi siamo un’Agenzia SEO e ci occupiamo solamente di trovare il modo migliore per avere un sito web che abbia un traffico organico che faccia fare soldi, perché a me di essere prima punto non è mai servito.

Perché utilizzarla? Sembra una domanda banale ma non lo è per niente. Noi abbiamo due tipologie di clientela:

  • le altre agenzie digital o di comunicazione che affidano a noi il reparto SEO con un contratto di partnership;
  • il cliente finale che ci chiama dicendo sempre le stesse paroline magiche “voglio migliorare il mio posizionamento”.

In ambo i casi, io credo che la verticalizzazione per alcune tematiche sia fondamentale e che le agenzie digital, per esempio, siano già molto abituate ad utilizzare agenzie SEO o altre verticalizzazioni, è che ancora si ha questa paura assurda di comunicarlo.

Susanna Martucci, creatrice di Perpetua, la matita prodotta con scarti di grafite, imprenditrice illuminata che mi ha insegnato il beneficio dell’economia circolare “se produco qualcosa grazie a qualcun altro, perché non dovrei portargli luce e, a quel punto, avere entrambi beneficio e leve commerciali più forti?“.

Ecco, noi ancora fatichiamo a dire al nostro cliente finale che non facciamo tutto internamente ma che utilizziamo un’agenzia SEO esterna che è specializzata solo in traffico organico.

Perdendo, in questo modo: la possibilità di dire al cliente che ci preoccupiamo di dare il meglio (la verticalità), rafforzando il rapporto con l’Agenzia SEO che, a quel punto, non si comporterà più da mero fornitore ma sarà un vero partner, evitando di abbattere il mercato ma usufruirne crescendo le expertise migliori, spendendo anche di meno (nel mio caso) perché l’agenzia digital di partenza mi fa da intermediario commerciale.

E oggi, ci concentriamo proprio sul rapporto B2B.

B2B: perché utilizzare un’agenzia SEO?

Io sono convinta che le agenzie digital e di comunicazione di oggi siano destinate a scomparire così come sono state pensate, per un semplice motivo: il gioco si fa sempre più duro, essere specializzati in tutto è davvero un gran casino.

Conosco ormai tantissime realtà che stanno acquisendo verticali, come la mia Agenzia SEO, per poter rafforzare il proprio know how senza assorbire figure interne e la trovo una mossa furba da una parte ma, dall’altra, funziona bene anche se ci si lega da un contratto di fornitura e partnership interessante, proprio come fa la nostra Susanna Martucci: è un contratto di co-brand, non si compra ogni volta la società che produce lo scarto con il quale produrrà successivamente (NdR usa scarti e rifiuti delle Aziende per creare nuovi prodotti, è davvero incredibile, sono persa di lei si capisce).

Io vedo un mondo in cui l’agenzia digital avrà poche figure super verticali in materia che coordineranno i rapporti con le Agenzie SEO esterne, in questo modo si potranno avere sempre più risultati sul cliente finale.

Allora cara agenzia digital e di comunicazione che mi stai leggendo perché dovresti avere rapporti con agenzie verticali?

1. Parliamo la stessa lingua

In un mondo in cui il tempo è davvero denaro, potersi capire al volo e confrontarsi arricchendosi dovrebbe essere entusiasmante. Dico dovrebbe perché capita ancora oggi di imbattersi, come agenzia SEO, con colleghi che non hanno ben chiaro un flusso di processo per la gestione del posizionamento organico. In linea di massima, però, è uno spettacolo confrontarsi con le persone che lavorano nelle altre agenzie.

Abbiamo così tante terminologie di lavoro che diventa complesso anche solo parlarsi tra colleghi, esempio veloce: la creazione del file con le URL per l’organizzazione del sito web, io la chiamo “alberatura SEO“, c’è chi la chiama “organizzazione tassonomica dei contenuti“, c’è chi è non può fare a meno e la chiama “site architetture“.

Per cui, pronti e via, noi abbiamo deciso di condividere fin da subito, con le Agenzie che ci contattano, il nostro Sistema di Gestione, con la terminologia comune, che ci permette di spiegare come parliamo, come funzioniamo e come faremo filare liscio il processo (o quantomeno ne abbiamo proprio quell’intenzione).

2. Abbiamo un unico pensiero: il posizionamento organico

Noi dobbiamo supportare nel mettere il sito web nelle condizioni di ottenere traffico organico attraverso:

  • SEO on site
  • SEO off site
  • Content Marketing
  • Social Marketing (ci credo ogni giorno di più che è una bella coppia e va tenuta vicina vicina)

Non abbiamo l’ansia da mockup della Home Page in due versioni, non dobbiamo occuparci di far andare nessuna campagna di nessun tipo, non siamo noi gli interlocutori dei clienti ai quali dover, giustamente, spiegare con pazienza, cosa andiamo a toccare a casa loro. Noi dobbiamo portare risultati per il nostro canale di acquisizione o come Agenzia SEO non contiamo nulla.

Ricordiamoci sempre che il traffico organico è uno dei canali di acquisizione più magico che ci sia per tanti buoni motivi:

  • avere un’organizzazione dei contenuti permette una miglior navigazione da parte dell’utente;
  • generare dei contenuti che parlino a chi deve comprare perché siano trovati permette di risparmiare sulla creazione di altri contenuti, basterebbe utilizzare bene quelli del sito web;
  • una volta iniziato ad avere dei buoni posizionamenti, senza mai mollare il pezzo, si vive anche di rendita (ci sono siti web online che galleggiano nelle prime posizioni da anni perché sono top e, quel galleggiamento, non lo paghi più);
  • se l’Agenzia SEO alla quale si è affidato il lavoro ha lavorato come si deve portare delle conversioni in termini di acquisti senza pari;
  • quando si ha a che fare con un’Agenzia SEO senza i paraocchi, supporta anche nel miglioramento degli altri canali di acquisizione (per esempio i vicini delle Google ADS) facendo risparmiare soldi del cliente e aumentando il ROI.

3. In proporzione, costa meno avere un’Agenzia SEO partner

Dico in proporzione perché se non si lavora con un contratto di partnership e non di becera fornitura, alla fine, forse forse tutto sto vantaggio non c’è. Ma, quando ci si confronta sui processi, sulla gestione delle offerte, sull’efficacia del rapporto, sull’efficienza tra figure interne ed esterne, non conviene per nulla portarsi a casa un reparto che deve avere (così come scritto nell’articolo in cui spiego tutte le figure SEO che ci sono) almeno:

  1. SEO strategist
  2. SEO developer
  3. Content Manager
  4. Esperto di link building
  5. SEO analyst

Fatevi due conti e ditemi se non vale la pena attivare un’agenzia SEO esterna a seconda del progetto. Ricordo che, all’inizio ho detto chiaro, sogno un mondo in cui le agenzie digital abbiano solo figure senior che coordinino partner esterni. Il che significa, che un SEO specialist interno saprà gestirsi in autonomia commesse semplici e il resto fuori.

Da Jobbydoo Stipendio dei SEO specialist

Non sono così giovane da non sapere l’incidenza dell’investimento sulla SEO in un progetto, per cui provate a pensare quanto può essere il costo/beneficio di avere un’Agenzia SEO come partner.

Eggià, ma guarda Giulia come si è sbizzarrita a metterci la pulce nell’orecchio portando acqua al suo mulino. In parte direi anche sì, pure al mulino di Alessandro Angelelli, che con la sua CuDriEc si occupa di digital e i risultati (basta vedere Moondo) ci sono eccome.

Dall’altra parte, ho sempre questa voglia di uscire dalla logica del competitor in un mondo così florido come il nostro, in cui potremmo davvero supportare le Aziende a crescere correttamente nel web e incrementare il PIL italiano, sfondando le barriere dell’internazionalità, generando network specializzati che non sfilano soldi dai portafogli dei clienti ma usano quei soldi per portarne degli altri mantenendosi il cliente e aumentando il proprio fatturato.

Ecco, noi come Agenzia SEO puntiamo tantissimo a questa opportunità, firmiamo NDA dalla mattina alla sera (che odio profondamente) perché non si deve sapere che lavoriamo insieme quando basterebbe un contratto di non concorrenza, collaboriamo con le altre realtà portando struttura, organizzazione e risultati. Ed è semplice il motivo: se resta in piedi l’Agenzia Digital di cui siamo Partner, noi campiamo alla grande, senza dover avere un commerciale che sia uno.

SEO specialist: cosa fa?

Primo articolo per Moondo, direi che parto dalle presentazioni: “Ciao, sono Giulia Bezzi e sono una SEO specialist“. È il mio modo di aprire ogni mio speech, ogni mio intervento ed è quello che ormai faccio da così tanto tempo che ho quasi voglia di tatuarmelo. Ma un SEO specialist chi è e cosa fa nello specifico?

Partiamo da una veloce sintesi e un assunto: è la persona che si preoccupa di farti apparire primo su Google per le parole di ricerca del tuo potenziale cliente. E non può farlo solo, deve essere supportato da più specialisti nella stessa area e deve poter strutturare la propria attività insieme agli altri esperti di altri canali di conversione per il sito web di cui si prende cura.

Il mio team è composto da:

  • SEO strategist, io praticamente, che sono chiamata a sviluppare la miglior strategia per il cliente, tenendo conto del mercato, delle community personas (ne parleremo), dei fattori diretti e indiretti, generando l’architettura informativa del sito;
  • SEO developer, vive di html, css, javascript e qualche altro bel codice, mette le mani in pasta nella parte tech;
  • Content Manager, data la mia strategia, una volta ricevuta l’architettura informativa del sito web, procede alla creazione dei contenuti con il team di web writer verificandone l’ottimizzazione;
  • Esperto di Link Building, si occupa di portare referenze il più naturali possibili al sito del cliente e le referenze sono date dai link provenienti da altri siti web;
  • SEO analyst, lavora ai risultati attraverso l’uso della suite di Google (GA4, Search Console in primis) producendo report che ci supporteranno per raddrizzare la nostra strategia e cresce i risultati di conversione da traffico organico.

Ma, allora, il SEO specialist non è uno!

No, tutte le figure sopra elencate sono SEO specialist ma ognuna di loro è specializzata in una parte specifica dell’attività SEO. Di sicuro, è possibile ricoprire più funzioni e avere un’infarinatura di tutto MA non si può davvero essere sul pezzo per ognuna delle mansioni raccontate.

Nel mio caso, sono una SEO specialist che fa sia la SEO strategist che la Content Manager, ho conoscenze di codice per poter parlare con gli sviluppatori, leggo perfettamente la Search Console (che è il vero strumento di analisi immancabile per un SEO specialist) ma mi avvalgo del SEO analyst per esplorare Google Analytics 4 e non sono in grado di gestire una strategia di link building per cui ho un partner verticale per questo.

Essere un SEO specialist oggi non permette in alcun modo di assorbire tutto quello che c’è da fare per portare a casa un traffico organico che faccia crescere il fatturato di chi seguiamo, bisogna assolutamente pensare di lavorare insieme e scegliere ciò che c’è più affine.

Per i San Tommaso del caso, elenco probabilmente non esaustivo di ciò che faccio io per essere un SEO specialist che si occupa di strategia e contenuti:

  1. se il sito non esiste, parto con lo studio dei competitor e degli intenti di ricerca dei servizi o prodotti. Quando, invece, c’è, parto dall’analisi tecnica e contenutistica, avvalendomi della consulenza del SEO specialist “developer”;
  2. verifico la strategia adottata anche per gli altri canali di conversione, specie quelli che più influiscono sulla SEO per cui la parte di pubblicità su Google (del resto la pagina di ricerca è costituita da risultati a pagamento e organici), social (che sono fattori indiretti ma mi aiutano a capire quanto il Brand è conosciuto, come ne parlano e se esiste una community attorno), email marketing (sapere se i nostri fedelissimi apprezzano i contenuti mi servirà moltissimo) e, infine, rete di referenze (link da altri blog);
  3. strutturo l’architettura dei contenuti attraverso la creazione delle URL una volta compreso appieno l’intento di ricerca e le parole utilizzate per definirlo;
  4. disegno i wireframe, che sono praticamente blocchi che permettono al web designer di accompagnare graficamente la navigazione che ho pensato a seconda dell’architettura dei miei contenuti;
  5. fornisco le indicazioni per i contenuti ai web writer o al content manager del cliente e verifico la bontà del lavoro effettuato;
  6. ogni giorno apro la Search Console e mi accerto che sia tutto in ordine, ogni settimana verifico l’andamento del posizionamento, ogni mese chiedo al SEO analyst un report aggiornato per valutare azioni correttive e migliorative;
  7. Ultimo ma non meno importante: parlo con il prospect prima per la creazione dell’offerte e divento referente del mio canale quando diventa cliente.

SEO specialist, tante figure per un obiettivo

Leggendo l’elenco sopra riportato come potrei anche essere specializzata nello sviluppo di un sito web, nel settaggio (come lo chiamiamo noi) di Google Analytics 4 per valutare correttamente l’andamento di tutti i canali di conversione, non solo il mio, al fine di comprendere come ce la stiamo cavando e ancora, come potrei saper impostare perfettamente una strategia di link building o scrivere in maniera persuasiva descrivendo realmente un prodotto o servizio?

Non credo basterebbe una vita per diventare un SEO specialist che fa tutto ciò che fa il mio team.

Per cui, se si vuole diventare SEO specialist e non si parte dall’essere developer il mio consiglio è quello di:

  • conoscere almeno le basi del codice utilizzato per la costruzione dei siti;
  • informarsi e formarsi su tutte le aree di lavoro del SEO specialist, fino a sentire la propria, tra corsi, webinar, eventi, content creator che ne parlano c’è solo l’imbarazzo della scelta;
  • leggere articoli che parlino di ogni canale digital, marketing automation compresa per dire, perché l’ispirazione per una strategia non sai mai da dove arriverà;
  • stimolare 3 soft skill fondamentali: curiosità, umiltà, perseveranza.

Se, invece, si ha necessità di chi supporta nel posizionamento organico della propria realtà per crescere di fatturato grazie alle prime posizioni su Google, consiglio di:

  • chiedere referenze, perché nessuno di noi dovrebbe dire “sono certa di poterti far arrivare qui…” ma può dire “finora ho raggiunto questi risultati…”;
  • avere chiaro che non è a buon mercato, nonostante questo sia un mondo in cui ci sono ancora i prezzi più disparati, il classico mercato immaturo, la realtà è semplicissima: siamo troppi sulla pagina di ricerca e troppo grande è il pubblico per poter pensare di avere risultati con poco tempo, risorse e impegno economico;
  • portare pazienza per i risultati da organico, supportandolo con una strategia digital omnichannel (lo ripetiamo da anni ma vedo così tanti scempi ancora), e il motivo è semplice, se si lavora bene la SEO ha circa il 20% di possibilità di traffico in più della pubblicità a pagamento (Sparktoro, 2019), converte in media 10 volte di più dei social (Ecommercetips, 2018) e la combo SEO e Advertising sulla pagina di ricerca ha circa il 25% di clic medi in più e il 27% di profitti in più di chi non lo fa (SEOtribunal, 2019).

Eccoci qui alla fine di questo primo articolo per Moondo, spero sia tutto chiaro, mi scuso nel caso si trovino errori di battitura o italiano, non sono una copywriter, sono una SEO specialist che fa quello che più le piace: divulgare cultura digitale.

Studio tanto semantica, sintassi e ortografia, ma prendo certe cantonate… vogliatemi bene così e ci vediamo al prossimo articolo, mi piacerebbe potervi far innamorare di questo mondo tanto quanto me, perché quando funziona, quando si lavora insieme al cliente, quando si porta la giusta pazienza i risultati arrivano e sono fantasmagorici!

Cos’è un prodotto per il cliente?

Secondo il vocabolario Treccani prodotto è: “ciò che si produce o che è il risultato di un’operazione, di un’attività manuale, fisica, chimica, fisiologica, intellettuale e simile”. Questa è la definizione che gli dà sicuramente un’azienda, o un professionista (comprendendovi anche il “servizio offerto”).

Ma quale significato ha un prodotto per il cliente finale? Apparentemente (e molto superficialmente, aggiungo io) potremmo dire lo stesso.

Ma se ci pensiamo un attimo il prodotto per un cliente non è nient’altro che: sensazioni, esperienza, emozioni.

Chi lo dice? La scienza.
Secondo gli studi condotti in materia l’impulso ad acquistare deriva per il 70% dall’emotività e dagli stimoli sensoriali.

Philip Kotler nel libro “Marketing Management” afferma che: “la percezione è il processo mediante il quale l’individuo seleziona, organizza e interpreta stimoli e informazioni per ottenere una visione organica del mondo. Le percezioni sono soggettive e possono variare ampiamente fra più individui esposti alla medesima realtà. Nel marketing le percezioni sono più importanti della realtà, perché influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori“.

Quindi?

Quindi dovremmo riconsiderare il “prodotto”, guardandolo con gli occhi del cliente e non con quelli dell’azienda. Bisognerebbe domandarsi:

  • Cosa prova il cliente quando conosce il nostro prodotto per la prima volta?
  • Cosa quando lo prova?
  • Cosa quando lo acquista?
  • Ed infine cosa quando lo usa?

L’idea di fare acquisti per soddisfare bisogni è tramontata da una vita. E l’avvento del digitale ha, se vogliamo, amplificato ulteriormente questo scollamento.

Non acquistiamo un prodotto perché ne abbiamo bisogno, ma perché riceviamo uno stimolo che colpisce i nostri sensi, perché vogliamo provare un’emozione, o vivere un’esperienza.

Se la tua azienda vende ancora “prodotti”, se non riesci a modificare la tua comunicazione ed il marketing… 🖋☎️ contattami, ci prendiamo un caffè e ne parliamo.

Siamo davvero convinti di aver bisogno delle “notifiche”?

Anni fa, per l’esattezza era agosto del 2014 (ecco la prima abitudine: siglo i libri con la data in cui li leggo) ho letto “La dittatura delle abitudini” di Charles Duhigg. Un libro davvero interessante, che consiglio vivamente di leggere, per capire meglio come la maggior parte delle scelte che compiamo ogni giorno non sono frutto di riflessioni consapevoli, bensì di abitudini.

Per chi si occupa di marketing (soprattutto per chi concorda con la mia definizione: “marketing è qualunque cosa fai per vendere“), un libro che apre la mente.

Il ciclo dell’abitudine in tre fasi

Ma torniamo a noi, e alle nostre abitudini. Di alcune siamo consapevoli (come il mio siglare i libri con la data), di altre no. Queste ultime sono gesti inconsapevoli che facciamo senza nemmeno rendercene più conto. Può essere l’accendere una sigaretta per un fumatore incallito, alzarsi a metà mattinata per il caffè con il collega. Tutte le abitudini hanno la stessa ciclicità, che si può descrivere in tre fasi:

  1. segnale
  2. routine
  3. gratificazione

Il segnale è l’interruttore che dice al nostro cervello di entrare in modalità “automatica” e quale abitudine usare. Hai presente il concetto di “trigger” nel marketing (una condizione che fa scaturire un certo evento, dall’inglese “innescare”), ecco quella roba lì.

Al segnale segue la routine, che può essere fisica (un’azione, un gesto), emotiva o mentale.

Infine c’è la gratificazione, in base alla quale il nostro cervello attribuisce un “punteggio” che rafforza o meno l’abitudine.

Se vogliamo continuare con l’esempio della dipendenza da tabacco possiamo dire che quando un fumatore vede il “suo” segnale (può essere il pacchetto di sigarette sul comodino la mattina, ma anche la tazzina di caffè) il suo cervello anticipa la gratificazione della nicotina, attivando la routine. Il fumatore prende la sigaretta e la accende senza nemmeno rendersene conto.

Le notifiche: il segnale che fa scattare la routine

Ed arriviamo quindi alle nostre care notifiche. Quando il pc ci avverte dell’arrivo di una mail, o peggio lo smartphone suona per avvisarci dell’arrivo di una notifica da un social network, il cervello anticipa la gratificazione del like sul nostro post ed attiva immediatamente la routine. Risultato: afferriamo immediatamente lo smartphone!

Ma siamo sicuri che in quel preciso momento abbiamo bisogno di quell’informazione? E’ davvero così importante da interrompere quello che stavamo facendo? E’ corretto dare a qualcun altro la possibilità di “decidere” quando io debba fare qualcosa?

E se la notifica non arriva? Peggio mi sento!

Pensa agli innamorati. “Gli ho mandato un messaggio WhatsApp un minuto fa e ancora non mi ha risposto…”. “Ho pubblicato una nostra foto e l’ho taggato ieri sera, ancora non ha messo Like, non mi venisse a dire che non l’ha vista?!”. Quante volte li vedete armeggiare con il cellulare, controllando un qualcosa che non c’è ancora, aspettando spasmodicamente una notifica (segnale), per aprire finalmente il social (routine) e godersi la crescita dei Like (gratificazione).

Ora di la verità, tanto siamo tra noi, non capita mica solo agli innamorati…

Il bel libro di Duhigg aiuta a riconoscere come si formano le abitudini, quanto ci condizionano, ma soprattutto come cambiarle. Ecco se non hai tempo o voglia di leggere il libro, ti do io una soluzione terra terra, come spesso mi capita, ma molto pratica: disattiva le notifiche del cellulare! 😅

Fallo almeno quando sei al lavoro. Al limite solo quando sei impegnato su qualcosa di complesso.
Dammi retta, il tuo cervello te ne sarà grato. Guadagnerai in produttività, qualità del lavoro e tempo impiegato per svolgerlo.

Fallo, nulla è impossibile se acquisisci l’abitudine corretta.

Novità LinkedIn: eventi e ricorrenze dei tuoi contatti

LinkedIn ha messo a disposizione (anche se per ora nel Profilo non è presente) un link in cui trovi raggruppate informazioni che riguardano la tua rete di contatti. Si chiama LinkedIn Celebrations (link nella foto). Cliccando su questo link si apre una pagina (vedi foto) in cui vedi elencati i cambiamenti di lavoro, i compleanni e gli anniversari lavorativi dei tuoi contatti di 1° livello in ordine cronologico.

In pratica anziché ricevere le notifiche (che a scelta si possono abilitare nelle Impostazioni) che ci informano di un momento significativo per un nostro contatto, le possiamo trovare tutte riepilogate in questa pagina.

Perché può essere utile? Queste informazioni sono dei “trigger” da sfruttare nei messaggi da inviare per riavviare una relazione, riallacciare dei rapporti professionali, entrare di nuovo in contatto con una persona.

Attenzione: per ora funziona solo da desktop, non da smartphone.

Pagamenti elettronici: non ce la facciamo proprio a crescere

Ne abbiamo combinata un’altra: nella bozza di manovra 2023 il Governo ha sospeso le sanzioni per alcuni adeguamenti dei mezzi di pagamento. Stop alle sanzioni per chi non accetta i pagamenti con Pos se inferiori a 30 euro. Non ce la facciamo proprio a crescere, la digitalizzazione e l’educazione all’utilizzo dei pagamenti elettronici passa proprio per piccoli importi: mi abituo a pagare il caffè, un pranzo, una piccola spesa e poi lo faccio anche per valori più rilevanti. Diventa una abitudine.

E invece niente. Ancora uno stop.

Imbarazzante.

“Ci sono ancora molti luoghi comuni su come i pagamenti con il pos siano sempre troppo costosi. Questo è, a mio avviso, un dibattito vecchio che non tiene conto delle grandi innovazioni che ci sono state, ci sono e ci saranno tra i più diversi sistemi di pagamento”. Lo ha detto ieri il presidente dell’ABI – Italian Banking Association Antonio Patuelli, intervenendo al Salone dei pagamenti a Milano. Guardava al futuro. Forse un po’ troppo in là, stavamo accelerando ma norme così innestano il freno a mano.

Nel mare magnum dei big data, l’unica scialuppa di salvataggio sono le domande

Quello della Data Analysis è sicuramente l’argomento principe del millennio. Il progresso tecnologico ci permette di raccogliere più dati di quelli che ci servono, ma nonostante ciò, alcune aziende non raccolgono nemmeno il minimo indispensabile. Ed allora ecco che, nel mare magnum del bigdata, l’unica scialuppa di salvataggio sono le DOMANDE.

Se si fanno le domande giuste, si possono estrapolare solo i dati necessari senza perdersi nella tentazione di analizzare tutto ciò che è analizzabile. Impossibile peraltro, data la mole a disposizione.

Alle domande giuste, segue l’utilizzo degli strumenti migliori.
Anche qui tanti e disparati per tutti gli usi e i costumi e anche qui, adatti relativamente allo use case.

Ho molto apprezzato questa “piccola”, ma molto qualitativa, preview di quello che è l’encomiabile progetto di Boolean Careers che da subito mi ha messo in condizione di inserire nuovi strumenti nella mia cassetta degli attrezzi.

Quella della Data Analysis è sicuramente una delle competenze che desidero verticalizzare nel breve periodo e credo di aver trovato il partner adatto per farlo.

Le 5 responsabilità di chi comunica

Chiunque comunichi – e chi non lo fa? – deve rendersi responsabile dell’impatto che genera, ovvero ha delle responsabilità.

Quali? Ne ho individuate 5 (basteranno?) e le ho spiegate nella mia nota vocale del lunedì su Telegram.
Te le anticipo in versione sintetica (ma vuoi mettere il gusto di sentirle raccontate con il mio accento veneto?):

  1. La responsabilità di scrivere cose vere e non dannose (per sé e per gli altri), a prova di decontestualizzazione per capirci e a supporto della relazione.
  2. La responsabilità di renderti leggibile e comprensibile: la semplicità è un valore ed è anche un gesto di cura verso chi legge o ascolta.
  3. La responsabilità di non incrementare dinamiche disfunzionali (es. mettere foto accattivanti e sessiste solo per attivare il cervello rettile di chi legge, che poi non si sa perché, ma è spesso il cervello rettile degli uomini).
  4. La responsabilità di scrivere e pubblicare per portare valore, non per esserci e basta.
  5. La responsabilità di prendere una posizione e di usare (anche) la comunicazione per contribuire alle cause in cui si crede, che il cambiamento è impregnato delle parole che scegliamo.

Nella nota vocale argomento ogni responsabilità, la trovi qui https://t.me/Personal_HR